Confine
–
“Antica ipnosi bianca” lo dice Giorgio Manganelli, “Viaggio in Africa”, “i
confini per cui si muore”. Ma di fatto è stato ovunque sempre un limite
invalicabile, di clan o tribù, di famiglia, di persona, un cerchio protettore.
Il concetto sussidiario che “la mobilità nomade vanifica la rigidità dei
confini” vale solo per le terrae nullius, gli spazi aperti che sono del primo occupante, e non
stabilmente.
Evoluzione
–
Quella dell’uomo è l’intelligenza dell’evoluzione stessa. Che diventa sua
creazione. Sebbene in un mondo che lui non ha creato.
È la creatività. A opera, si sarebbe
detto un tempo, dello spirito – dello slancio vitale, del prometeismo. Di uno
scarto, una diversa capacità, dell’uomo nella natura, uguale a se stessa – poco
evolutiva, sebbene imprevedibile. Non c’è altro essere nemmeno lontanamente
altrettanto inventivo, costruttivo. Evolutivo, pur restando lo stesso.
Futuro
–
Non c’è in alcune lingue. Nel greco per esempio, sostituito dall’aoristo, “tempo
indefinito”, cioè il tempo continuo. Quindi non nei dialetti meridionali
radicati nel greco più che nel latino. Non c’è “nelle lingue africane del ceppo
bantù” (Frobenius), cioè dell’Africa nera. e non come orizzonte ristretto agli impegni
personali, alle cose da fare, utilitaristico.
Il futuro s’impone con la storia. Non in
quanto culto della memoria ma in quanto prospettivista o situazionista. Giorgio
Manganelli ne ha la percezione in “Viaggio in Africa”, 1970, pp.46-47: “La
categoria del futuro come spazio temporale da organizzare pare estranea ai
linguaggi che esprimono un modo di essere ciclico, in cui un segmento del tempo
non si diversifica qualitativamente da
un altro segmento seguente successivo. Forse fino a qualche decennio or sono,
tempo ciclico e tempo continuato potevano sovrapporsi e convivere; ma oggi in
qualunque modo, lungo qualunque tavola di lavori ci si orienti, la storia è in
primo luogo elaborazione, progettazione del futuro”.
Galileo – La
lettera a Benedetto Castelli ritrovata alla biblioteca della Royal Society di
Londra da Salvatore Ricciardo, con i ripensamenti e le cancellature, che si porta
a prova dell’abiura di Galileo per evitare la condanna della Chiesa, è un tentativo
di conciliare verità e fede. Normale per un credente. Non dovuta dallo
scienziato, se non come presa d’atto del problema, se è un credente. . Non un segno d’ipocrisia o di debolezza.
La
denuncia di questa lettera, invece, da parte del domenicano Niccolò Lorini, assomma
in sintesi le colpe della giustizia quando nuove dal risentimento. Che è quella
dei denunciatori di professione: i fanatici, oppure i falliti – ora nella
categoria “pentiti”. La lettera di Galileo è più o meno la stessa del denunciante.
Ma sono due entità opposte, di un credente e di un mestatore.
Nel giudizio dello stesso
papa Urbano VIII Barberini se non del cardinale san Roberto Bellarmino, la
differenza è fatta. Galileo “sa”, e sa anche che ciò che sa si deve conciliare
con le Scritture, ma non sa come, e non potrebbe saperlo. La “cosa certa”
dello scienziato non è definibile in un quadro teologico. Per lo scienziato
certamente il quadro teologico resta indefinito e anche nebuloso, senza colpa.
In questo campo si rimette all’Autorità.
Intuito
–
È una ragione “superiore”, sebbene animalesca, istintuale. Corroborata da
elementi vari: esperienza, più o meno inconscia, sensibilità, nervi, training,
ambiente… Che però non ne fanno un esito
certo prevedibile, al contrario: è una combinazione casuale di elementi dati,
materiali.
Ipocrisia
–
Da peccato mortale – tradimento, prepotenza, menzogna - passa a veniale: bugia
ma a fin di bene, riservatezza, prudenza. A proposito di Galileo – dello
scienziato di fronte alla religione o alla teologia. E nel commercio umano in
generale: la comunicazione di una notizia che può ferire, una riserva in attesa
degli eventi, una sospensione del giudizio in attesa di elementi certi, una
forma di cortesia.
Perversione
–
Si arguisce dello – si riduce allo – stimolo o piacere sessuale, onanistico o
di coppia. Fino alla mutilazione e al soffocamento. Ora liberamente, in rete o
sui media. E come manifestazione di libertà, obliterando nozione e concetto di
aberrazione e follia. La naturalità essendo stata dismessa: il sesso non è più naturale,
l’alimentazione non lo è, non c’è fisiologia, non c’è metabolismo, e anche la
natura è “comportamentale” – mutevole, adattabile, manovrabile. E non - non più
- come eccesso, ma come normalità. Un circolo vizioso, dal rifiuto della normalità
alla normalità del rifiuto.
La normalità dell’eccesso è una
contraddizione, ma si vuole la regola. Una contraddizione doppia, in quanto accomuna
gli opposti e in quanto riafferma la regola che nega.
Progresso – Non
è una freccia, ma il motore dello sviluppo è unidirezionale. A più valvole o
pistoni ma in un solo senso. Organizza ferreo. Annulla (domina) anche il tempo.
E omogeneizza le condizioni di vita, per tutti e ognuno. Macchina
incontestabile, indiscutibile. Un bulldozer calcificante: polverizza e aggrega.
Dalla sua avendo l’assenza di alternativa, il contrario di progresso essendo il
regresso, ipotesi sciocca.
È anche
la forza che anima il passato. Come rovina o come reperto archeologico. E anzi
il passato salda al (recupera nel) futuro.
Recupera tutto, è solo il presente che salta. La vita alimentando di aspettativa
e memoria. Per mantenerla inquieta – l’inquietudine è l’anima del progresso.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento