giovedì 4 ottobre 2018

Secondi pensieri - 362

zeulig


Confine – “Antica ipnosi bianca” lo dice Giorgio Manganelli, “Viaggio in Africa”, “i confini per cui si muore”. Ma di fatto è stato ovunque sempre un limite invalicabile, di clan o tribù, di famiglia, di persona, un cerchio protettore. Il concetto sussidiario che “la mobilità nomade vanifica la rigidità dei confini” vale solo per le terrae nullius, gli spazi  aperti che sono del primo occupante, e non stabilmente.

Evoluzione – Quella dell’uomo è l’intelligenza dell’evoluzione stessa. Che diventa sua creazione. Sebbene in un mondo che lui non ha creato.
È la creatività. A opera, si sarebbe detto un tempo, dello spirito – dello slancio vitale, del prometeismo. Di uno scarto, una diversa capacità, dell’uomo nella natura, uguale a se stessa – poco evolutiva, sebbene imprevedibile. Non c’è altro essere nemmeno lontanamente altrettanto inventivo, costruttivo. Evolutivo, pur restando lo stesso.

Futuro – Non c’è in alcune lingue. Nel greco per esempio, sostituito dall’aoristo, “tempo indefinito”, cioè il tempo continuo. Quindi non nei dialetti meridionali radicati nel greco più che nel latino. Non c’è “nelle lingue africane del ceppo bantù” (Frobenius), cioè dell’Africa nera.  e non come orizzonte ristretto agli impegni personali, alle cose da fare, utilitaristico.
Il futuro s’impone con la storia. Non in quanto culto della memoria ma in quanto prospettivista o situazionista. Giorgio Manganelli ne ha la percezione in “Viaggio in Africa”, 1970, pp.46-47: “La categoria del futuro come spazio temporale da organizzare pare estranea ai linguaggi che esprimono un modo di essere ciclico, in cui un segmento del tempo non si diversifica qualitativamente  da un altro segmento seguente successivo. Forse fino a qualche decennio or sono, tempo ciclico e tempo continuato potevano sovrapporsi e convivere; ma oggi in qualunque modo, lungo qualunque tavola di lavori ci si orienti, la storia è in primo luogo elaborazione, progettazione del futuro”.

Galileo – La lettera a Benedetto Castelli ritrovata alla biblioteca della Royal Society di Londra da Salvatore Ricciardo, con i ripensamenti e le cancellature, che si porta a prova dell’abiura di Galileo per evitare la condanna della Chiesa, è un tentativo di conciliare verità e fede. Normale per un credente. Non dovuta dallo scienziato, se non come presa d’atto del problema, se è un credente. .  Non un segno d’ipocrisia o di debolezza.
La denuncia di questa lettera, invece, da parte del domenicano Niccolò Lorini, assomma in sintesi le colpe della giustizia quando nuove dal risentimento. Che è quella dei denunciatori di professione: i fanatici, oppure i falliti – ora nella categoria “pentiti”. La lettera di Galileo è più o meno la stessa del denunciante. Ma sono due entità opposte, di un credente e di un mestatore.
Nel giudizio dello stesso papa Urbano VIII Barberini se non del cardinale san Roberto Bellarmino, la differenza è fatta. Galileo “sa”, e sa anche che ciò che sa si deve conciliare con le Scritture, ma non sa come, e non potrebbe saperlo. La “cosa certa” dello scienziato non è definibile in un quadro teologico. Per lo scienziato certamente il quadro teologico resta indefinito e anche nebuloso, senza colpa. In questo campo si rimette all’Autorità.

Intuito – È una ragione “superiore”, sebbene animalesca, istintuale. Corroborata da elementi vari: esperienza, più o meno inconscia, sensibilità, nervi, training, ambiente…  Che però non ne fanno un esito certo prevedibile, al contrario: è una combinazione casuale di elementi dati, materiali.  

Ipocrisia – Da peccato mortale – tradimento, prepotenza, menzogna - passa a veniale: bugia ma a fin di bene, riservatezza, prudenza. A proposito di Galileo – dello scienziato di fronte alla religione o alla teologia. E nel commercio umano in generale: la comunicazione di una notizia che può ferire, una riserva in attesa degli eventi, una sospensione del giudizio in attesa di elementi certi, una forma di cortesia.

Perversione – Si arguisce dello – si riduce allo – stimolo o piacere sessuale, onanistico o di coppia. Fino alla mutilazione e al soffocamento. Ora liberamente, in rete o sui media. E come manifestazione di libertà, obliterando nozione e concetto di aberrazione e follia. La naturalità essendo stata dismessa: il sesso non è più naturale, l’alimentazione non lo è, non c’è fisiologia, non c’è metabolismo, e anche la natura è “comportamentale” – mutevole, adattabile, manovrabile. E non - non più - come eccesso, ma come normalità. Un circolo vizioso, dal rifiuto della normalità alla normalità del rifiuto.
La normalità dell’eccesso è una contraddizione, ma si vuole la regola. Una contraddizione doppia, in quanto accomuna gli opposti e in quanto riafferma la regola che nega.

Progresso – Non è una freccia, ma il motore dello sviluppo è unidirezionale. A più valvole o pistoni ma in un solo senso. Organizza ferreo. Annulla (domina) anche il tempo. E omogeneizza le condizioni di vita, per tutti e ognuno. Macchina incontestabile, indiscutibile. Un bulldozer calcificante: polverizza e aggrega. Dalla sua avendo l’assenza di alternativa, il contrario di progresso essendo il regresso, ipotesi sciocca.
È anche la forza che anima il passato. Come rovina o come reperto archeologico. E anzi il passato  salda al (recupera nel) futuro. Recupera tutto, è solo il presente che salta. La vita alimentando di aspettativa e memoria. Per mantenerla inquieta – l’inquietudine è l’anima del progresso.

zeulig@antiit.eu

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