lunedì 22 ottobre 2018

Morire d’amore, prima di Macron

Non è un racconto, della scrittrice canadese, è una cronaca. Nemmeno una cronaca raccontata, sulla scia di Capote cinque anni prima, “A sangue freddo”: Mavis Gallant non parla con i protagonisti dell’affaire: si limita a ricostruire la ricostruzione che ne hanno fatto i media francesi, che non hanno fatto che parlarne. È un racconto doppio, di una vicenda, e di come essa è raccontata – Gallant interviene a tre anni dai fatti, dopo il film che Cayatte ne ha tratto nel 1971, “Morire d’amore”.
L’interesse è della vicenda: Gabrielle Russier (nel film Annie Girardot), trentunanni, separata con due gemelli, che accudisce severa, insegnante, s’innamora di Christian Rossi, sedici anni, a una manifestazione di piazza. La brutta copia di quella che avrebbero vissuto venticinque anni più tardi Brigitte Trogneaux e Emmanuel Macron. Analoga in tutto, eccetto che nella differenza di età, quindici nel caso in questione, ventiquattro in quella di Macron. E nella conclusione, felice per Macron, traumatica in quella che qui si racconta - i frutti del Sessantotto maturano in ritardo, nel 1993 si potrà fare quelo che non si poté nel 1968-1969.  
Analoghi anche i comportamenti dei coprotagonisti. I mariti delle due donne, solidali. I genitori dei due ragazzi, comprensivi: cambio di scuola e di città, dissuasione morbida. Fino a un certo punto: i genitori del ragazzo, entrambi professori all’università di Aix, lui piemontese, dopo qualche mese ritengono l’equilibrio del figlio minacciato da Gabrielle e la denunciano per circonvenzione d’incapace. Sarà processata, il governo vuole una condanna – è presidente Pompidou, un banchiere letterato. La condanna sarà lieve, un anno con la condizionale. Ma dopo un processo spettacolo, e Gabrielle finisce suicida.
Mezzora dopo la sentenza lieve il Pubblico Ministero, obbedendo a un richiamo del ministero dell’Istruzione, ha presentato appello. Allo scopo di ottenere una condanna da iscrivere nel casellario giudiziario, e impedire così che Gabrielle Russier possa avere uno statuto di dipendente pubblico.
Mavis Gallant ne trae la morale all’inizio, presentando il caso al pubblico americano: “Don Giovanni esercita un ruolo normale in società, mentre le donne sono state portatrici di guai fin dalla Genesi”. Ma poi ne fa un racconto di estremo interesse. I genitori del ragazzo sono comunisti. Il ragazzo è maoista. Dopo la morte di Gabrielle il presidente cita in tv una poesia di Paul Éluard, patriota, comunista, su una ragazza martirizzata dalla società perché innamorata della persona sbagliata… “Il tema del ragazzo e della donna matura è ripetuto nella narrativa e il teatro in Francia. Gabrielle lo sapeva poiché insegnava Racine e Stendhal, Colette e Radiguet”.
Gabrielle era protestante, figlia di un noto avvocato parigino, e di un’americana dell’Utah, nipote di un religioso, ma girava su una Dyane rossa, si firmava anche “Dyana Rossa”, all’italiana (scrive anche a Christian in italiano, un telegramma in particolare, che la porterà in prigione e in tribunale), e regalava agli studenti libri di Sartre e Vian. Non abbastanza per scandalizzare i genitori di Christian marsigliesi – la scena è Marsiglia – ma sì per i media. Piccola e minuta, aveva trent’anni ma ne dimostrava diciotto. “una hippie androgina”, per dire che aveva poco seno e pochi fianchi, “non era bella”, non rideva e nemmeno sorrideva, “i suoi studenti l’adoravano, la chiamavano Gatito, che in spagnolo è gattino, e le davano il tu, che in Francia è inconsueto, anche ai bambini si dà il voi…” Una storia struggente, senza essere sentimentale.
Mavis Gallant, Immortal Gatito, “The New Yorker”, free online

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