“Il vero
potere è paura” è di Trump. In un’intervista con Woodward da candidato
presidente. Nemmeno minaccioso: “Il vero potee è - non voglio nemmeno usare la
parola – paura”. Ma la paura viene solo alla prima pagina: Gary Cohn, il
presidente-direttore generale della banca d’affari Goldman Sachs che Trump ha
nominato a capo dei suoi consiglieri economici sottrae dalla scrivania del
presidente una bozza che, se firmata, avrebbe interrotto l’alleanza con la Corea
del Sud, innescando una possibile terza guerra mondiale… Non una buona
suspense, Cohn essendo un democratico che si è proposto a capo economista di
Trump, dimettendosi dopo qualche tempo perché non condivideva la politica dei dazi
doganali.
Il resto è
altrettanto freddo, uno dei tanti articoli che si scrivono contro Trump. Visto
dal di dentro, dai suoi collaboratori, o presunti – “Trump alla Casa Bianca” è
il tema. Ma senza novità, né di notizie né di analisi. Tutti belli-e-buoni alla
Casa Bianca. Eccetto Trump, che li ha nominati. Meglio ancora sono quelli che ci
ambivano ma Trump non li ha nominati. Il libro è fatto sulle loro
testimonianze. Controllate naturalmente, è il metodo Woodward, un giornalista
del fact-cheking, del controllo delle
notizie, più che investigativo. Ma a nessun effetto – non ne esce fuori nulla. Un
articolo lungo 500 pagine.
Lo stesso
Trump è Trump, non ne sappiamo altro. Un uomo d’affari catapultato al potere, e
della specie più vieta, un immobiliarista. Che però ha vinto un’elezione estremamente
difficile, già vinta dalla sua oppositrice, da estraneo al suo stesso partito,
e dunque sarebbe un uomo politico. Anche i dazi non sarebbero male – Michael
Spence, il Nobel “milanese” dell’Economia 2001, dice oggi sul “Sole 24 Ore” che
fa la politica estera giusta, quella dei dazi
e della deglobalizzazione - ma questo è irrilevante, si vedrà. Qui non se
ne dice nulla, nulla di più delle critiche note.
Woodward ri-racconta
le indiscrezioni che affliggono la presidenza Trump – come ogni altra
presidenza, bisogna dire, i media americani ne sono ghiotti – senza mordere.
Forse per l’aura di obiettività di cui li soffonde. Il metodo Woodard è che Tizio
dice che Caio ha detto o fatto quello, Caio nega o conferma, con circostanze,
attenuanti o aggravati, e il tutto lascia il tempo che trova. Anche dove si racconta una cosa importante in
questa settimana in cui il libro è uscito in Italia. Che l’accordo militare con
l’Arabia Saudita, mediato dal genero di Trump Kushner insieme con Mohammed bin
Salman, è stato il grimaldello con cui il giovane principe, oggi in disgrazia
per l’assassinio Kashoggi, è riuscito a scalzare gli altri pretendenti alla
successione al trono saudita: le date sono quelle, una settimana dopo l’accordo
il re Salman, suo padre, poteva nominarlo principe ereditario, senza obiezioni
in famiglia.
Il resto è
noia. Sceneggiando personaggi e storie di poco spessore, e indifferenti ai più,
anche se “interni alla Casa Bianca”, come il vieto schema scandalistico impone.
Tra chi parla, chi ascolta, e magari tace, dissentendo (questo di solito è
l’informatore), chi consente, chi si oppone apertamente, all’accordo con l’Arabia Saudita come su ogni
altro aspetto. Burocrati per lo più, comunque personaggi senza spessore – lo
cercano “uscendo” con Woodward.
Il tono è
antitrumpiano, naturalmente, ma questo non esime – la metà delle pagine sarebbe
bastata, anche un quarto: un libello “obiettivo” per 500 pagine è troppo.
Woodward è rimasto un cronista, con la passione per i fatti. Ma non per l’analisi,
quindi per il loro racconto, per la loro messa in prospettiva. Si è fatto anche conoscere per non tradire le
fonti, e quindi molti parlano con lui. Ma, nell’anonimato, possono usarlo, e lo
usano. Il rapporto fra cronista e fonti è sempre stato delicato, e Woodward non
estende il fact-cheking - i riscontri
- alle fonti.
Ma, poi,
non sta al lettore spiegarsi perché un libro è noioso.
Bob Woodward, Paura,
Solferino, pp.490, ill., ril. € 22
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