La finanza è oggi molto più piena di mine che nel 2007. Lo hanno
ricordato un mese fa, il 7 settembre, sul “New York Times” Bernanke, Paulson e Geithner,
il presidente della Federal Rerserve all’epoca e i due ministri del Tesoro, di
Bush jr. e di Obama, che dovettero risolvere la crisi. Lamentando che i rischi
sono accresciuti, e che il Congresso ha sterilizzato alcuni degli strumenti che
allora consentirono di bloccarla. Si sono rafforzati i coefficienti patrimoniali
obbligatori per le banche. Ma non se ne è limitata la concentrazione: le cinque
maggiori banche Usa controllano oggi il 47 per cento degli asset, contro il 44 per cento del 2007. E si è allargato, quasi
duplicato, il sistema bancario “ombra”, di banche cioè che fanno credito senza
disporre di depositi – un mercato che si valuta in 45 mila miliardi di dollari,
contro i 28 mila del 2010. Ma “ombra” è termine ambiguo, il mercato è condizionato
da un sistema finanziario parallelo, non sommerso: l’1 per cento dei fondi d’investimento
Usa controlla il 45 per cento degli asset.
Nessuna lezione in nessun luogo sembra del resto essere stata
presa dalla crisi del 2007. Il debito nominale mondiale si valuta cresciuto a
fine 2017 del 45 per cento rispetto a dieci anni prima. Per 250 trilioni di dollari.
Pari al 315 per cento del prodotto lordo mondiale – in crescita di 35 punti percentuali
rispetto al 2017.
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