“Machiavelli, il primo
filosofo della storia dell’epoca moderna, e un pioniere della società borghese
nella sua fase ascendente”. Avviandosi ad analizzare Hobbes, Horkheimer è
ancora sotto il fascino di Machiavelli, che ha appena esaminato: c’è
Machiavelli all’inizio dela “filosofia della storia” borghese, dichiarando in
apertura. Seguito un secolo dopo da Hobbes, che il nuovo ordine e la ragione
però riporta allo Stato, assoluto, non ponendosi il problema della libertà. E
due secoli dopo da Vico, che la storia abbandona alla provvidenza, ma a quella
del suo significato lessicale, dell’uomo che proved e ai suoi bisogni, e gli
studi storici impianta come analisi critica delle fonti storiografiche.
La filosofia della storia è
la “filosofia borghese della storia”,
Horkheimer non cessa di ribadirlo. Non perenta: “I problemi
“storico-filosofici” di oggi, del 1930, originano “nella stessa situazione
storica”, dei sommovimenti della società borghese. Col contrappunto degli
utopisti, che invece idealizzano una società senza steccati, e senza diritti proprietari:
nell’ideale universalista della chiesa Moro e Campanella, in quello della
rivolta Müntzer. L’ultimo saggio è una critica breve, quasi derisoria, di “quello
strumento magico che è il concetto idealista della conoscenza” in Hegel, nella
“dottrina dell’Identità” soggettiva. La stessa metafisica incatenando al “mito
idealista dell’unità del pensiero e dell’essere”.
Riflessioni sparse, “”a propria
edificazione” avverte Horkheimer. A riscontro della sua convinzione che la
filosofia della storia mette radici “nelle formazioni ideologiche
particolarmente important della prima epoca borghese”.
Di Machiavelli è “la
concezione psicologica della storia, la storia fatta dagli individui. Hobbes
introduce la società, nella ‘Dottrina del diritto naturale’”, e “segnala anche
il problema dell’ideologia, funzione
determinata nella lotta sociale”. In parallelo si sviluppo l’utopia:
“L’ideologia produce l’apparenza dell’ordine «vero» e giusto dell’esistenza; l’utopia al contrario ne è il sogno”. La
“nuova scienza” di Vico, “e il suo pezzo di bravura, è quando analizza la mitologia come riflesso dei rapporti
politici”.
Prosa chiara e spedita. Un
riconoscimento di Machiavelli pieno, senza riserve. Come quello che applicò
per la prima volta alle scienze umane i criteri della nuova scienza che si
venivano formulando nel primo Cinquecento. Un libro che non si ristampa più da
quarant’anni, allora proposto da Giorgio Backhaus, col titolo completo, “Gli
inizi della filosofica borghese della storia”
– in Germania non più da cinquanta, dalla prima edizione nel 1969.
Più distesamente, e più a suo
agio, Horkheimer tratta di Machiavelli: “Il grande merito d Machiavelli è di
avere riconosciuto, all’alba della nuova scietà, la possibilità di una scienza
della politica corrispondente nei suoi principi alla nuova fisica e alla nuova
psicologia, e di averne espresso, in modo semplice e preciso, i tratti
fondamentali”. Avendo coscienza di ciò che intraprende, in tutti gli scritti,
eccetto quelli “artistici”, e compresa la sua “eccellente ‘Storia di Firenze’”.
Una possibilità basata sul “principio dell’uniformità del corso delle cose” e
della “invariabilità della natura umana” - «Tutti gli uomini nascono, vivono e
muoiono seguendo sempre le stesse leggi»”.
La “virtù”. Concetto
centrale, e controverso, di Machiavelli, ha “però giocato un ruolo decisivo
nella storia della filosofia”. Di senso
evolutivo più che controverso, andando rapportato “all’insieme dei rapporti che
condizionano l’esistenza dell’epoca determinata”. Al tempo di Machiaelli è “la
libertà borghese”. In generale, “una buona forma di Stato possiede della
«virtù» se realizza le condizioni per cui i suoi cittadini possano svilupparvi
le loro virtù”. Il machiavellismo, il
“cinismo politico estremo”, liquidando come imteso a un fine non cinico, “la
realizzazione e il mantenimento durevole di uno Stato forte e centralizzato
come condizione della prosperità borghese” – “se si vuole riassumere il contenuto
del ‘Principe’ e dei ‘Discorsi’ nella formula il fine giuistifica i mezzi, però
bisogna precisare almeno che questo fine è l’instaurazioe del migliore dei
mondi possibili”. Nel quadro delle “tendenza materialista”, che lo accomunerà Spinoza
e Hobbes, ma senza l’irreligiosità, o riduttivismo razionalistico.
Resta il problema “a chi
serve la scienza politica”. Al principe per fare l’unità dell’Italia. Ma
repubblicano e perfino democratico. Nella coscienza che nessuna forma di
governo è la migliore o definitiva. Molto Machiavelli ha capito partendo dal
fatto che “la prosperità dell’insieme dipende dallo sviluppo delle relazioni
sociali, dalla soppressione degli ostacoli allo sviluppo delle capacità borghesi
nel commercio e nell’industria, dal libero gioco delle forze economiche –
questa evoluzione della società non potendeo essere assicurata che da un
potente potere di Stato”.
Di Hobbes non ci sono punti controversi,
se non l’assolutismo – molta scienza a un fine discutibile. La sua novità è, con l’illuminismo, l’aver “posto per la
prima volta nella storia della filosofia moderna il problema dell’ideologia, delle idée riconosciute come false che però dominano
la realtà sociale”. Anche in lui, “ciò che si esprime senza ambiguità negli
scritti, come in quelli di Spinoza e dei «philosophes», è la fiducia nella
forma di organizzazione della società borghese”. L’iter si perfezionerà
nell’idealismo, di Kant e anche di Hegel, dello Stato Borghese compiuto. Che
gli utopisti, agli inizi, si erano eretti per contestare.
Gli utiposti nascono mentre la
società borghese si impone, per contestarla. I due fedeli cattolici, Moro e
Campanella, richiamandosi all’ideale cristiano della comunità di eguali –
Müntzer, poco considerato, proponendo invece la rivolta. Anticipatori della “teoria
di Rousseau, degli uomini buoni per natura, corrotti dalla proprietà”.
Vico è “il primo vero
filosofo della storia dell’epoca moderna”. Per il suo assunto, la provvidenza –
per la quale ha ancora molto da dire . Che alla p. 123 della “Scienza nuova”
spiega esemplare: il verso enso della parola è quello che le è valso l’appellativo
di “divinita”, da divinari, il verbo latino
per dire “capire ciò che è nascosto”. E per “le ricerche empiriche che ha effettuato
a questo scopo”.
L’ammirazione è senza reserve
per Vico. Di cui si compiace di elaborare la “teoria della mitologia”, uno dei “quattro
elementi fondamentali del mondo sociale”, come Vico li chiama con i matrimoni, i
rifugi, e la prima legge agraria.”Un precursore dell’interpretazione antropologica
della religione di Feuerbach”.
Max Horkheimer, Les débuts de la philosophie bourgeoise,
Payot, pp. 189 € 8,50
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