C’è stata la terza guerra
mondiale. E non c’è più niente. Si
sopravvive nelle caverne, sotto il Tibet, l’Himalaya, il Karakorum. Uccidendosi
l’un l’altro fra mercenari, quelli che, non avendo un nemico proprio, hanno
tutto nemico – “un mercenario deve evitare di chiedersi se esiste o meno il
nemico”, tutti lo sono.
Un day after però confuso, compresa la memoria che il mercenario,
ridotto a protesi meccaniche, va incidendo sulle pareti delle caverne. Un
intreccio di varie storie. Una alla Bud Spencer e Terence Hill, sul versante
truce, mitragliate invece che pugni. Uno di riviste porno, merce
apprezzatissima, bordelli, e copule a ogni angolo, che oggi fa sorridere. E uno
o più di filosofia. Il governo – il governo svizzero, ma poi la “forma governo”.
La natura e il destino dell’uomo – “A che pro l’essere umano? Domanda senza
risposta”.. E una cosmogonia originale, questa apprezzabile. In general le
parti filosofiche, di cui infine si dà la bibliografia, “un collage di Platone
(La Repubblica, Il mito della caverna)
e Nietzsche (Genealogia della morale,
Schopenahauer come educatore)”. Al suono di “Quando bionda aurora il
mattino c’indora”, l’inno nazionale svizzero.
Un testo però preveggente,
del 1980. A un certo punto non solo la “gigante blu”, l’Unione Sovietica,
implode, “anche gli Stati «liberali» cominciarono a esercitare pressione verso
l’interno, emanando decreti contro i dissidenti. Il processo divenne irreversibile.
Cominciò la corsa agli armamenti. Ogni Stato produceva più energia di quanta ne
cedesse”. O altrimenti, in chiave europea, “la politica, costretta a svolgere
la sua attività unicamente sulla superficie del sole, senza poter influire sui
processi del nucleo, divenne vuota retorica”. A p. 45, a metà percorso, c’è tutto
il quarantennio che veniamo di vivere: “Sempre più spesso la zona convettiva fu
perforate dall’interno, sorsero e crollarono potentissimi imperi economici, si
scatenarono crisi, inflazione, incredibili brogli, atti terroristici folli, la criminalità
e le catastrofi aumentarono in modo esponenziale, gli Stati divennero
instabili”.
Un testo che è troppe cose.
Forse la conglomerazione di due o tre narrative diverse e incompiute. A tratti è il vero saggio del
nichilismo – non quello boomerang nel nichilista che si afferma mentre si nega:
“Ci siamo, ma sappiamo che non ci saremo, nei prossimi 18 milioni di anni” – la
terra continuerà a girare, “per miliardi di anni”, ma inerte, come la luna. E, come in futuro il mondo, già oggi gli Stati.
Ma è arrampicarsi sugli specchi.
Sbalza l’inconcludenza di molta narrativa tedesca del secondo Novecento, postespressionista
e postmetafisica.
Friedrich
Dürrenmatt, La guerra invernale nel
Tibet, Adelphi, pp. 108 € 12
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