http://www.antiit.com/2018/11/a-sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-380.html
La Nobel afroamericana si chiede come si arriva alla differenza, noi e gli altri. Per razzismo? Non può essere, il razzismo non ha più seguito, anche l’uomo semplice va in chiesa: “La razza è la classificazione di una specie, e noi siamo la razza umana, punto”. Dopodiché resta da spiegare il bisogno, generale, inestinguibile, di creare il diverso: “Che cos’è quest’altra cosa – l’ostilità, il razzismo sociale, l’Altrismo (Othering, creazione dell’Altro)?” Un bisogno impellente, e gratificante. “Quale è la natura del conforto nell’Altrismo”, si chiede la scrittrice, “il fascino, il suo potere (sociale, psicologico o economico)?” La risposta è ovvia: “È il brivido dell’appartenenza – che implica essere parte di qualcosa di più grande che il proprio sé solitario, e quindi più forte?” Ma per un motivo non scontato: “La mia prima risposta va verso un bisogno socio-psicologico di un “estraneo”, un Altro, al fine di definire l’io estraniato (l’uomo della folla è sempre l’uomo solo)”.
Un curioso ma importante meccanismo di identificazione. Più di quello
biologico o razziale. Più di quello economico. Un italiano non si sorprenderebbe, è il meccanismo mentale del leghismo, ma non sta a spiegarselo: come un
qualsiasi pirla della periferia milanese si ritenga superiore al dotto Prof.
Avv. Ing. di Palermo o di Sassari.
L’edizione italiana si avvale di una
prefazione di Saviano, che appunto non spiega nulla. La prefazione americana, di
Ta-Nehisi Coates, il polemista blogger afroamericano, riconduce tutto alla solita solfa anti-Trump.
Il testo di Morrison, la raccolta rivista
delle lezioni tenute due anni fa dall’allora ottantacinquenne scrittrice a
Harvard, è una lettura più nuova e acuta. Il tema si sa: che cosa spinge gli
esseri umani a costruirsi degli “Altri” da cui differenziarsi spregiativamente,
per risorse, cultura, storia, colore. Di “Altri” di cui aver paura. Come un bisogno
di avere paura. A volte irriflesso.
Morrison rilegge arguta scrittori sicuramente
non razzisti, Faulkner, Hemingway, che non hanno altro aggettivo per definire un nero che il
colore, mentre per un bianco ce ne sono tanti, alto, basso, magro, stupido – e avrebbe potuto citare anche le scrittrici bianche
del Sud, Carson McCullers, Flannery O’Connor. Commenta i diari del piantatore
Thomas Thistlewood, piantatore di zucchero in Giamaica, “un giovane inglese
altolocato”, che annota gli stupri delle schiave con la stessa freddezza emotiva
con cui annotava le visite, la tosatura delle pecore, i lavori di manutenzione,
le malattie, anche degli animali. Rivisita le verità a metà dell’eugenetica, da
Samuel Cartwright, metà Ottocento, in giù.
Il materiale non manca, è il bisogno
che va analizzato. Lezioni e testo sono introdotte da una ouverture
maestosa sulla nonna materna, attesa e riverita, che viene dal Michigan a
trovare i parenti in Ohio, e alla vista di Toni bambina e sua sorella si adombra
– si direbbe “si adultera”: “Questa bambine sono adulterate”, tuona contro la
figlia che l’accoglienza trepida ha organizzato. Non sono abbastanza nere, intende,
sono mescolate. Con disdoro di tutta la famiglia, padre, zie, zii, la stessa
madre. E delusione infine, quando Toni riesce ad afferrare il senso della parola, della scrittrice: l’innecessaria, inevitabile, apertura della ferita.
Toni Morrison, L’origine degli Altri, Frassinelli, pp. XXXV + 121, ril. € 15,90
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