Al
funerale di Sandra Verusio, la “marchesa rossa” dei salotti romani, solo la
politica di sinistra, D’Alema, Bertinotti, Augias, Annunziata. Che
ancora cammina con le proprie gambe, senza badati, ma archeologia vivente, evidente. Politica
prima che per età. In attesa che torni il fascino delle rovine?
Un’archeologia
onesta, si dice, perché non si nasconde: non fa finta di non essere quello che
è stata. Ma a suo modo sempre autocelebrativa, della propria onestà. A san
Salvarore in Lauro, chiesa, con annesso ex chiostro affittato, dei ricchi e
potenti.
Sandra
Verusio non era marchesa, né di nascita – nata Supino a Pisa - né di matrimonio
– i Verusio di Ceglie sono marchesi recenti a Napoli, per matrimonio con
l’ultima Sisto Y Britto, ma non Giovanni, il mite avvocato marito di Sandra. Marchesa era
l’appellativo che gli amici, compagni?, volevano, per darsi una sostanza. Una
sinistra di nobili senza onore – senza aver mai fatto nulla di buono.
Sandra
Verusio si voleva influencer –
gratuita, s’intende, per conto di Krizia, e di Mariuccia Prada, le stiliste
“rosse” lombarde. Che è un buon segno, la sinistra non è indigente.
Sandra
Verusio aveva un attico-superattico in centro “in una zona elegante di Roma”,
una villa sull’A ppia Antica, una in Sardegna, una in Maremma, e una casa a
Parigi. La metà delle “case” di Berlusconi, altro egotista sfrenato, in cerca
di riconoscimento. Che Verusio odiava, di sincero disprezzo: succede nel mercato, con la concorrenza.
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