Le frasi fatte, talvolta
senza senso, di uso quotidiano montate in serie: proverbi, locuzioni avverbiali,
modi di dire, ripetitivi, familiari, duraturi, contingenti. Con effetti anche
esilaranti, ma rari.
Un esercizio non nuovo. Il
genere è prevalentemente centro italiano, da Longanesi e Fratini ai toscani,
Papini, Prezzolini, Malaparte eccetera – etrusco? Vuole un certo spiritaccio
alla base, alla Bartali. Di parte o di programma. Senza contare che la frase
fatta o luogo comune, che tanto irritava Flaubert (ma era uno irritabile, di
suo sprovvisto di senso del ridicolo), è anche colloquiale e idiomatica, e può
avere usi e effetti creativi - su “il tempo dirà” e “io te l’avevo detto” Auden
ha costruito una delle poesie più semplici e memorabili.
Il napoletano De Silva ne fa
un esercizio di bravura. Un repertorio, all’insegna della insoddisfazione e del
risentimento, più che dello scherzo, che connotano questo primo millennio. La
raccolta l’editore eleva a critica del linguaggio. Con richiami a Woody Allen e
Groucho Marx. Ma niente al confronto,
niente di fulminante. Anche perché l’esercizio è qui estenuato,
allungato col parlare corrente, di per sé anodino. E a casi incidentali – “il
preservativo si trova sempre nel cassetto lontano”. Non siamo stupidi per
questo, e nemmeno intelligenti. “Ormai di sinistra c’è rimasto papa Francesco”
non fa ridere e non fa piangere, e non è banale, è un’invettiva stanca.
Il millennio si vive in
superficie ma non per colpa del linguaggio, che ne è vittima anch’esso. Del
mercato e della menzogna. Si ride per non piangere? Si dicono luoghi comuni per
non dire le cose come stanno?
Diego De Silva, Superficie, Einaudi, pp.112 € 12
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