Il recupero delle spinte reazionarie, e il gioco di anticipo
sulle tentazioni eversive, è compito quasi istituzionale, prima ancora che
politico, che i cristiano-democratici, insieme con i cristiano-sociali
bavaresi, si sono dato nella Repubblica Federale. Ora non riesce più, ma forse
non per colpa di Merkel.
La riforma delle riforme, varata nel 2005 dal governo
socialista, col sostegno del sindacato, la liberalizzazione totale del lavoro,
ha spostato progressivamente il voto a destra. Già il voto a Merkel, la leader
cristiano-democratica, fu nello stesso 2005 un primo spostamento verso destra.
Poi Merkel ha governato con questo e con quello, a destra e a sinistra
indifferentemente, ma i socialisti e la parte progressista della Cdu hanno
perso voti non negli ultimi quattordici mesi ma progressivamente da tempo. La
liberalizzazione totale del lavoro ha salvato l’industria dalla delocalizzazione e ha fatto la Germania grande con le esportazioni, col dumping sociale, ma ha impoverito dieci
milioni di tedeschi – tanti vivono di sussidi.
Lo spostamento a destra, un voto di protesta più che
nazionalista o razzista, è costante in ogni elezione da qualche tempo. Con la crescita
di Alternative für Deutschland, dei Liberali, e degli stessi Verdi, l’ecologia ha un’anima di destra in Germania, nonché della
Csu di Dobrink, delle frange bavaresi reazionarie. Lo stesso avvicendamento
che la Cdu, il partito della cancelliera, le chiedeva da settembre dell’anno
scorso, è per una leadership più moderata, se non nettamente destrorsa – nel
senso populista, del “salviamo i bisognosi”.
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