venerdì 14 dicembre 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (383)

Giuseppe Leuzzi


Negli ultimi venti anni un milione 127 mila persone adulte, calcola lIstat, hanno abbandonato il Sud per Roma e il Nord Italia. È un saldo negativo netto sotto tutti gli aspetti, a differenza delle emigrazioni dell’Otto-Novecento e del dopoguerra. Di competenze. Di struttura sociale: emigra il ceto medio, l’ossatura di ogni società, lasciando gli equilibri a perpetuamente ricomporsi, e per questo deboli, di fronte alle mafie. Senza rientri economici, sotto forma di rimesse o investimenti domestici – la casa, il campo, il laboratorio.

Puntata violentissima martedì de “L’amica geniale” su Rai 1, in famiglia, in città, tra i giovani, degli adulti, specie i padri, contro i giovani, per due ore abbondanti – in due ore di cinema succedono moltissime cose. Seguita da nove milioni di spettatori, quasi uno su tre, un record per la serie. Non c‘è altra immagine di Napoli che nera, senza mai un briciolo di luce, di innocenza, spensieratezza, garbo. Giusto una maestra, ammalata.

Circola ripescato su face book il video di una “Addio Lugano bella” anni 1960 cantata nel salotto di Giorgio Gaber da Otello Profazio con lo stesso Gaber, Jannacci, Lino Toffolo e Silverio Pisu. Oggi non sarebbe immaginabile.
Erano anche vestiti di giacca, camicia bianca e cravatta, rasati e pettinati.

Noi siamo i luoghi
 “Sono stato accudito, innaffiato”, Camilleri felice confida a Roberta Scorranese su “Liberi Tutti”, il settimanale del “Corriere della sera”: “E non parlo solo dei miei 61 anni di matrimonio. A «innaffiarti» è anche il tuo sangue, la tua terra, l’appartenenza a un mondo. Questo non è da tutti”, lo scrittore, una vita a Roma, per quasi ottant’anni ormai, ci ripensa: “In tanti si perdono e smarriscono il contatto con un’identità che, con gli anni e con le vicissitudini, può diventare rarefatta. Ma non va mai persa. Ci nutre, ci salva”.
È una verità, che in bocca a Camilleri sembra perfino ovvia, e invece rara. L’ultimo film del regista iraniano Jafar Panahí, “Tre volti”, è stato visto a molti festival, a partire da Cannes, ed ha avuto molte critiche, tutte positive. Un centinaio si possono leggere in rete. Ma nessuna lettura corretta. Letture tecniche, storiche, dei precedenti film di Panahí, politiche, ma non del linguaggio, e della storia. Che è una ribadita, perfino struggente, ricerca e esibizione delle radici, sociali, culturali, linguistiche, di un mondo remoto alle porte della capitale ipertecnica, di cellulari, video, suv, set cinematografici. Un film politico, poiché l’autore è ostracizzato dal regime degli ayatollah, ma nel senso dell’autenticità nazionale, della compassione, della tolleranza: delle radici. Senza proclami, attraverso il linguaggio.
È la forza (poesia) del luogo natio, che perfino Leopardi sentiva. Già teorizzata e raccontata da  Peter Johann Hebel, nelle brevi prose de “Lo scrigno dell’amico renano” e poi come animatore dell’almanacco “Amico di casa renano” – da cui il “Tesoretto del’amico di Casa renano” è stato ricavato. Che il filosofo Heidegger, uno svevo alemanno molto legato al paese, dirà “paesaggio creativo”. E una comunità di linguaggio: “Quando alla sera, al tempo della pausa dal lavoro, siedo con i contadini sulla panca della stufa o al tavolo sotto il Crocifisso, per lo più non parliamo affatto. Fumiamo in silenzio le nostre pipe. Capita che venga detta una parola…”.

Usa trapiantare l’“Odissea” nel Baltico, o gli Argonauti sul Danubio (anche sul Volga…), ma c’è nella poesia una “natura” nel senso proprio del termine, geografico: una realtà legata ai luoghi. Che si è con essi determinata. Che Henry Miller, americano di Parigi, trova in Grecia (“Il colosso di Marussi”): il viaggio in Grecia diceva punteggiato di “apparizioni spirituali”. O Lawrence Durrell – di famiglia molto legata alla Grecia, a Corfù: “Siamo figli del nostro paesaggio”.
I poemi omerici non possono essere nordici. La luce (e le brume), i mari colorati, le isole vicine e lontane, la famiglia, la casa, le parentele, non si possono leggere i poemi e pensarsi in un altro mondo che il Mediterraneo.

La storia omerica – 2
L’“Odissea” al Sud d’Italia è di Victor Bérard prima che di Armin Wolf,

Ma con più cautela, e qualche pezza d’appoggio. Tecnica, di tecnica della navigazione, non “interna al testo”: sempre fantasiosa, ma corredata di venti e correnti, misura delle coordinate, calcolo del tempo\distanza.
Bérard, geografo della Marina e in cattedra a Parigi, notevole classicista, studioso in particolare della Magna Grecia, esordì nei primi anni 1900 con la contestazione di Samuel Butler, l’italianista inglese teorico di un Omero al femminile, “L’autrice dell’Odissea”. Butler si era invaghito di Trapani, al seguito degli inglesi industriali del Marsala, e ne aveva fatto Scheria, la terra di Nausicaa, e anche Itaca – Graves lo seguirà nel 1955, col romanzo “La figlia di Omero”, in cui l’autrice dell’“Odissea” non è ignota ma è Nausicaa, e lo è in quanto figlia. C’è stato insomma un rinascimento omerico fantasioso.  
In filologia Bérard debuttò criticando Butler, con due articoli nel 1902 nella “Revue des deux mondes”, i numeri del 15 maggio e dell’1 giugno. Nel 1924 portò a termine e pubblicò una traduzione rivoluzionaria, in prosa ritmica, dell’“Odissea”. Il cui successo lo indusse nei sette anni successivi a una prolifica produzione” omerica”. Per primi quattro volumi su “La Navigation d’Ulysse”. Circostanziati, e poi poco contestati. Dell’“Odissea” delineando una geografia che principalmente la situa nel Sud dell’Italia: Circe al Circeo, a sud di Roma, l’isola delle Sirene a Capri, Polifemo a Nisida, i Lestrigoni a Palau, sotto La Maddalena-Caprera-Santo Stefano, Cariddi e Scilla nello Stretto di Messina, l’isola di Eolo alle Eolie, l’isola del Sole identificando nella Sicilia.

Il partito della Bistecca, o il populismo rovesciato
Molto del populismo per il plebiscito 5 Stelle in Campania e in Sicilia, e lo stesso Salvini senatore della Calabria, si vuole meridionale. Si vuole farlo meridionale. In una con l’anarchismo e l’asocialità, sempre meridionali. Il sottosegretario Giorgetti, ex sindaco di Cazzago Brabbia, Varese, già segretario della Lega Lombarda, e poi capogruppo alla Camera della Lega Nord, lo dice anche, oggi, a Montecitorio: “Credo che dalle mie parti il reddito di cittadinanza non interessi, ma questa è l’Italia”. E invece non è vero, il partito della Bistecca c’è sempre stato, al Nord prima che al Sud. Che, come sempre, va al carro.
Ci fu un periodo in Sicilia, il periodo dell’orgoglio democristiano, in cui si diceva che l’isola guidava il paese, innovando, adattando, elaborando la politica nazionale – il “compromesso storico”, le “convergenze parallele”, il “pentapartito”, eccetera. Quella che poi sarebbe diventata la politica nazionale. Che tutti sanno – sapevano già all’epoca – non essere vero. Il Sud esaspera certe volute nazionali, ma non le guida. Lo stesso col populismo.
Ora alla Scala abbiamo assistito, per la prima della stagione, al trionfo di Mattarella. Che è siciliano, il presidente Mattarella è siciliano. Ma lo consacrava Milano. Che è la Scala. La quale è la Milano che ha consacrato la Lega, Milano 1, la circoscrizione più ricca e più intelligente d’Italia, 100 mila elettori scelti, quando la Lega era Lombarda, ed era solo il facondo incredibile Bossi.
Anche i 5 Stelle. È vero che hanno fatto l’en plein a Sud, ma non sarebbero stati i 5 Stelle del futuro senza Milano, i suoi giornali e i suoi soloni. Non erano il partito del “vaffa”? Molto meno dei gilets jaunes francesi: goliardi, Di Maio, Fico, Di Battista, al più venditori di polizze, quelli che proprio volevano lavorare, per mancanza di mestiere. Che Milano ha decretato il nuovo, e quindi il fiore all’occhiello, e quindi da votare. Il Sud subito ha obbedito.
Ora, cosa c’entra il trionfo di Mattarella alla Scala? Che Milano si è pentita, della Lega e dei 5 Stelle, e non trova altro strumento di difesa che il presidente siciliano. È sempre Milano che mena il gioco, ma trova solo in Sicilia l’antidoto al partito della Bistecca, il vecchio senso dello Stato – un po’ di senso dello Stato.

La storia capovolta, o Parsifal a Reggio Calabria
Usa capovolgere la storia, da qualche tempo fare di Omero un poeta nordico, attorno al Baltico, e degli Argonauti una spedizione danubiano-renana. Persuasivamente, perché no. Ma una storia – una di più - è possibile a bussola invertita,orientata al Sud, il Nord trasponendo al Sud. Per esempio a Reggio Calabria. La storia per esempio che Astolfo, “Vorrei andarmene ma non so dove”, in via di pubblicazione, si fa raccontare a Berlino, nella Berlino ancora occupata dai sovietici:
“Il signor Mimmo ha ospite un giovane compaesano, anch’esso Mimmo, Rotondo di nome e di fatto, che tace, o parla inarrestabile. Un argomento può essere il Parsifal del poema persiano Parsiwalnâma, che liberò dal drago la principessa Peri Mergiana, la Fata Morgana di Reggio Calabria, nell’occidentale città di Kapisca. Che è insieme la Kap di Parsifal e il drago Klingser del poema di Wolfram von Eschenbach, e quindi è sempre Reggio, la città del capo.
“Un altro argomento sono Italo e suo figlio Morgete, re della Calabria, da capo Spartivento fino a Taranto e Salerno. Italo che diede il nome all’Italia, e a Roma la fondatrice, prima di Romolo, la madre Roma appunto, sua figlia, detta anche Regina – con una g o con due? Morgete, trascritto Morgante, fu esca al noto filone.
“Una variante della prima vicenda, al riguardo di Wolfram, è che Sigfrido uccide il drago Fafner nella “terra di lavoro”, che è l’agro reggino nel linguaggio degli opici o aurunci ausoni, i primi abitanti autoctoni dell’Italia, corrispondenti agli asi della mitologia nordica. E dunque Oslo è a Reggio Calabria. I normanni l’hanno riconosciuto, che hanno localizzato nello stretto di Messina la dimora di re Artù e della Fata Morgana, la Persefone o Artemide degli antichi, protettrice dei reggini – ma a Locri la pensano diversamente, e comunque Persefone se la sono presa i tedeschi e la tengono a Berlino.
“Una variante della seconda vicenda è che il fondatore Italo è pronipote di Noè, e quindi capostipite degli indoeuropei. Ma forse questa è la storia principale: il placido giovanotto, che ha studi giuridici e s’indirizza al servizio dello Stato, in veste di magistrato o questurino, ha così sistemato un secolo di biblioteche e di razzismo.
“L’unico problema che la facondia lascia aperto è Vitalia, o Ovitalia, che diede il nome all’Italia, e alla Calabria, a Reggio, eccetera: è terra di Zeus, oppure terra dei buoi? E perché non terra degli ovini? La cultura classica ha bisogno di poco, ha l’ascendente dei vecchi miti e dei riti tribali. E si esercita etnicamente, l’identificazione su cui fa aggio è di tipo parentale, sanguigno, la dottrina dei primati non è tanto scema.
“Un altro filone del giovane compaesano fa perno sul cane. La costellazione e il titolo. Khan, re, è alla radice di Ascanio o Aschenez, che fu anch’egli pronipote di Noè, quindi capostipite degli indoeuropei. Reggio e Aschenez sono sinonimi, per l’autorità di san Girolamo. La costellazione del Cane, col mito di Orione-Osiride, che a questo punto conviene risparmiare al lettore, va quindi localizzata nel porto di Reggio. Col riconoscimento implicito di Caracalla, che dedicò la terza regione italica, la Lucania col Bruzio, a Iside e Osiride-Horo. E dunque anche l’Egitto è a Reggio”.

leuzzi@antiit.eu

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