lunedì 19 novembre 2018

L'ordine di Kissinger

Merita ritornare su “Ordine mondiale”, il penultimo libro di Kissinger, perché anticipa l’attualità quasi al dettaglio – anche l’ultimo, “Sulla Cina”, anticipava la realtà, di dazi e controdazi, e della tentazione militare cinese. La anticipa sul lato informazione, anche se Kissinger si dichiara analfabeta in materia di tecnologie digitali.
Il saggio è professorale, distaccato. Sull’“ordine mondiale” in Europa – “L’unicità dell’Ordine Europeo”. Nell’islam. Con l’Iran. In Asia. E sul concetto di ordine degli Stati Uniti, superpotenza ambivalente – che si nega cioè. La soluzione proponendo che già proponeva da segretario di Stato, nel 1974, del multilateralismo. Di un equilibrio delle nazioni – Kissinger è studioso e teorico delle politiche di equilibrio, la balance of power, tra interessi ostili oppure affini ma concorrenti. Con alcune illuminazioni a lato. Concentrarsi sull’armamento nucleare libera gli interessi regionali alla sfida prolungata contro le potenze, è una. Ma di più ne sa sull’informazione, nell’età dell’informatica.
Nel 2014 parla di campagne presidenziali trasformate in “confronti mediatici tra operatori internet”. Ancora senza Steve Bannon e le spie russe, ma con i candidati ridotti a brand, a “portavoce di operazioni di marketing”. Anzi no, c’è pure il Russiagate: il Kissinger cyberanalfabeta sa già che “un portatile può avere conseguenze globali”. Anche senza complotto: “Un attore solitario con sufficiente capacità di calcolo può accedere al cyberdominio per disabilitare e potenzialmente distruggere infrastrutture chiave, da una posizione di quasi completo anonimato”.
Kissinger va anche un passo più in là, a un accordo sull’uso del cyberspazio analogo a quelli suoi sui missili e la potenza nucleare. “Una qualche definizione di limiti”, chiede, in “un accordo su regole di reciproco autocontrollo”. Il realpolitiker si fa a questo proposito profetico: il cyberspazio è “strategicamente decisivo”. Di più: la “prossima guerra” si combatterà in rete.
Ha pure il populismo invasivo dei primi arrivati, “individui di oscura estrazione” liberi di manipolare la politica, al punto che “la stessa definizione di autorità statale può diventare sfuggente”. Le opinioni pubbliche sono sempre eccessive, nella militanza come nella passività, ma oggi sono praticamente senza giudizio: l’“interazione quasi costante con uno schermo durante tutto il giorno” che “televisione, computer e smartphone formano”, è inaffidabile. Per “la sua enfasi sul fattuale piuttosto che sul concettuale, su valori plasmati dal consenso piuttosto che dall’introspezione”, dal giudizio.
Fattuale per il realista politico è superficiale: il vizio della navigazione oggi rimette in gioco tutti i dati della partecipazione, o controllo democratico. Non solo sugli eventi internazionali, sempre complessi, ma su ogni decisione di politica nazionale, dalle elezioni presidenziali alle scelte locali. Si perdono “la conoscenza della storia e della geografia”, e il senso comune, “la mentalità necessaria per percorrere sentieri politici poco battuti”.
Dire che prevede anche Trump è dire troppo e troppo poco. A meno della caratterialità e dei tweet, la politica commerciale e diplomatica americana di questi ultimi anni, post-Obama c’è tutta. Kissinger non chiede né prospetta una guerra commerciale, ma sa e dice che gli Stati Uniti devono proteggersi: motore mondiale sì ma senza ledere i propri interessi. Mentre è stato esplicito, subito dopo la pubblicazione del libro, nelle presentazioni e nei commenti, contro l’accordo con l’Iran firmato da Obama.

Henry Kissinger, Ordine mondiale, Oscar pp. 405  € 16

Nessun commento:

Posta un commento