Conquista – È in
bassa fortuna, e anzi deprecata. Non solo Colombo non si celebra più in
America, sostituito dalle giornate dei Nativi, e se ne abbattono i monumenti,
ma la storia si riscrive. Non per l’essenziale, però. Gli
spagnoli conquistarono il Messico con i messicani, quelli della costa contro
quelli dell’altopiano. Avevano fatto esperienza a Granada, che riconquistarono
con i berberi. Quando si guarda dentro la conquista coloniale, e poi dentro le
colonie, i conquistatori sono più spesso agenti delle forze locali. Agenti più
furbi, con più fucili, e la legge del più forte.
La storia
della conquista risente del colonialismo, dello sfruttamento coloniale. Con
ricadute inevitabili nella cultura delle differenze, e la squalifica del “negro”.
Cencionia
chiama l’Africa ancora Carlo Emilio Gadda, negli anni 1940-1950. Ma la
libertà ha in Africa la ferocia dei banditi, compreso il mercimonio delle
tribù. Oggi in Libia come in Mali, in Somalia, in Sudan, in Kenya, ovunque. Nella
guerra d’Algeria e fino al 1965, tre anni dopo la pace, sono morte
cinquecentomila persone. Questo è il conto ufficiale, i morti veri sono molti di
più, feriti poi deceduti, scomparsi, assassini non confessabili. Ma di quel
mezzo milione solo un terzo fu vittima degli scontri con le forze coloniali
francesi.
Gandhi – Un
necrologio occasionale di Montale ne fissa meglio la memoria. “Non è senza
significato che l’uomo, il quale ha lavorato di più per destare nella vecchia
India patriarcale del ‘charcka’ (dell’arcolaio) le forze che dovevano condurla
all’emancipazione e all’indipendenza dal giogo britannico, sia poi caduto per
mano di un indù che accusava a lui un difetto di intransigenza, una mancanza di
fedeltà ai principi da lui promossi e diremmo quasi scatenati per tanti
anni. Fino a che punto può un uomo
sottrarsi alle conseguenze che emanano dai suoi principi?”
Un quesito
difficile da risolvere, della violenza nonviolenta si direbbe, ma per il quale
“Gandhi rimarrà, fra i sommi spiriti della nostra epoca, uno dei più difficili
da studiare ed un esempio di inimitabile altezza morale. Grande indiano e al
tempo stesso grande assertore dei valori della civiltà occidentale, l’uomo che
conobbe e valutò al giusto il pensiero di Platone, di Mazzini e di Tolstoi”. Un
non rifiuto dovuto anche alla saggezza del dominatore: “La morte ingrandisce il
Mahatma al di là dei confini dell’umano, mette anche nella giusta luce la civile
fisionomia e la difficile missione di quei dominatori britannici che vedono
giunta l’ora di rendere l’India alla sua indipendenza. Al ‘non resistente’ alla
violenza Gandhi, all’ispirato che creò, e diremmo quasi inventò la posizione
spirituale più difficile che uno schiavo possa assumere di fronte al suo
oppressore – il rifiuto passivo – l’Inghilterra oppose, in un conflitto che
appassionò il mondo, una forza di persuasione morale che fu talvolta degna di
quella del suo antagonista”.
È il
necrologio che il “Corriere della sera” pubblicò il 31 gennaio 1948, in
apertura della prima pagina, anonimo ma scritto in fretta da Montale, al quale
era stato commissionato per caso. Trovandosi a Milano, il giorno 30 Montale era
andato al giornale per fare la conoscenza del nuovo direttore Emmanuel, che gli
aveva proposto una collaborazione. Ma
arrivò in via Solferino in un brutto momento, con la notizia della morte di
Gandhi. E trovò Emmanuel in conciliaboli pensierosi col capo redattore. Montale
l’ha raccontata così a Nascimbeni, “Eugenio Montale”, 137: “«A chi lo facciamo scrivere il necrologio?» chiese Emmanuel a Michele Mottola, il
redattore capo. Il poeta si era come rattrappito in un angolo della stanza
semibuia. Capiva di esere arrivato al giornale in uno di quei momenti in cui non
c’è tempo per i convenevoli, e se ne sentiva in colpa. Emmanuel disse: «Me le scriverebbe lei quattro o cinque cartelle
su Gandhi?».”
Montale
era anche inabile alla macchina da scrivere – batteva con un solo dito. Ma ce
la fece. L’exploit gli valse l’assunzione, e la carriera di giornalista, dopo
un decennio di precariato seguito al licenziamento dal gabinetto Vieussuex a
Firenze, di cui era direttore, per motivi politici. Redattore e poi critico
musicale per quasi venti anni, da febbraio 1948 al settembre 1967 – pensionato
a 68 anni, ma presto senatore a vita.
Nazionalismo –
Ritorna col populismo in una nuova forma. Non più contro altre nazioni,
finitime o comunque ostili, in lotta per un qualche diritto o potere, ma contro
il declino della nazione, a favore di istituzioni e regole denazionalizzanti,
La Unione Europea come la Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. Ma di
fatto non è mai stato dismesso. Un certo spirito cosmopolita poteva aleggiare
in Europa nel primo dopoguerra, alla radice della retorica europea. Ma negli
stessi anni il nazionalismo si alimentava – correttamente, oggi lo si direbbe politicamente
corretto – con le indipendenze dei paesi colonizzati. E in Europa con le
rivolte contro l’occupazione sovietica.
L’islamismo
sarà subito dopo una forma di nazionalismo, radicale: in Afghanistan contro i
russi, e poi nell’Iran di Khomeini, in Algeria con il Fronte Islamico e il Gie,
il suo (i suoi: il nazionalismo è spesso frazionista), braccio armato, al Qaeda,
l’Is, le stesse primavere arabe, che rivendicavano l’orgoglio, arabo e
islamico, più che i diritti democratici.
La decolonizzazione
si è fatta con molte derive del nazionalismo in senso ristretto, tribale. Come
tutt’oggi in Libia. A favore di un gruppo di persone, sotto l’egida di un’etnia.
Si
diventava specialisti di Terzo Mondo, quando la locuzione era in uso, per
essere esperti di nazionalismo, che il politicamente corretto dell’epoca trascurava.
Anche per essere stata la mala erba che l’Europa rimuoveva, ed è invece l’anima
dei popoli – delle famiglie, i clan, le tribù, le nazioni. E non c’è
disattivazione possibile, non c’è molto che si possa fare, evidentemente.
Religione –È
stata l’unica libertà fino alla Magna Charta, l’antica libertà romana di culto.
Ed è su di essa che i diritti si sono innestati, di coscienza, espressione,
associazione, congregazione, stampa. Montesquieu ritiene la religione
accessoria: più la religione è severa più le leggi sono lassiste, dice. E il
fatalismo trae dal dogma, il libero arbitrio dal codice. Ma la sostanza è la
stessa, della religione e la vita civile. L’Inghilterra si ordina nel Seicento
sulla chiesa episcopale, aristocratica, nota Quinet, gli Usa su quella
presbiteriana, ugualitaria. Sosteneva Quinet, con Constant e Tocqueville: “Ovunque,
sotto tutti i regimi politici, la religione è la legge delle leggi, sulla quale
le altre si ordinano”.
L’Italia
si ordina sulla democrazia plebiscitaria e anarcoide dell’ecclesìa. Può essere
un’altra forma del tribalismo.
Tribù – Ritorna
col nazionalismo populista, ma è mai stata dismessa.? È tribale la libertà di Jünger - per molti e per molto tempo c’era una
libertà specifica germanica.
Si
direbbe intramontabile. Era tribale la democrazia classica, ateniese. È tribale
#metoo. Bologna si governava bene col papa, o Siena, e Ancona, che rivaleggiava
con Amsterdam, pure in libertà. Mentre gli americani sono democratici come gli
inglesi, gelosamente uguali fra loro spietati fuori, ai giapponesi hanno
spianato pure il cervello. E dove non ci riescono – Iraq e Afghanistan, dopo la
Somalia e il Libano, non sanno che altro fare.
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