Il richiamo a Orazio è un
colpo da amico vero – Flaiano era solitario e malinconico (alla rierca, in
Canada ma anche altrove, di “un’infanzia che non aveva avuto”) , ma aveva
grandi, buone amicizie: “Ho sempre pensato che Orazio dovesse assomigliare a
Flaiano, nei suoi vagabondaggi per la città, nel suo orrore per i seccatori,
nel suo desiderio di difendere il suo ‘ozio’ di scrittore. Come Orazio, Flaiano
era venuto a Roma dalla provincia dell’Abruzzo”. E come Orazio era un po’
scettico un po’ sentimentale.
Giovanni Russo aveva qui raccolto gli articoli che via via aveva pubblicato su Flaiano, dopo la morte prematura
dello scrittore, nel 1972, poco più che sessantenne. Testi quindi un po’
ripetitivi, ma con più punti di interesse. Con molti personaggi, anche, poi a torto dimenticati: Paolo Pavolini. Maccari soprattutto, Rasia, la famiglia di Cesaretto Guerra, che gestiva l'omonima fiaschetteria a Roma. In coda un dettagliato memoir dello stesso Russo, la sua vita e le sue opere, e la esumazionecdi altri personaggi trascurati, Missiroli, Aldo Garosci.
La raccolta è di quasi trent’anni fa,
e si voleva necessaria, lamenta Russo, perché troppi, morto Flaiano, ne
vantavano confidenze e aneddoti spuri. Ma non si direbbe: Flaiano resta da
scoprire. .
Un “non notabile”, anche in
morte. Benché abbia sempre operato “al centro”. Della cultura laica, i primi
anni de “Il Mondo”. Del cinema: sceneggiatore dei migliori film di Fellini,
nonché di Antonioni, Rossellini, Monicelli, Zampa. Della letteratura: fu
subito premio Strega, col suo primo romanzo, poi unico. Del teatro, con qualche
insuccesso – “Un marziano a Roma”. Del giornalismo, a “L’Espresso” e al
“Corriere dela sera”. “Soleva dire”, ricorda Russo, “che lui e Pannunzio (il
creatore e animatore del “Mondo”, n.d.r.) erano nati nello stesso giorno e anno
ma essendo Pannunzio nato un’ora prima gli spettava di fare sempre il direttore
e a lui mai”.
Insofferente della malafede,
e per questo blandamente anticomunista: “Contro le mode e i conformismi di ogni
genere, e il più irritante era quello di sinistra, l’adulazione per le masse e
il partito guida, che nascondeva la smania di riconoscimenti, di premi, la
vanità”. Un’insofferenza che si pagava – si paga – caro, con l’isolamento, in
vita e in morte: “Quando morirò”, diceva nel ricordo di Russo, “i giornali
comunisti scriveranno che sono stao uno scrittore borghese”. Commenta Russo: “E
infatti lo scrissero. Ma per poco, soprattutto si impegnarono a cancellarlo.
Votato all’anarchia, anche
nelle amicizie, con Fellini, con lo stesso Russo. All’anarchia anche propria,
la Fai di Carrara. Come Maccari, suo gemello benché maggiore.
Giovanni Russo, Flaianite
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