Giustizia
– Due dei giudici che condannarono Carlo I
a morte, Goffe e Whalley, emigrarono nel Connecticut dopo la Restaurazione, e
vissero fino alla morte segregati in una grotta - P. Auster, “La stanza chiusa”
(“Trilogia di New York”).
Patto
Hitler-Stalin – Saranno ottant’anni fra pochi mesi, il 23
agosto, del patto a sorpresa, detto nelle storie diplomatiche “Molotov-Ribbentrop”,
che avviò la seconda guerra mondiale una settimana dopo. Un evento molto
traumatico, la porta aperta al conflitto, trascurato dalla storiografia per uan
sorta di rispetto della Russia di Stalin. Un accordo anche in sé violento: un patto
di non aggressione che era in realtà un patto di spartizione, in previsione
cioè della guerra: Hitler si assicurava il non intervento sovietico mentre
attaccava Polonia e Francia, in cambio
del passaggio all’Unione Sovietica dei paesi Baltici e della Finlandia. Non ci
sono patti analoghi nella storia diplomatica, cioè di violenza sfrontata..
Il patto curiosamente minacciò l’“Asse” Mussolini-Hitler. L’accordo che Mussolini
annunciò come Asse a Milano in piazza del Duomo l’1 novembre 1936. Una
settimana dopo che Hitler aveva riconosciuto come legittima l’occupazione
italiana dell’Etiopia. Trasformato in “Patto d’acciaio” il 22 maggio 1939,
contro il capitalismo (Francia, Inghilterra) e contro il bolscevismo (Urss). Doppiato
dal patto Antikomintern, contro l’Internazionale comunista, sottoscritto da
Hitler col Giappone il 25 novembre 1936, cui
l’Italia aveva aderito dodici mesi dopo.
Il patto Molotov-Ribbetrop fu visto da
Mussolini come una violazione degli accordi italo-tedeschi – consentendo la
neutralità nell’aggressione alla Polonia e alla Francia. “L’alleanza tra Mosca
e Berlino è un mostruoso connubio”, annotava Ciano nei diari il 26 settembre
1939, “che si realizza contro lo spirito e la lettera dei nostri patti”
Populismo
– Quello classico, registrato e definito
dalla scienza politica, è russo e americano. Quello russo segnala la deriva terroristica,
a partite dal 1860 circa, dall’abortita riforme agraria, dalla mancata liberazione
della gleba, di movimenti diversi e anche opposti: slavofili, occidentalisti, democratici-rivoluzionari.
Si organizzarono circoli rivoluzionari unitari. A partire dagli ani 1870 i “populisti”
si adoperarono ad “andare bverso il popolo”, come chiedevano i socialisti rivoluzionari
Herzen e Bakunin, con iniziative di
fatto. Circoli insurrezionali si erano già formati, “Seguaci di Čajkovskij”, “Circolo
dei Siberiani”. Confluiranno nel movimento “Terra e libertà”, Zemli i volja, fondato nel 1876, con lo statuto
specifico di “andare verso il popolo”. Cioè nelle campagne.
La cosa riuscì impossibile, i contadini
non erano ricettivi, e l’associazione riportò i suoi obiettivi in ambito
urbano, a difesa degli operai, con ogni mezzo. Quattro anni il gruppo più
robusto dell’associazione si costituiva in Narodnia
volia, “Volontà del popolo”, un’organizzazione politica urbana che puntava
ad affermarsi col terrorismo, una deriva già avviata da un paio d’anni. I primi
attentatori furono assolti. La più famosa, Vera Zasulič, che a gennaio 1878 aveva
ferito a colpi di pistola il governatore Trepov, si giustifico sostenendo al
processo che Trepov era responsabile di torture, e affermando la necessità “di
attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo crimine e di porre un
argine alla cronica profanazione della dignità umana”. Lo steso farà Maria
Kolenkina, arrestata per terrorismo a fine 1878. L’incriminato al terzo
processo per terrorismo, nel 1879, Sergej Bobochov, argomenterà: “Non avevo
nessuna intenzione di uccidere o ferire. O per meglio dire, mi era del tutto
indifferente. Ho sparato solo perché, facendo fuoco, potevo esprimere apertamente
la mia protesta contro i crimini del governo”.
Il terrorista russo soppianterà il cattivo
italiano, il Carbonaro, in molta narrativa, anche di Conrad e Dostoevskij.
Quello americano è anch’esso di sinistra
più che di destra. Anche se ha capitalizzato meno che la destra. E ha radici anch’esso
nel secondo Ottocento. Ma non resta marginale successivamente nella storia
americana, è anzi a essa centrale – la sola novità oggi, poteva scrivere Marino
de Medici per il Centro di Ricerca Luigi Einaudi a marzo del 2016, a proposito
della competizione nelle primarie presidenziali di Sanders e Trump, “è
che per la prima volta nella storia americana due populisti dei partiti
maggiori si contendono la Presidenza”.
È formidabile populista, andando a ritroso, Bernie Sanders, lo
“sconosciuto senatore ‘socialista’ del Vermont”, che ha movimentato le ultime campagne
elettorali americane contro la corruzione della stessa politica, la corruzione
legale, sotto l’ombrello della “Citizen Unite”, la decisione della Corte Suprema
nel 2010 che ha liberalizzato il finanziamento della politica, asservendola ai
grandi interessi (Hillary Clinton, avversaria di Sanders alle primarie
Democratiche, finanziava la sua campagna con centinaia di milioni di dollari).
Sanders raccoglieva su questo terreno i frutti di una campagna lanciata da un
Partito Progressista un secolo prima, fin dal 1912, un partito che si voleva di lotta alla
corruzione politica. E si faceva forte dei movimenti spontanei tipo Occupy Wall
Street, contro i soprusi della comunità finanziaria e gli sgravi fiscali a
favore dei ricchi – mentre Trump a desta raccoglieva l’eredità dei Tea Party, e
la Marcia dei Contribuenti su Washington del settembre 2009, contro la
fiscalità eccessiva.
Il Progressive Party si è immortalato tra le due guerre nella
figura di Robert La Follette, governatore del Wisconsin, senatore repubblicano,
candidato presidenziale: precursore di Franklin Delano Roosevelt e del New Deal,
in particolare dell’abolizione del lavoro infantile, della Tennessee Valley
Authority, la cassa del mezzogiorno americana, della legge sindacale (Wagner
Labour Relations), della Consob americana, la Securities Exchange Commission.
Era “Progressista” anche il Repubblicano Fiorello La Guardia.
Alle presidenziali del 2000 il populismo vedeva in gara Ralph
Nader, il “consumerist”, protettore
dei consumatori, e lo stesso candidato democratico Al Gore – lo schiarimento populista,
se fosse stato unito, avrebbe sconfitto largamente George W.Bush jr., che
invece vinse. Gore si era presentato alla convenzione democratica, e aveva
vinto, con un programma interamente populista: contro l’industria petrolifera,
del tabacco e della farmaceutica, contro le assicurazioni sanitarie, contro l’inquinamento per l’ambiente puro.
Nel 1992 il ruolo di “terzo candidato”, su
una piattaforma populista, antitasse eccetera, fu assunto dal milionario Rosse
Perot. Che non vinse, ma non perse male. Tra le due elezioni c’era stata l’esperienza
interessante di “Pat” Patrick Buchanan, un ex collaboratore di Nixon e di Reagan,
ma cattolico, e in quanto tale fautore di una “guerra culturale”: all’immigrazione
sregolata, al multiculturalismo, all’aborto, ai diritti dei gay. Una piattaforma
con la quale condizionò a lungo le primarie repubblicane.
Era stato populista di grande richiamo il
vice di Truman alle elezioni del 1948, Henry Wallace. Che il suo programma
aveva intitolato “Century of the Common Man”, all’Uomo Comune contemporaneo
dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini in Italia. Ma a tendenza spiccatamente
di sinistra, antimilitarista e anticapitalista.
I riflessi letterari sono stati cospicui
anche in America – ma anche in questo campo più a destra che a sinistra: da
Upton Sinclair a Ezra Pound. Più dichiarati però, avvertiti, in scrittori di
colore: W.E. DuBois, primo nero “addottorato” negli Stati Uniti, scrittore politico
vigoroso, e Ida Wells, nata schiava, l’iniziatrice dei diritti civili,
fondatrice della Naacp.
In parallelo con il Progressive Party a
inizio Novecento, anche se non in collegamento, si svolse l’attività politica
di Theodore Roosevelt alla presidenza. Energico riformatore delle società per razioni,
nonché fautore dello scorporo dei monopoli, e del primo ambientalismo.
Il movimento si era manifestato negli Usa,
prima che con il Progressive Party, in difesa del mondo agricolo dopo la guerra
civile, e la vittoria del Nord “industrialista e banchiere”. Anticapitalista. Antimonetarista:
a lungo combatté l’istituzione della banca centrale, e l’ancoraggio del dollaro
all’oro, proponendone invece la liberalizzazione, o l’aggancio all’argento. Un
Populist Party fu attivo prima del Progressive Party a cavaliere tra Otto e
Novecento. Espressione di un precedente Greeenback-Labour Party, che si proponeva
appunto il “greenback dollar”, la moneta sganciata dall’oro. E chiedeva una
tassazione progressiva dei redditi. Un partito che si ricorda per una riforma importantissima,
ma non populista, nota come XVIImo Emendamento: l’elezione diretta dei senatori
mediante il voto popolare – prima i senatori erano eletti dai congressi
statali, cioè dai grandi interessi che si compravano, letteralmente, le nomine.
Revisionismo – In Italia è stato precocissimo sul fascismo. Montanelli, resistente e tutto, anche se della venticinquesima ora, carcerato anche a Regina
Coeli dopo l’8 settembre, pubblicava un “Buonuomo Mussolini” già nel 1947. Sospettato
di plagio da Malaparte, che minacciò querela – Malaparte voleva la
primogenitura. Il successo de “Il buonuomo Mussolini” creò un genere. Che Paolo
Monelli ha coronato due anni dopo con un “Mussolini piccolo borghese”.
astolfo@antiit.eu
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