Avviene
di rivedere “The Iron Lady”, il film sulla Thatcher, dopo aver letto un
articolo su Bobby Sands. L’attivista irlandese imprigionato varie volte a
Londra per (non) avere detenuto armi. Le più volte senza accusa specifica né
processo. Per otto lunghi anni. Fino a che fu lasciato morire per uno sciopero
della fame, indetto con altri detenuti irlandesi per la condizioni proibitive della
carcerazione. Comprese costanti torture.
Chissà come
si sarà sentita Meryl Streep, così dentro il suo personaggio, tanto da strappare
il terzo Oscar, un record e un’anomalia, per questa immedesimazione, quando
lascia morire un giovane di 26 anni. Di nessun delitto colpevole. Ma questo il
film se lo dimentica, benché il regista sia donna, che si supporrebbe meno di
potere.
Dimentica questo e ben altro. Per esempio che è Thatcher ad avere scatenato le economie senza anima, del business, dei soldi. La cosiddetta economia monetaria, liberando il demone affaristico, della speculazione impietosa, santificandolo. Quella che ha distrutto il lavoro e la protezione sindacale, essendo nel contempo odiata dai conservatori più che da ogni altro: una eversora, ma di ogni bene.
È pure vero che nessuno lo ricorda. Non a Londra, felice della sua potenza di fuoco distruttiva, della speculazione più sfacciata. Non nel continente, anche se ormai di Europa rimane poco, giusto qualche straccio.
È vero che i biopic sono trionfi di regine, re, prime ministre, e
primi ministri. Una riedizione di “Oggi” o “Gente”, in motion. Ma altro non è dato sapere, la storia è in bassa fortuna, il verbo è unico, e imperativo.
Phyllida
Lloyd, The Iron Lady
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