mercoledì 3 ottobre 2018

Letture - 360

letterautore


Antifascismo – Inetto – se il fascismo è riemerso, è “vivo e combatte insieme a noi” - perché viziato da un monolitismo fascistoide? È possibile: fa senso rileggere oggi il vecchio ritratto di Montale abbozzato da Nascimbeni, “Eugenio Montale”. Il biografo deve spiegare per tre lunghe pagine, nel 1969, che il poeta non fu fascista. Senza poter dire la verità: che lo si voleva fascista perché persisteva a non prendere la “tessera” giusta. Montale che preferì perdere il posto, direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze, piuttosto che prendere la tessera. E per dieci anni visse di poco, collaborazioni poco pagate e traduzioni affannose.
Questo antifascismo sarebbe durato ancora vent’anni, fin alla caduta del Muro. Ma lo stesso Montale lo aveva denunciato subito, recensendo Corrado Alvaro, “L’Italia rinunzia?”, a maggio del 1945 (la recensione fu poi raccolta in “Auto da fé”). Chiedendosi polemico: “Venivano dal popolo Gobetti e Rosselli, cioè le figure più italianamente ispirate della lunga vigilia antifascista? Erano composte di borghesi le folle che si recavano, in stato di perpetuo delirio coatto, dinanzi allo storico balcone di palazzo Venezia?”.

Calvino – Non rifiutò il “Dottor Živago” nel 1956, come viene detto: ebbe segnalazione vaga di “un romanzo” scritto dal poeta Pasternak da parte di un giovanissimo studente di filosofia a Milano, Vittorio Strada, slavista dilettante, che ne aveva trovato un accenno in una rivista di Mosca all’Associazione Italia-Urss, e non si attivò per saperne di più. Sergio D’Angelo, il giornalista italiano di “Radio Mosca”, portò il manoscritto direttamente a Feltrinelli. Nello stesso 1957 che avrebbe visto la pubblicazione del romanzo, Calvino curava con Ripellino la traduzione di un antologia poetica di Pasternak. E a fine novembre puntava nella promozione dell’antologia con i librai proprio sulla pubblicizzata imminente uscita del romanzo.
Scriverà un saggio su Pasternak apprezzando il romanzo. Ma ancora a novembre del 1958, un anno dopo l’uscita del romanzo da Feltrinelli, ne contestava la pubblicazione in Occidente. Con gli stessi argomenti del Pci, da cui era uscito due anni prima, dopo invasione dell’Ungheria. Un dvd della Feltrinelli, compilato nel 2007 per i cinquant’anni della pubblicazione del romanzo, ripesca un dibattito tv in cui Pasternak e il romanzo venivano criticati, anche da Calvino, con gli argomenti di Mosca e del Pci. Il primo è una puntata dell’“Approdo”, la trasmissione condotta da Gianni Granzotto e Paolo Milano. Tema: “Il caso di uno scrittore davanti alla ragion di Stato”. Silone, Ripellino e Pratolini condannano la censura, in una con la dittatura sovietica. Calvino no: .
“La violenza a Pasternak in questo momento viene tanto dall’Occidente quanto dai suoi connazionali”, argomenta. E “il premio Nobel a Pasternak, attribuitogli con evidenti intenzioni politiche, ha avuto come primo risultato quello di risvegliare le tendenze peggiori della società culturale del suo paese”. Come dire: la colpa è dell’Accademia svedese. “L’insegnamento più prezioso di Pasternak”, conclude, “è il dignitoso riserbo dell’artista di fronte a tutto quanto abbia sapore di ufficialità, e noi lo stiamo già tradendo, noi che stiamo parlando di lui in questa trasmissione”.
Sulla stessa linea un altro fuoriuscito dal Pci, Carlo Muscetta: “Živago? Una noiosa opera di propaganda...”.

Europa – L’Europeo, viaggiando in Africa, Manganelli vedeva, già nel 1971, prigioniero: “All’E uropeo non è concesso in nessun momento di sottrarsi al capillare imperio della legge, dei regolamenti, ordini e divieti; sempre più debolmente potrà schermirsi dalle dissuasioni e persuasioni commerciali e ideologiche”. Peggio: “Poiché sa scrivere gli viene imposta una vita assistita e socialmente garantita  da certificati, documenti, dichiarazioni”. Con più vincoli subliminali se è un letterato: “A seconda del suo grado di solitudine e di frequentazione con la parola scritta gli si offrono i vari conforti dei diari, delle lettere, dei telegrammi, infine dei moduli già approntati e forniti i formule alternative”.
L’Europa è cemento e rovine. Si direbbe un Manganelli reazionario, o in colera – reazionario perché in collera. Ma sa perché: l’Europa è città: “Una città è fatta di case e di strade; tenacemente si stende a obliterare ogni traccia di ‘terra’; questa, sia pianeta, sia humus, sta sotto, nascosta come un’arcaica vergogna dell’Europa, o simbolicamente sepolta. Questa compattezza, questa sistematica occupazione dell’edificio, colpisce il viaggiatore come sintomo tipico e affascinante dell’Europa. Col tempo, gli edifici derelitti intristiscono e decadono, per risorgere poi come Rovine”. Da cui germoglia la Storia, il culto della memoria: “Anche gli scritti, residuati di molte vite, cambiano consistenza e colore: diventano Documenti, si affidano al silenzio di bacheche e archivi. Così, con Ruderi e Documenti, nasce la storia come la intende l’Europa”.
È l’esito di una concezione peculiare del tempo, tutta europea: “Il presente vive come organizzazione e custodia del passato” e “esigua piattaforma su cui di fonda l’invenzione del futuro”. È un tempo senza tempo. Vista nel tempo, nel suo tempo, il continente-città non può lasciarsi vivere casualmente; deve progettarsi, razionalizzarsi, pianificarsi”. Un pachiderma. Non immune ai refoli: “Come un animale poderoso e specializzato, un mutamento d’ambiente non previsto uò paralizzarlo e ucciderlo”. Non ha anticorpi,  “l’artificiale esistenza cittadina può proteggersi sol grazie a una continua rielaborazione dei dati della propria artificialità”. È un monolite calcificato. “La città ignora le stagioni se non come definizioni economiche. È scomparso il ciclo eterno del tempo, e ne ha preso il posto la vessatoria regolamentazione degli orari. La necessità economica sostituisce l’obbedienza cosmica. La città persegue ed elabora il futuro; non soltanto il proprio avvenire ma la categoria mentale, l’ideologia, l’emotività fantasiosa del tempo non ancora esistente”. Come una fuga in continuo.

Inferno – Era l’opposto di superno. Nulla di terribile, prima di Dante.

Pound – Usava un timbro a ceralacca, col suo viso. Montale lo ricorda tra le cose perdute nell’alluvione di Firenze, in uno degli “Xenia”, II, 14: “Il timbro a ceralacca con  la barba di Ezra”.

Primato – Il “quindicinale di cultura fascista” di Bottai, condiretto da Giorgio Vecchietti, ebbe dal marzo 1940, dall’uscita, fino al 25 luglio 1943, come collaboratori: Montale, Pavese, Gadda, Bilenchi, Tobino,Ungaretti, Cardarelli, Quasimodo, Luzi, Sinisgalli, Betocchi, Sereni, Benedetti, Bernari, Dessì, e Giaime Pintor.
Della generazione successiva molti partecipavano – e vincevano – ai Littoriali per studenti, quasi tutto il secondo Novecento.

Totti – C’erano le code a Roma, alle cinque librerie Mondadori, all’apertura straordinaria di notte il giorno dell’uscita del libro di Totti, “Un capitano”, tra mezzanotte e le due di giovedì. Una trovata promozionale riuscita, che ha saputo leggere il tifo romanista – anche se era stata già utilizzata per le ultime uscite di Harry Potter”. Aperte alla stesse ora anche le librerie Mondadori di Albano, Aprilia, Frosinone, Ladispoli, Rieti, Tivoli e Viterbo. Il tifo come fede: dà consistenza, e coraggio.

letterautore@antiit.eu

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