Negli ultimi venti anni un milione 127
mila persone adulte, calcola l’Istat, hanno abbandonato il Sud per Roma e il Nord Italia. È un
saldo negativo netto sotto tutti gli aspetti, a differenza delle emigrazioni
dell’Otto-Novecento e del dopoguerra. Di competenze. Di struttura sociale:
emigra il ceto medio, l’ossatura di ogni società, lasciando gli equilibri a
perpetuamente ricomporsi, e per questo deboli, di fronte alle mafie. Senza rientri
economici, sotto forma di rimesse o investimenti domestici – la casa, il campo,
il laboratorio.
Puntata violentissima martedì de
“L’amica geniale” su Rai 1, in famiglia, in città, tra i giovani, degli adulti,
specie i padri, contro i giovani, per due ore abbondanti – in due ore di cinema
succedono moltissime cose. Seguita da nove milioni di spettatori, quasi uno su
tre, un record per la serie. Non c‘è altra immagine di Napoli che nera, senza
mai un briciolo di luce, di innocenza, spensieratezza, garbo. Giusto una maestra,
ammalata.
Circola ripescato su face book il video
di una “Addio Lugano bella” anni 1960 cantata nel salotto di Giorgio Gaber da
Otello Profazio con lo stesso Gaber, Jannacci, Lino Toffolo e Silverio Pisu.
Oggi non sarebbe immaginabile.
Erano anche vestiti di giacca, camicia
bianca e cravatta, rasati e pettinati.
Noi
siamo i luoghi
“Sono
stato accudito, innaffiato”, Camilleri felice confida a Roberta Scorranese su
“Liberi Tutti”, il settimanale del “Corriere della sera”: “E non parlo solo dei
miei 61 anni di matrimonio. A «innaffiarti» è anche il tuo sangue, la tua
terra, l’appartenenza a un mondo. Questo non è da tutti”, lo scrittore, una
vita a Roma, per quasi ottant’anni ormai, ci ripensa: “In tanti si perdono e
smarriscono il contatto con un’identità che, con gli anni e con le
vicissitudini, può diventare rarefatta. Ma non va mai persa. Ci nutre, ci
salva”.
È una verità, che in bocca a Camilleri
sembra perfino ovvia, e invece rara. L’ultimo film del regista iraniano Jafar Panahí,
“Tre volti”, è stato visto a molti festival, a partire da Cannes, ed ha avuto molte
critiche, tutte positive. Un centinaio si possono leggere in rete. Ma nessuna
lettura corretta. Letture tecniche, storiche, dei precedenti film di Panahí,
politiche, ma non del linguaggio, e della storia. Che è una ribadita, perfino
struggente, ricerca e esibizione delle radici, sociali, culturali, linguistiche,
di un mondo remoto alle porte della capitale ipertecnica, di cellulari, video,
suv, set cinematografici. Un film politico, poiché l’autore è ostracizzato dal
regime degli ayatollah, ma nel senso dell’autenticità nazionale, della
compassione, della tolleranza: delle radici. Senza proclami, attraverso il
linguaggio.
È la forza (poesia) del luogo natio, che
perfino Leopardi sentiva. Già teorizzata e raccontata da Peter Johann Hebel, nelle brevi prose de “Lo
scrigno dell’amico renano” e poi come animatore dell’almanacco “Amico di casa
renano” – da cui il “Tesoretto del’amico di Casa renano” è stato ricavato. Che il filosofo Heidegger, uno svevo
alemanno molto legato al paese, dirà “paesaggio creativo”. E una comunità di
linguaggio: “Quando alla sera, al tempo della pausa dal lavoro, siedo con i
contadini sulla panca della stufa o al tavolo sotto il Crocifisso, per lo più non parliamo affatto. Fumiamo
in silenzio le nostre pipe. Capita
che venga detta una parola…”.
Usa trapiantare l’“Odissea” nel Baltico,
o gli Argonauti sul Danubio (anche sul Volga…), ma c’è nella poesia una
“natura” nel senso proprio del termine, geografico: una realtà legata ai
luoghi. Che si è con essi determinata. Che Henry Miller, americano di Parigi,
trova in Grecia (“Il colosso di Marussi”): il viaggio in Grecia diceva punteggiato
di “apparizioni spirituali”. O Lawrence Durrell – di famiglia molto legata alla
Grecia, a Corfù: “Siamo figli del nostro paesaggio”.
I poemi omerici non possono essere
nordici. La luce (e le brume), i mari colorati, le isole vicine e lontane, la
famiglia, la casa, le parentele, non si possono leggere i poemi e pensarsi in
un altro mondo che il Mediterraneo.
La
storia omerica – 2
L’“Odissea” al Sud d’Italia è di Victor
Bérard prima che di Armin Wolf,
Ma con più cautela, e qualche pezza d’appoggio.
Tecnica, di tecnica della navigazione, non “interna al testo”: sempre fantasiosa, ma corredata di venti e correnti, misura delle coordinate, calcolo del tempo\distanza.
Bérard, geografo della Marina e in
cattedra a Parigi, notevole classicista, studioso in particolare della Magna
Grecia, esordì nei primi anni 1900 con la contestazione di Samuel Butler,
l’italianista inglese teorico di un Omero al femminile, “L’autrice
dell’Odissea”. Butler si era invaghito di Trapani, al seguito degli inglesi industriali
del Marsala, e ne aveva fatto Scheria, la terra di Nausicaa, e anche Itaca –
Graves lo seguirà nel 1955, col romanzo “La figlia di Omero”, in cui l’autrice
dell’“Odissea” non è ignota ma è Nausicaa, e lo è in quanto figlia. C’è stato
insomma un rinascimento omerico fantasioso.
In filologia Bérard debuttò criticando Butler,
con due articoli nel 1902 nella “Revue des deux mondes”, i numeri del 15 maggio
e dell’1 giugno. Nel 1924 portò a termine e pubblicò una traduzione
rivoluzionaria, in prosa ritmica, dell’“Odissea”. Il cui successo lo indusse nei
sette anni successivi a una prolifica produzione” omerica”. Per primi quattro
volumi su “La Navigation d’Ulysse”. Circostanziati, e poi poco contestati.
Dell’“Odissea” delineando una geografia che principalmente la situa nel Sud
dell’Italia: Circe al Circeo, a sud di Roma, l’isola delle Sirene a Capri,
Polifemo a Nisida, i Lestrigoni a Palau, sotto La Maddalena-Caprera-Santo
Stefano, Cariddi e Scilla nello Stretto di Messina, l’isola di Eolo alle Eolie,
l’isola del Sole identificando nella Sicilia.
Il
partito della Bistecca, o il populismo rovesciato
Molto del populismo per il plebiscito 5
Stelle in Campania e in Sicilia, e lo stesso Salvini senatore della Calabria,
si vuole meridionale. Si vuole farlo meridionale. In una con l’anarchismo e l’asocialità,
sempre meridionali. Il sottosegretario Giorgetti, ex sindaco di Cazzago Brabbia, Varese, già
segretario della Lega Lombarda, e poi capogruppo alla Camera della Lega Nord,
lo dice anche, oggi, a Montecitorio: “Credo che dalle mie parti il reddito di cittadinanza
non interessi, ma questa è l’Italia”. E invece non è vero, il partito della
Bistecca c’è sempre stato, al Nord prima che al Sud. Che, come sempre, va al
carro.
Ci fu un periodo in Sicilia, il periodo
dell’orgoglio democristiano, in cui si diceva che l’isola guidava il paese, innovando,
adattando, elaborando la politica nazionale – il “compromesso storico”, le “convergenze
parallele”, il “pentapartito”, eccetera. Quella che poi sarebbe diventata la politica nazionale. Che tutti sanno – sapevano già all’epoca
– non essere vero. Il Sud esaspera certe volute nazionali, ma non le guida. Lo
stesso col populismo.
Ora alla Scala abbiamo assistito, per la
prima della stagione, al trionfo di Mattarella. Che è siciliano, il presidente Mattarella
è siciliano. Ma lo consacrava Milano. Che è la Scala. La quale è la Milano che
ha consacrato la Lega, Milano 1, la circoscrizione più ricca e più intelligente
d’Italia, 100 mila elettori scelti, quando la Lega era Lombarda, ed era solo il
facondo incredibile Bossi.
Anche i 5 Stelle. È vero che hanno fatto
l’en plein a Sud, ma non sarebbero
stati i 5 Stelle del futuro senza Milano, i suoi giornali e i suoi soloni. Non erano il
partito del “vaffa”? Molto meno dei gilets
jaunes francesi: goliardi, Di Maio, Fico, Di Battista, al più venditori di
polizze, quelli che proprio volevano lavorare, per mancanza di mestiere. Che
Milano ha decretato il nuovo, e quindi il fiore all’occhiello, e quindi da
votare. Il Sud subito ha obbedito.
Ora, cosa c’entra il trionfo di
Mattarella alla Scala? Che Milano si è pentita, della Lega e dei 5 Stelle, e non
trova altro strumento di difesa che il presidente siciliano. È sempre Milano
che mena il gioco, ma trova solo in Sicilia l’antidoto al partito della
Bistecca, il vecchio senso dello Stato – un po’ di senso dello Stato.
La
storia capovolta, o Parsifal a Reggio Calabria
Usa
capovolgere la storia, da qualche tempo fare di Omero un poeta nordico, attorno
al Baltico, e degli Argonauti una spedizione danubiano-renana. Persuasivamente,
perché no. Ma una storia – una di più - è possibile a bussola invertita,orientata al
Sud, il Nord trasponendo al Sud. Per esempio a Reggio Calabria. La storia per esempio che Astolfo, “Vorrei andarmene ma non so dove”, in via di pubblicazione,
si fa raccontare a Berlino, nella Berlino ancora occupata dai sovietici:
“Il
signor Mimmo ha ospite un giovane compaesano, anch’esso Mimmo, Rotondo di nome
e di fatto, che tace, o parla inarrestabile. Un argomento può essere il Parsifal
del poema persiano Parsiwalnâma, che liberò
dal drago la principessa Peri Mergiana, la Fata Morgana di Reggio Calabria, nell’occidentale
città di Kapisca. Che è insieme la Kap di Parsifal e il drago Klingser del
poema di Wolfram von Eschenbach, e quindi è sempre Reggio, la città del capo.
“Un
altro argomento sono Italo e suo figlio Morgete, re della Calabria, da capo
Spartivento fino a Taranto e Salerno. Italo che diede il nome all’Italia, e a
Roma la fondatrice, prima di Romolo, la madre Roma appunto, sua figlia, detta
anche Regina – con una g o con due? Morgete, trascritto Morgante, fu esca al
noto filone.
“Una variante della prima vicenda, al
riguardo di Wolfram, è che Sigfrido uccide il drago Fafner nella “terra di
lavoro”, che è l’agro reggino nel linguaggio degli opici o aurunci ausoni, i
primi abitanti autoctoni dell’Italia, corrispondenti agli asi della mitologia
nordica. E dunque Oslo è a Reggio Calabria. I normanni l’hanno riconosciuto,
che hanno localizzato nello stretto di Messina la dimora di re Artù e della
Fata Morgana, la Persefone o Artemide degli antichi, protettrice dei reggini –
ma a Locri la pensano diversamente, e comunque Persefone se la sono presa i
tedeschi e la tengono a Berlino.
“Una variante della seconda vicenda è
che il fondatore Italo è pronipote di Noè, e quindi capostipite degli
indoeuropei. Ma forse questa è la storia principale: il placido giovanotto, che
ha studi giuridici e s’indirizza al servizio dello Stato, in veste di magistrato
o questurino, ha così sistemato un secolo di biblioteche e di razzismo.
“L’unico problema che la facondia lascia
aperto è Vitalia, o Ovitalia, che diede il nome all’Italia, e alla Calabria, a
Reggio, eccetera: è terra di Zeus, oppure terra dei buoi? E perché non terra
degli ovini? La cultura classica ha bisogno di poco, ha l’ascendente dei vecchi
miti e dei riti tribali. E si esercita etnicamente, l’identificazione su cui fa
aggio è di tipo parentale, sanguigno, la dottrina dei primati non è tanto scema.
“Un altro filone del giovane compaesano
fa perno sul cane. La costellazione e il titolo. Khan, re, è alla
radice di Ascanio o Aschenez, che fu anch’egli pronipote di Noè, quindi capostipite
degli indoeuropei. Reggio e Aschenez sono sinonimi, per l’autorità di san
Girolamo. La costellazione del Cane, col mito di Orione-Osiride, che a questo
punto conviene risparmiare al lettore, va quindi localizzata nel porto di
Reggio. Col riconoscimento implicito di Caracalla, che dedicò la terza regione
italica, la Lucania col Bruzio, a Iside e Osiride-Horo. E dunque anche l’Egitto
è a Reggio”.
leuzzi@antiit.eu
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