Tre gruppi americani di lobbying, BGR, Harbour Group, Glover Park Group,
annunciano che non lavorano più per Mohammed bin Salman, il principe ereditario
saudita. È la conseguenza della eliminazione del giornalista Kashoggi dal
consolato saudita di Istanbul. Un’altra società di lobbying invece annuncia di
essere subentrata nella trattazione degli interessi del principe, la Southfive
Strategies – a un prezzo presumibilmente più elevato dei contratti in essere con
i recedenti. E la foto è subito diffusa di Mohammed bin Salman col figlio e il
fratello della vittima. Tanto per il teatro. E per consentire
all’amministrazione americana di continuare la relazione privilegiata. Con lo
stesso uomo forte a Riad.
Le società di lobbying hanno svolto e svolgono un ottimo lavoro
per il principe. Non si fa che parlare del rinnovamento in Arabia Saudita. La
patente alle donne – poche, giusto per le foto. Il film di una regista – una
principessa. Perfino qualche donna con gli occhi visibili. Il tutto
targhettabile MbS, una celebrity. Uno Stato patrimoniale, della famiglia al Saud, senza costituzione e
senza rappresentanza politica, prospettando come una sorta di California. Anzi,
una Svizzera: hanno organizzato al principe una Davos nel deserto. Perfino Woodward, il giornalista anti-Trump, nel volumone con cui assedia il
presidente, “Paura”, fa un’eccezione per MbS, benché amico di Trump.
Non sembra esserci un
dopo-Kashoggi nelle relazioni Usa-Arabia Saudita. Le società di lobbying, e
altre di pr e media, hanno creato il personaggio ora discusso, con la visita alla
Casa Bianca, interviste in tutti i network, pranzo con le celebrità, Oprah
Winfrey, Morgan Freeman eccetera. Le tre società che rinunciano al contratto,
sugli 80 mila dollari al mese ognuna, sono una parte piccola dello schieramento
dì immagine del principe ereditario: nei soli Stati Uniti contava dieci società
che ne rappresentavano gli interessi. Ora si riducono a otto, ma è sempre un
grosso esercito.
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