martedì 16 ottobre 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (378)

Giuseppe Leuzzi


Sveva Casati Modigliani piega a Gnoli, sul “Robinson” di “Repubblica”di avere avuto una madre codina: “Una che pretendeva che mio fratello si facesse prete”, e “nel suo delirio religioso, voleva che mi facessi suora”. Non da sola: subiva l’influenza di una cugina, “badessa di un convento sul lago di Garda”. E di “una vecchia zia che cercava di convincerla di impedirmi di leggere i libri. Chissà quali strane idee le possono venire, insinuava”. Poiché la scrittrice è del 1938, stiamo parlando degli anni 1950. In una “famiglia agiata milanese”.
Difficile immaginare l’analogo al Sud.

“Un ragazzo del Sud che vuole fare cinema, che è già una cosa strana, giovane come eri tu” – sottintendendo “che strano”. Così Curzio Maltese apostrofa Sorrentino in una vecchia “Repubblica della idee”, le kermesse veneziana del giornale. Un ragazzo di Napoli, il centro creativo per eccellenza.

Non c’è un cannabis light diversa, che non fa “fumo”. Basta poco, chiunque può farlo, la rete spiega anche come, per trasformarla in una robusta “canna”. La legge è stata fatta solo per espropriare i piccoli coltivatori e contrabbandieri a vantaggio della buona industria? Potrebbe anche essere giusto, ma perché impiegare carabinieri, mezzi aerei e stradali, e carceri contro i piccoli? Uno spreco: bisognerebbe addebitarlo all’industria light.
È vero che lo Stato protegge la proprietà, ma nelle zone di mafia per esempio no.

La forza di un modello
“La cooperativa non mi paga da otto mesi. Faccio appello al Viminale”. La situazione è questa, che il nigeriano Raymond Ibi, con moglie e un figlio a Riace, e tanti altri figli da mantenere in Nigeria, dice a Fabrizio Caccia sul “Corriere della sera”. Riace non è una soluzione per gli immigrati, non c’è lavoro e non c’è prospettiva, la casa gratuita non basta. Questi sono i limiti dell’esperimento di Mimì Lucano, generoso e visionario, ma la solidarietà tra poveri non è una soluzione. L’entusiasmo può tradire, la sostanza dell’accoglienza resta quella istituzionale, delle normative che la regolano, con le solite cooperative che vivono del sociale, di professioni abborracciate per quanto impegnate. La piccola economia alimentata dai fondi pubblici di legge, per l’assistenza temporanea.
Ma Riace ha la forza di un modello. Il richiamo, l’impegno, l’energia, una fornace di energie. Per gli stessi immigrati, che in qualche modo si sollevano dalla routine, desolante come altrove. Per gli abitanti di Riace, un paese che trova nuovi stimoli. Per il nome, Calabria, e quindi per chi ci vive o vi ha radici. Lucano ha innescato e alimentato una corrente di energie positive. Le restrizioni e anche le inefficienze nobilitando in un progetto, per quanto arduo. Innescando il supporto di piccoli, medi e grandi interpreti del reale, fino a Wenders e ai media internazionali, da cui una comunità trae prospettive e coraggio.
La scarcerazione, assortita del divieto di residenza, riporta il caso alla sua dimensione amministrativa. È un atto di giustizia. Ma può in questo modo annacquare l’esperimento, confonderlo nelle pratiche e gli atti dovuti. Paradossalmente lo diminuisce – gli eventi positivi possono avere effetti negativi. Mentre il “modello Riace” spiega che le società hanno bisogno di stimoli e di traguardi. Anche se sono misere.
Basta poco per fare una rendicontazione, non c’è nemmeno bisogno del diploma di ragioniere. Ma la mobilitazione è a premio.

La ‘ndrangheta degli Agnelli
“Una delle figure chiave”, così il “Corriere della sera” sintetizza la motivazione della Corte di Appello di Torino che ha sancito il dominio della ‘ndrangheta sulle vendita dei biglietti della Juventus allo stadio, “è l’ex tifoso Fabio Germani, assolto in primo grado e condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa: «Il mondo della ‘ndrangheta calabrese lo conosceva anche come frequentatore della famiglia Agnelli»”.


Ex tifoso non è male. Ma è sublime la famiglia Agnelli a capo della ‘ndrangheta – Andrea Agnelli e sua moglie? e la sua mamma Caracciolo? È vero che gli ‘ndranghetisti non si ritengono inferiori a nessuno – fino a che non si pentono: chi più potente di loro, la regina d’Inghilterra,Trump, Putin?
La ‘ndrangheta juventina è composta da due fratelli, Saverio e Rocco Dominello. “Al vertice”, dice la motivazione, “delle locali piemontesi di ‘ndrangheta nella spartizione del business dei biglietti della Juve”. I biglietti non sembrano un grande business. Si spiegherà così che la Juventus abbia ricavi per meno della metà, o di un terzo, del Real Madrid?
Non si finisce di rimpiangere il giudice Falcone. Ma con l’invenzione delle Procure antimafia, un nuovo gradus ad Parnassum a fianco delle cento o duecento Procure della Repubblica, l’ha fatta grossa – ma che vorrà dire “l’ha fatta grossa”?

Se le radici disseccano
La “napoletanità” limita, e anche ferisce. Gli scrittori, gli artisti, chi vive di comunicazione. Lo lamenta La Capria in un saggio, “Il marchio inesorabile della napoletanità”, della nuova raccolta “Il fallimento della consapevolezza”. Il marchio nasce con la spiccata personalità della città, precisa lo scrittore, meglio con la risonanza del nome, Perché Napoli è molte cose diverse. E anche gli scrittori che vi nascono: La Capria fa l’esempio suo e di Anna Maria Ortese, che in effetti hanno solo i nomi e i luoghi in comune, i nomi dei luoghi.
Lo stesso si può dire della sicilianità. Del marchio impresso dalla risonanza del Nome, anche qui, poiché la Sicilia è molte e diversissime cose. Sono identità meridionali.

Calabria
Per il ponte sul Polcevera non c’è ancora un progetto. Ma Cantore sa già che le mafie ci ambiscono. Certo, le mafie sono lì per quello. Ma anche le autorità antimafia. Si magnificano a vicenda.

Quali ‘ndranghetisti sono in agguato e per quali appalti il presidente dell’Autorità anti-corruzione non lo sa. Si limita a dire che nel movimento terra la ‘ndrangheta ha molta esperienza. Le imprese calabresi, cioè, magari trapiantate in Liguria da decenni, o create ex novo. Da buon napoletano ne diffida, per principio. La Calabria è stata sempre sotto il giogo di Napoli.

“L’Oliveto Toscana” si sintetizza così nelle note informative per i giornali, per la promozione gratuita: “50 mila aziende e 13 milioni di piante che conferiscono a 400 frantoi, 220 dei quali iscritti al Consorzio dell’Extravergine Igp (290-295 mila quintali la produzione stimata quest’anno”. Una ricchezza. La Calabria, che ha una superficie olivetata maggiore, e piante di alto fusto, a grande densità produttiva cioè, invece se ne lamenta. La ricchezza è nella testa.

Non è tutto. In Calabria si arriva ad abbattere o espiantare gli uliveti, anche quelli storici. “Non rendono”, “si lavora in perdita”, “la rendita non basta più”, l’ulivo è la pinta del lamento. In Toscana, grazia ai “nuovi Pif, piani integrati di filiera, finanziati dalla Regione sulla base di fondi Ue”, progettano “nuovi mille ettari di oliveti, di cui 500 solo in Maremma”.
Ce n’è bisogno in effetti, molti dei marchi di pregiato olio toscano si producono con materia prima dalle origini più svariate, anche non europea e non di olive.  

Tommaso Campanella fa 450 anni. Mattarella lo ricorda: “Campanella pagò prezzi elevati alla sua libertà di pensiero”. Stilo, la sua città natale, niente.
Stilo ha un monumento a Campanella, eretto un secolo fa da Luigi Carnovale, un mecenate locale. Ora abbandonato.

Se si chiede all’edicola “il Corriere”, danno il “Corriere dello Sport”. È un cattivo segno o uno buono?

Ventimiglia fu titolo comitale calabrese. Tra l’altro di un Antonio di Ventimiglia, alias Centelles, che nel Regno di Napoli ordì congiure dei baroni a ripetizione contro gli ottimi re aragonesi, Alfonso e Ferrante.

Congiurato per antonomasia, Centelles non fu mai punito, i re lo graziavano. Usava anche allora vendere la professione del pentito, il provocatore che vende i correi?

Era di Reggio Giuseppe Logoteta, l’autore dell’appello che portò alla creazione della Repubblica Napolitana nel 1799. Ma lui non tradì, fu giustiziato subito.

Nella cronica contesa franco-italiana, di misogallismo e antitalianismo, due calabresi sono stati richiesti e hanno avuto fortuna in Francia. San Francesco da Paolo, che il re Luigi XI ha fortissimamente voluto con sé come guaritore, e che è morto in Francia – ma il figlio di Luigi XI fu il terribile Carlo VIII. E Tommaso Campanella, da quando, finalmente libero dalle carceri spagnole di Napoli per complotto, è stato in Francia consigliere del cardinale Richelieu.

Campanella agente francese, prima di Mussolini? I “Documenta ad Gallorum nationem” ne potrebbero essere la prova: sono una seri di accuse circostanziate, al potere spagnolo in Italia, dalla fiscalità ai debiti.

San Simone di Calabria, santo italobizantino ignoto alla regione, è celebrato dalla chiesa di Costantinopoli. A.Cilento, “Potere e monachesimo”, gli attribuisce vicende fiabesche e avventurose, con miracoli, liberazioni, conversioni d’infedeli a gogò.

Ci sono tante storie della Calabria, e del latifondo in Calabria, del feudalesimo, dei Normanni, dei Bizantini, degl Arabi, dei Francesi, degli Spagnoli, ma non ci sono vere storie. Documentate, analizzate. Solo rifacimenti di rifacimenti. È una regione-mondo che va sul detto.
L’applicazione un tempo era considerata virtù del calabrese, fino al vizio – la testardaggine. Ma forse la testardaggine era solo presunzione.

Un lungo articolo, entusiasta, della “Gazzetta del Sud” sul germoplasma della Calabria ne illustra la  coltura in una fattoria in Toscana di un imprenditore calabrese di Limbadi. C’è un germoplasma reginale? Ma non importa: grandi elogi della fattoria ecosostenibile, ecosolidale, e tutto quanto fa ecologia. Nella senese val d’Orcia, quarant’anni fa polverosa e semiabbandonata, ora un giardino, ricchissimo. Mentre sotto Limbadi, quarant’anni fa Nicotera ospitava un club di vacanze Valtur, ora plaga rinomata di cosche.

leuzzi@antiit.eu

Nessun commento:

Posta un commento