Merita ritornare su “Ordine mondiale”, il penultimo libro di
Kissinger, perché anticipa l’attualità quasi al dettaglio – anche l’ultimo,
“Sulla Cina”, anticipava la realtà, di dazi e controdazi, e della tentazione
militare cinese. La anticipa sul lato informazione, anche se Kissinger si
dichiara analfabeta in materia di tecnologie digitali.
Il saggio è professorale, distaccato. Sull’“ordine mondiale” in
Europa – “L’unicità dell’Ordine Europeo”. Nell’islam. Con l’Iran. In Asia. E
sul concetto di ordine degli Stati Uniti, superpotenza ambivalente – che si
nega cioè. La soluzione proponendo che già proponeva da segretario di Stato,
nel 1974, del multilateralismo. Di un equilibrio delle nazioni – Kissinger è
studioso e teorico delle politiche di equilibrio, la balance of power,
tra interessi ostili oppure affini ma concorrenti. Con alcune illuminazioni a
lato. Concentrarsi sull’armamento nucleare libera gli interessi regionali alla
sfida prolungata contro le potenze, è una. Ma di più ne sa sull’informazione,
nell’età dell’informatica.
Nel 2014 parla di campagne presidenziali trasformate in “confronti
mediatici tra operatori internet”. Ancora senza Steve Bannon e le spie russe,
ma con i candidati ridotti a brand, a
“portavoce di operazioni di marketing”. Anzi no, c’è pure il Russiagate: il
Kissinger cyberanalfabeta sa già che “un portatile può avere conseguenze
globali”. Anche senza complotto: “Un attore solitario con sufficiente capacità
di calcolo può accedere al cyberdominio per disabilitare e potenzialmente
distruggere infrastrutture chiave, da una posizione di quasi completo
anonimato”.
Kissinger va anche un passo più in là, a un accordo sull’uso del
cyberspazio analogo a quelli suoi sui missili e la potenza nucleare. “Una
qualche definizione di limiti”, chiede, in “un accordo su regole di reciproco
autocontrollo”. Il realpolitiker si
fa a questo proposito profetico: il cyberspazio è “strategicamente decisivo”.
Di più: la “prossima guerra” si combatterà in rete.
Ha pure il populismo invasivo dei primi
arrivati, “individui di oscura estrazione” liberi di manipolare la politica, al
punto che “la stessa definizione di autorità statale può diventare sfuggente”. Le
opinioni pubbliche sono sempre eccessive, nella militanza come nella passività,
ma oggi sono praticamente senza giudizio: l’“interazione quasi costante con uno
schermo durante tutto il giorno” che “televisione, computer e smartphone
formano”, è inaffidabile. Per “la sua enfasi sul fattuale piuttosto che sul
concettuale, su valori plasmati dal consenso piuttosto che
dall’introspezione”, dal giudizio.
Fattuale per il realista politico è
superficiale: il vizio della navigazione oggi rimette in gioco tutti i dati
della partecipazione, o controllo democratico. Non solo sugli eventi
internazionali, sempre complessi, ma su ogni decisione di politica nazionale,
dalle elezioni presidenziali alle scelte locali. Si perdono “la conoscenza
della storia e della geografia”, e il senso comune, “la mentalità necessaria
per percorrere sentieri politici poco battuti”.
Dire che prevede anche Trump è dire troppo e troppo poco. A meno
della caratterialità e dei tweet, la politica commerciale e diplomatica
americana di questi ultimi anni, post-Obama c’è tutta. Kissinger non chiede né
prospetta una guerra commerciale, ma sa e dice che gli Stati Uniti devono
proteggersi: motore mondiale sì ma senza ledere i propri interessi. Mentre è
stato esplicito, subito dopo la pubblicazione del libro, nelle presentazioni e
nei commenti, contro l’accordo con l’Iran firmato da Obama.
Henry Kissinger, Ordine mondiale,
Oscar pp. 405 € 16
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