Classe operaia –
È ben più forte oggi di quanto sia mai stata. Pur in assenza di comunismo – la
Cina può ancora dirsi comunista? E malgrado la crisi del 2008, la più grave che
si ricordi, anche più del crac del 1929. Il mensile “Lotta Comunista” la
censisce con orgoglio, ma bisogna anche aggiungere che è una classe operaia
senza, o quasi, sindacalismo – ha i sindacati, in Italia per esempio in gran
numero, ma poca combattività e poca adesione.
Scomparso
Marx, anche nella forma addomesticata del tradeunionismo, del sindacalismo, la
classe operaia dunque si moltiplica. Sarà stato l’effetto maggiore della
globalizzazione, avere portato a reddito grandi masse ovunque nel mondo: stando
ai dati dell’Ilo, International Labour Organization, il numero dei lavoratori
salariati è raddoppiato in venticinque anni, da uno a due miliardi. Non per
caso. “A grandi passi verso il miliardo di salariati”, ricorda il mensile di
avere scritto a luglio del 1994. Quindi, un anno dopo, “un miliardo di
salariati per il nuovo secolo”. Dieci anni fa, a giugno del 2008, “un miliardo
e mezzo di salariati” veniva censito. Al 2020 i salariati sono dati in due
miliardi – 1.980 milioni.
Le metà
della popolazione mondiale è dunque salariata – due miliardi sono la metà della
popolazione mondiale in età attiva.
L’aumento
è stato di 360 milioni nel primo decennio, e di 280 nel secondo: un
rallentamento dovuto agli effetti della crisi del 2008. “Con un tasso di
crescita medio anno nettamente superiore a quello della popolazione (e
addirittura quasi doppio nel 2000-2010)”.
Crescono
i salariati in rapporto a tutta la popolazione in attività. Nel 2000 era nella
condizione di salariato poco più della metà degli occupati, oggi la quota è al
60 per cento. In Cina e in India l’aumento della quota dei salariati è stato
più ampio: dal 45 al 64 per cento, e dal 38 al 53.
Crescono
i salariati, contrariamente all’impressione diffusa, anche in Europa e negli
Stati Uniti, sempre nei primi venti anni. Di 30 milioni in Europa, di 20 in
Nord America, di 4 in Oceania.
Si muove
anche l’Africa, che con 140 milioni di salariati al 2020 approssima la metà
dell’occupazione salariata in Europa. Ma più di tutti si proletarizza l’Asia.
Cina e India da sole coprono quasi i due quinti del lavoro salariato nel mondo,
il 38 per cento, avendo mosso passi giganteschi negli ultimi decenni, quelli
della globalizzazione. La Cina ha 483 milioni di occupati, più 162 dal 2000,
l’India 275, più 127. Cresce anche il resto dell’Asia, con 432 milioni, più 170
dal 2000.
Cola di Rienzi – Fu Cola di Rienzo (Cola de Rienzi
nel suo proprio detto), l’ispiratore di Mussolini e Hitler, prima che derivassero alla guerra e
allo sterminio. Il protopopulista, “l’ultimo dei tribuni del popolo” a suo
dire. Idolo di Mussolini per sua reiterata ammissione, da lettore ammirato del
romanzo di Bulwer-Lytton. Di Hitler nella ricostruzione che il germanista ceco-americano
Hans Rudolf Vaget ne ha fatto a metà mese all’Istituto Italiano di Studi
germanici – “Come Hitler divenne «Hitler»”.
L’accostamento non è nuovo. Fu operato già nel 1942, nel primo approccio
filosofico al fascismo, da Frank Neumann, “Behemot, struttura e pratica del
nazionalsocialismo”. Neumann identificava il prototipo del moderno fascismo non
in Cesare, come avrebbe voluto Mussolini, ma in Cola di Rienzo. E, più in
dettaglio e estensivamente, il nazismo delineava come un regime che si direbbe
populista. Neumann, per questo osteggiato dopo la guerra in Italia e anche in
Germania, per quanto di formazione marxista, per questa sua analisi controcorrente,
metteva in rilievo nel nazismo, al fondo del terrorismo e del razzismo, una
componente popolare molto vivace, mediata peraltro con la terminologia para-marxista,
molti simboli socialisti, e una divisione costante fra plutocrati e proletari.
Il futuro Führer,
ricorda Vaget, fu condizionato molto giovane dalla figura del tribuno romano,
la cui vicenda scoprì andando all’opera, ad ascoltare il “Rienzi” di Wagner. Aveva
quindici anni, e il piglio tribunizio del personaggio, oltre che la musica, lo
affascinò. “Cominciò in quel momento”, dirà nel 1939 a Bayreuth, ospite dei
Wagner, della sua avventura politica. Lo ricorda il suo amico della prima
giovinezza, August Kubizek, “The young Hitler I knew”. I suoi comizi vorrà
preceduti dall’ouverture del
“Rienzi”.
Otto Wagener, un architetto diventato familiare e consulente economico
di Hitler, nei racconti degli incontri con Hitler (“Memoirs of a Confident”,
pubblicate postume nel 1985, p. 217) ha una profusa conversazione sul “Rienzi”,
attorno al 1933. Di cui Hitler avrebbe detto, del tribuno romano: “Quello mi piace
proprio”.Wagener ribatte – nella sua memoria sorpreso e scettico - che Rienzi
fallisce l’impresa politica e muore nell’incendio del Campidoglio che il popolo
ha appiccato. Al che ricorda che Hitler ribatte spiegando che l’opera di Wagner
gli aveva comunque insegnato una lezione, importante: Rienzi fallisce perché ha
trascurato di crearsi strumenti di potere, e non ha eliminato i suoi nemici, i membri delle grandi famiglie romane.
Vaget
trova altri effetti dell’opera “romana” di Wagner su Hitler. Come Rienzi, che
non volle sposarsi perché, diceva, aveva preso Roma come moglie, Hitler fece e
disse lo stesso. Nel testamento politico Hitler maledice la Germania per non
essere stata all’altezza della grandezza che lui voleva per lei, come Rienzi
morente aveva maledetto la volubile e degenerata Roma. Entrambi scelgono di morire
nella sede del potere.
Terza guerra mondiale – È tema di fantapolitica,
narrazioni ipotetiche. Dürrenmatt, “La guerra invernale nel Tibet”, la lega
all’assenza di statualità, più che a un eccesso – non a un paese che ne
aggredisce uno o più altri, per un disegno di conquista o anche solo di difesa,
lo schema bellico classico. Allo Stato legando molte proprietà del mondo
fisico. Tra esse l’entropia. “Il moto di un singolo atomo è imprevedibile”,
spiega lo scrittore tourné scienziato,
“prevedibili sono invece le stelle, in quanto istituzioni di atomi”.
Istituzioni che “di necessità deformano gli atomi”. Lo stesso con gli uomini: “Allo
stesso modo le istituzioni degli uomini deformano gli uomini. Lo Stato è un’istituzione
degli uomini”. Che però è in grado di deformare ma non di decidere. La terza
guerra mondiale “non è dovuta alla mancanza di un governo in grado di impedirla”,
ma al fatto che un governo non c’era.
È una guerra di distruzione naturalmente, in cui si perde la
cognizione di Amico\Nemico, tutti essendo nemici, comunque da distruggere.
astolfo@antiit.eu
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