“Rispunta la Banca del Sud”, si congratula
Alessandra Puato su “L’Economia”: “Voluto da Tremonti e ceduto da Caio a
Invitalia, l’Istituto del Mezzogiorno viene battezzato per la sesta volta”.
Ideato da Tremonti – “un gigante con 7 mila sportelli” – a fine 2009 con la
legge 191, “per finanziare la nascita di nuove imprese e rilanciare
l’occupazione”, naturalmente, grazie alla “presenza diffusa nel territorio” di
Poste Italiane, prese due anni solo per mettersi in marcia giuridicamente. Con
un investimento da 350 milioni. Dei quai 136 per rilevare Mediocredito Centrale
da Un icredit Banca di Roma, e 200 per “dare corpo e cassa” a una struttura di
200 dipendenti. Dislocati in 50 dei tanti uffici postali, 18 in Campania, 13 in
Puglia, 10 in Sicilia, 3 in Sardegna, altrettanti in Abruzzo, e 1 a testa in
Molise, Basilicata, Calabria. Che sarebbero diventati 250 con lo sviluppo
dell’attività. La quale però non partì.
Ci vollero due anni per vedere la Banca
del Mezzogiorno operativa (“Banca del Sud”, il nome attuale, era allora di un
istituto fondato a Napoli nel 2006). Ma il progetto fu abbandonato dal Governo
Monti-Passera quando doveva partire. Le Poste (Caio) se ne liberarono, cedendola
a Invitalia, un carrozzone inerte di iniziative fallimentari.
La
storia omerica
“ Il Comune di Amendolara prova
a mantenere alta l’attenzione sulla Secca, potenziale isola Ogigia in
attesa della definitiva consacrazione” – paese24.it. Non è un caso isolato.
Gioia Tauro vuole Oreste rifugiato da ultimo e rinsavito grazie alle acque del Metauro,
“il fiume formato da sette sorgenti” dell’oracolo di Delfi, che oggi si fatica
a rilevare sul terreno - così lo vuole il sito del Comune di Gioia, molto ben
tenuto, benché il Comune venga dopo ogni elezione sciolto per mafia: “Appena si immerse nelle acque del Metauro,
Oreste riacquistò il senno”. Non perse l’impulso omicida, ma “al ritorno” in
Grecia “ad Oreste spettò il trono di Micene ed Argo (dopo avere ucciso il
fratellastro Alete) e alla morte di Menelao anche quello di Sparta”.
Tiriolo, un paese appollaiato
in alto, a cavaliere di quella sorta di istmo che la penisola forma tra i golfi
di Squillace e Lamezia, al centro della Calabria, si vuole Scheria, la terra
amena dei Feaci. Che però erano un popolo di navigatori, “i navigatori gloriosi
Feaci”, e avevano nomi di mare, a cominciare da Nausicaa, sotto il patronaggio
di Poseidone (Poseidone Enosictono, dio dei terremoti): Nausítoo, il re eponimo dei Feaci, che guidò
per mare a Scheria in fuga dai Ciclopi,
nonno di Nausicaa, la stessa Nausicaa, Pontònoo, e “i giovani, molti e valenti”
del libro Ottavo, Nautèo, Proreo,
Ponteo, Toonte, e anche Euríalo, “il Naubolide, ch’era il più bello per aspetto
e per corpo di tutti i Feaci”. Ma non c’è luogo in Calabria che non si voglia
omerico.
Si direbbero vecchie
fantasie di vecchi solitari professori di liceo. E forse lo sono, anzi sicuramente,
chi altro ha la passione di Omero, anzi lo conosce minimamente? Benché: “Ulisse
in Italia. Calabria e Sicilia negli occhi di Omero” è opera di Armin Wolf,
medievista a Heidelberg e ricercatore del Max Planck Institut, che ha scoperto Copanello,
la Portofino (allora, oggi non è balneabile) di Catanzaro, nel 1966, e ha
decretato la Calabria la terra dei Feaci, “quella che dava frutti tutto l’anno,
la prima Italia”. È a lui che Tiriolo deve la sua consacrazione, a mezzo tra i
due golfi, di Lamezia e di Squillace, che lo studioso tedesco fa assolutamente
attraversare a Ulisse – per via di terra? Ma è l’unica forma storica di molti
luoghi in Calabra, vuota.
Amendolara ha molte altre
attrattive, per esempio una gestione amministrativa oculata, nell’edilizia, nella
nettezza urbana, nella posizione, ma non se ne cura.
La
servitù delle anime nere
“L’amica geniale”, che è una memoria
grata dell’autrice, “Elena Ferrante”, sorpresa e sorprendente, amorevole, anche
gioiosa, Saverio Costanzo rende su Rai 1 grigia e piatta. Cattiva al più, mai
gradevole, giocosa, quale è nel primo libro della serie. In altri film Costanzo
sa raccontare a più dimensioni - seppure nella stessa cifra, secca,
“rosselliniana”- e senza monotonia: in “Private”, perfino nel claustrale “In
memoria di me”. Napoli invece vuole ripetitiva, ingrigita, appena ombreggiata
nella cupezza – Napoli… per quanto di periferia. Una cupezza che il dialetto
stretto incatena: i sottotitoli in lingua creano una distanza siderale nel vero
senso della parola.
Immagini “geniale”, si direbbe, che però
non fanno bene alla visione. È l’ideologia Rai che le impone? Ma probabilmente
non c’è altra immagine del Sud: anche quando non è “Gomorra”, è sempre livido.
In Calabria non si sa
ancora come Calopresti farà il film che annuncia, tratto, alla lontana, da “Via
dall’Aspromonte” di Pietro Criaco. Il film è in lavorazione. Ma la presentazione
sui giornali locali a inizio mese era del genere “anime nere”, la solfa di Africo
– o dei Criaco.
In Calabria, sulla scia fortunata di
Corrado Alvaro, “Gente in Aspromonte”, e in Sardegna, su quella di Gavino
Ledda, l’aria si vuole irrespirabile. Pregna di violenza, tanto più per essere
cieca, di pulsioni elementari. Saverio Strati, che pure è narratore curioso,
disimpegnato, ed è stato emigrante, in mondi e occupazioni diverse prima di
fare lo scrittore, nei primi racconti di “Gente in viaggio” fa del paese, “l’origine”
direbbe Heidegger, in Calabria, un mondo senza luce. Pur in ambiente naturale
luminosissimo: un mondo cupo, ripetitivo, desolato. Sul mare, tra fiori e
profumi di bergamotti, gelsomini, liquirizia profumate stendendo il canovaccio
tetro, umido, muto, della servitù della gleba delle remote marcite russe.
Non c’è altro racconto del Sud, da Napoli
alla Sicilia, dei Rea come di Alvaro, sulla scia di Verga. Il Pirandello di
Sicilia che non lo pratica, e anzi ride (Pirandello al Sud ride), è detto
minore. Il “Gattopardo” fu rifiutato perché non rispondeva al canone.
Si narra il Sud come in un film di Abel Ferrara, di luci che sono
ombre. Che non è vero, ma è quello che si vuole, perché si vende, quello che
si vuole sentire raccontare: le “anime
nere” sono invenzione mercantile, giacché e finché si vendono. Innumerevole è
diventata in trent’anni la pubblicistica sulle mafie, che nobilitano le mafie
pretestando il contrario: non solo racconti, pullulano storie, sociologie,
coloriture (personaggi, dinastie, saghe), e statuti – in attesa dei codici?
Storie nel senso della storia - storia della mafia? che storia? e che mafia?
Quello editoriale è un commercio legittimo,
benché di consumo. Brutto è il commercio che diventa realtà psichica e quasi
fede, o comunque professione, si direbbe istintiva. Non c’è odio del Sud tanto
quanto nei meridionali.
L’universale è
locale
“Le
‘scienze’ sono, come la tecnica e in quanto tecniche, necessariamente internazionali. Un pensiero internazionale non c’è, bensì c’è
solo il pensiero universale”: è tema di
riflessione per Heidegger nei “quaderni neri” del dopoguerra (“Note I-V”, p.
81), della sconfitta del nazionalismo. Ma l’universalismo il filosofo oppone all’internazionalismo.
Anzi, l’universale dice locale: può essere, solo è, locale. Un identificarsi
nell’origine e un limitarsi per poter essere universale: “È necessariamente un
abitare nel luogo natio, unico, e nell’unico popolo di origine, in modo tale che
il pensiero non abbia scopo nazionalistico”.
Il
“luogo natio… è il radicamento che solo garantisce la crescita del’universale.
Diversamente, il pensare e il poetare restano, tecnica priva di suolo,
un’impresa di carattere letterario. Anche la poesia universale nella sua
intraducibilità: il letteratume” invece “è internazionale”.
L’emigrazione
è comunque sradicamento. Ma il legame “natio” può alleviarlo.
leuzzi@antiit.eu
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