mercoledì 10 ottobre 2018

Letture - 361

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Cesaretto – Lo storico locale di via della Croce a Roma, che intrattenne a pranzo e cena alcune generazioni di letterati e artisti, presieduto da Maccari e Rasi, è ricordato da Giovanni Russo in dettaglio in “Flaianite”. L’antica fiaschetteria Beltramme, frequentata da gente comune, artigiani, turisti e intellettuali, era stata ereditata dopo la guerra da Cesaretto Guerra. Che la gestiva col figlio Luciano, la moglie Elena, la cognata Crocetta, e il marito di questa, Rolando. Con garbo, prezzi modici e cibo buono.
“Cesaretto” fu negli anni 1950-1960 anche l’altra parte del “Mondo”, quella che la sera non andava con Scalfari in via Veneto, di Maccari e Flaiano appunto.

Dante – Era stato dimenticato nel Seicento. Risorse progressivamente col romanticismo.

“Non fu Shakespeare”, lamentava De Sanctis – a proposito dell’ “Inferno”, nella “Storia della letteratura italiana”: “Queste grandi figure, là sul loro piedistallo, rigide ed epiche come statue, attendono l’artista che le prenda per mano e le getti nel tumulto del vita e le faccia esseri drammatici. E l’artista non fu un italiano: fu Shakespeare”.

“Dante non è un poeta moderno”, è la tesi di Montale, “Dante ieri e oggi”, il discorso conclusivo del congresso per il settimo centenario della nascita, 24 aprile 1965. Lo sentiamo vicino a noi perché anche “noi non viviamo più in un’era moderna, ma in un nuovo medioevo”.
Non era un mistico, nota ancora Montale. E dunque è un mistificatore, “un uomo che inventò se stesso come poeta sacro”? Sì, “che non fosse un vero mistico e che gli sia mancato il totale assorbimento nel Divino che è proprio dei veri mistici potrebbe suggerirlo il fatto che la Commedia non è la sua ultima scrittura e ch’egli dovette pure, posto fine alla sua terza cantica, uscire dal labirinto e tornare fra gli uomini”. E no, Montale fa sua “l’affermazione del Singleton che il poema sacro fu dettato da Dio e il poeta non fu che uno scriba”. Perché “la vera poesia” ha “sempre il carattere di un dono”, e presuppone “la dignità di chi lo riceve”. Questo, Montale dice in conclusione, “è  il maggiore insegnamento che Dante ci ha lasciato” – non è il solo, “ma fra tutti è certo il maggiore”?

Tracciando in breve la fortuna di Dante, Montale lo dice recuperato nel Sette-Ottocento nell’ambito di “una filosofia totalmente terrestre che vede nell’uomo il padrone e addirittura il creatore di se stesso”. In parallelo, bizzarramente, col “Dante esoterico”, volendo “penetrare i misteri della sua allegoria”. Una deriva, che “ha almeno il merito di avere affermato una grande verità: che Dante non è un poeta moderno”. Rovesciando però la prospettiva: “L’età di mezzo” propriamente detta, quella di Dante, “non fu sprovveduta di scienza e vuota d’arte”. Mentre ora – cinquant’anni fa – “se l’avvenire segnerà il pieno trionfo della ragione tecnico-scientifica, il nuovo medioevo non sarebbe altro che una nuova barbarie”.
Si potrebbe Montale dire profetico, se il medio evo si segnala per l’assenza dei Dante. Ma allora non sarebbe Dante il sigillo della modernità? Montale in realtà lo esclude dalla modernità “tecnico-scientifica”, che assimilava a un “nuovo medioevo”.

Eusebio – Bobi Bazlen voleva da Montale una poesia su “Eusebio”, uno degli pseudonimi con cui il compositore Schumann firmava le sue cronache musicali – in alternativa a “Florestano”. Montale non ne fu ispirato (altre poesie Bazlen gli ha proposto con più effetto, la più celebre è quel la di “Dora Markus”), ma si tenne il nomignolo. Con gli amici e anche in casa, con i familiari.

Filosofia – Va a sconto in libreria. Bompiani, Laterza, Utet, offrono a sconto i “classici del pensiero”, e anche i non classici. Una coincidenza di promozioni, o il pensiero è in svendita?

Gadda – Di forte sensibilità storica. Nella mussolineide (“Eros e Priapo” e altri testi), come per i “Luigi di Francia”, e più ancora per i contesti di tanti racconti, compreso il “Pasticciaccio”, compresa “La cognizione del dolore”. Lo è anche nei diari di guerra, e probabilmente nella stessa formazione, benché ingegneresca.
La passione denuncia a contrariis  nell’appendice alla “Cognizione del dolore”. Quando intraprende a spiegare la proposizione “barocco è il mondo”: la “Cognizione” dicendo “una lettura consapevole … della scemenza del mondo o della bamboccesca inanità della cosiddetta storia, che meglio potrebbe chiamarsi una farsa di commedianti tutti cretini e diplomati somari. La storiografia, poi, che sarebbe lo specchio, o il ritratto, o il ricupero mentale di codesta ‘storia’, adibisce plerumque all’opera i due diletti strumenti: il balbettio della la reticenza e la franca sintassi della menzogna….”

Latinisti – Sono - sono stati - più facilmente comunisti? Riccardo De Benedetti, “La fenice di Marx”, lo rileva di Canfora e Canali, come già d
Concetto Marchesi, della “diffusa persistenza di ‘comunisti’ tra i nostri latinisti di maggior prestigio”. Per una ragione opinando: “Forse la loro professione fornisce quell’aura di classicità che di per sé la dottrina comunista ha perso da ormai troppo tempo”.

Origini – Possono essere un limite, e anche una costrizione, in letteratura e nell’espressione estetica-artistica in genere. Quelle personali e quelle dei luoghi di origine. La Capria lo lamenta della “napoletanità”, che  limita, e anche ferisce - “Il marchio inesorabile della napoletanità”, nella raccolta “Il fallimento della consapevolezza”. Essere napoletani è essere condizionati dalla risonanza del nome, ma Napoli è molte cose diverse: “Ci sono la Capria, la Ortese. Ma La Capria e la Ortese sono diversi, come possono essere diversi due scrittori di qualsiasi altra parte d’Italia”. Dove però non ci sono etichette regionali: “Non si parla mai di «scrittore milanese», di «scrittore torinese» o di «scrittore veneziano»”, lamenta ancora La Capria – veniva da dire “lo scrittore napoletano”. La “geografia letteraria” di Dionisotti non ha dunque senso?
Il ragionamento di La Capria è applicabile ai siciliani. Anche loro vittime – o beneficiari? – della sicilitudine o sicilianità. Benefciari anche, questo a La Capria è sfuggito: il marchio d’origine può essere protettivo e promozionale, come tutti i marchi nobili – Capri, Portofino, etc. non dovevano essere, non sono stati, preda, di corse al marchio di gran nome?
Ma, intanto, più che chiamare in causa Dionisotti, la nuova geografia è vecchia. Ed è di tipo leghista – anche quando la Lega non esisteva: si applica cioè al Sud. Corrado Alvaro, lo scrittore più cosmopolita del Novecento, è sempre citato come “lo scrittore calabrese”. Si applica al Sud in accezione buona: solo il Sud ha spiccata personalità, geografica, di meridiani. E cattiva: la sua resta letteratura regionale: “Il Gattopardo” non è “Guerra e pace”. In questo senso ha ragiona La Capria.

Svevo – Fu “scoperto” in Italia, venti o trenta anni dopo che aveva pubblicato “Una vita” e “Senilità”, via Francia. Mandando “La coscienza di Zeno”, pubblicato nel 1923, cinque anni prima della morte. Joyce consigliò di mandarlo a Benjamin Crémieux, l’italianista di Parigi, che tre anni dopo ne accennò in termini molto positivi. La presentazione di Crémiux incuriosì il “Corriere della sera”, e Svevo uscì dal limbo, due anni prima della morte accidentale, per uno scontro in automobile.
Un anno prima di Crémieux, Montale ne era stato lettore entusiasta, e ne aveva scritto, in un periodico letterario milanese. Ma anche Montale era sconosciuto, aveva appena pubblicato “Ossi di seppia”, a Torino con Gobetti.

Virgilio – “È l’Eneide una celebrazione dell’Impero – o una critica?”, è la proposta di Daniel Mendelsohn sul “New Yorker”.  Dove spiega: “Mitologizzando le origini troiane dell’Impero romano, Virgilio ha rivoltato una storia di perdenti in un’epica di vincitori”. Che non è una novità, ma rivolta il senso comune dell’operazione virgiliana – o augustea: gli imperi periscono, e rinascono.
L’“Eneide” è anche all’origine della mitologia della Grande Proletaria di Pascoli, del Novecento italiano – anche di questo Millennio “gialloverde”, se sarà.
Un’altra considerazione è: poniamo che “l’Espresso” ponesse lo steso quesito ai lettori italiani.


letterautore@antiit.eu

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