Il saggio è del 2014.
Fratianni anche precedentemente aveva percorso questa strada, unitamente con
Savona e Antonio Maria Rinaldi, sul
“Sole 24 Ore” del 28 agosto 1912, per
“abbattere lo stock di debito pubblico di 400 miliardi di euro”.
Il prestito Littorio comportò
una forte deflazione, e alti tassi reali d’interesse. Con costi, quindi, economici e sociali. Ma liberò la finanza pubblica dagli oneri derivanti dalla
guerra. Oggi non sarebbe così facile. Allora il governo aveva nella neo
costituita Banca d’Italia un prestatore di ultima istanza, che oggi non ha più
– sostituita dalla Bce, che può “trattare” con le banche ma non con gli Stati
membri. Una decisione autonoma sarebbe la rottura del patto euro, e senza rete
di protezione. Inoltre, all’indomani di un consolidamento, il governo ha le
mani legate: avendo perduto credibilità sui mercati, deve esercitare una politica
di bilancio molto severa, con uscite legate alle entrate.
Malgrado tutte queste
difficoltà, l’economista fiorentino ritiene il consolidamento necessario e
anche auspicabile. Possibile, anche, in sede euro. Con un consolidamento
limitato e retribuito. Il paper
prospetta la trasposizione di tutte le scadenze inferiori in buoni a dieci
anni. Remunerati sulla base dell’inflazione - o sul tasso obiettivo della Bce,
o ex post, sul tasso rilevato.
I lettori di questo sito
sanno che un consolidamento del debito - che averebbe dovuto essere effettuato
prima della nascita dell’euro - resta inevitabile. E tanto prima tanto meglio:
il costo del debito per l’economia italiana. In termini monetari, si aggira sui
50 miliardi l’anno. E di vincoli di bilancio, che si traducono in un indebolimento
e depauperamento della Funzione Pubblica, il collante sociale e la tela di
fondo del sistema produttivo, in atto ormai da un quarto di secolo. Il
consolidamento ha dei costi, ma è un atto di liberazione indifferibile.
Michele Fratianni, Il consolidamento del debito pubblico italiano
del 1926: una strada percorribile oggi? free online
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