Una novità
assoluta si sta confermando in Medio Orente: il patronato russo. Putin è il playmaker. In Siria è arbitro
e parte vincente. In Iran e in Turchia è la potenza di riferimento. E con
l’Arabia Saudita gestisce il mercato mondiale degli idrocarburi. Senza
dispiacere a Israele. Vincitore by proxy
anche nello Yemen, dopo la Siria. Il Senato americano, votando contro il
sostegno all’Arabia Saudita nello Yemen lascia libero campo all’Iran, armato e
protetto da Mosca.
L’unico fronte
su cui l’Occidente ancora confronta Mosca è l’Ucraina, ed è debole. Ancora di più,
prevedibilmente, dopo le elezioni a Kiev, a motivo della corruzione, una
desovietizzazione interminabile.
L’assassinio
del giornalista Kashoggi ha ulteriormente allontanato gli Stati Unti dalla
gestione del Medio Oriente. In un’area da “vergini offese” che non fa giustizia
al giornalista assassinato e non consolida ma indebolisce l’egemonia americana.
La partita è ancora in sospeso: l’Arabia Saudita, mentre si regola per gli
idrocarburi con Mosca, fa shopping di armi negli Stati Uniti. Ma le novità ci
sono già, e forti.
Quello che non
era riuscito a Caterina la Grande e ai successori, contenuti dall’impero
ottomano e poi dall’Inghilterra, è un dato di fatto, senza proclami, di Putin:
una sorta di imperialismo grigio, non pirotecnico, non declamatorio, ma
vigoroso e rapido. Vecchio stile anche, non dispendioso: Putin si fa forte
vendendo armi e fornendo protezione diplomatica.
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