“Storia esemplare
di un «tradimento» della legalità” è il sottotitolo del saggio. Il “concorso esterno” è in un’azione criminosa,
più spesso di “associazione”. Un reato doppiamente evanescente, sommandosi a
quello di associazione. Ma mentre l’associazione è repertoriata con buona certezza
dal codice, il “concorso esterno” è variabile e puramente soggettivo.
Non è un allarme isolato. Un
altro penalista, il palermitano Costantino Visconti (“La mafia è dappertutto –
Falso!”) ha da poco preceduto Rampioni – pur venendo da un’esperienza politica
di “colpevoli tutti”. Rampioni è più radical. Ma, a differenza di Visconti, non
è penalista in cattedra con studio penale, e non ha riserve, di prudenza,
opportunità o altro, nell’esprimere il suo giudizio. Ma non si saprebbe dargli
torto: non c’è configurazione giuridica possible del “concorso esterno”.
avvocato di fama
e professore di diritto penale, Costantino Visconti, ha appena pubblicato un
vivace libello contro l’antimafia di professione, con un titolo più provocatorio
di quello di Sciascia: “La mafia è dappertutto. Falso!”
Agli addetti ai
lavori che non facciano parte dell’apparato repressivo il concorso esterno non
piace: troppo vaga ipotesi di erato, poco o niente configurabile, troppo
soggettiva la sua assunzione, troppo discrezionale. Non si saprebbe dare loro
torto. È il reato per cui sono stati assolti Mannino e Contrada, ma stremati da
venti anni di accuse e condanne. È il reato con cui infine si è potuto colpire
Dell’Utri, non riuscendo a colpire Berlusconi. Sulla “buona fede” di alcuni
pentiti, in altri ordinamenti indegni. Su cui si è imbastito il colossale
Stato-Mafia, priorità ormai decennale dela Procura di Palermo - che così può
fare a meno di occuparsi della mafia?
Il concorso
esterno è, può essere, uno strumento utile di dissuasione, in ambiente
malavitoso esteso e tumorale. Ma dal punto di vista penale non configurabile. In
giurisprudenza, da un quarto di secolo, da quando il reato, non codificato, è
stato ammesso dalla Cassazione, si configura come di partecipazione, per quanto
non stabile, che sia “concreta”, “specifica”, “consapevole” e “volontaria”
all’associazione criminosa. Difficile provarlo, ma una chiacchiera basta, una
indicazione, per agitarlo se non per farlo valere.
Il Parlamento non
se l’è sentita di avallare un reato del genere, difficilmente configurabile. È
stato per questo lasciato alla giurisprudenza, a partire dalla decisione della
Cassazione nel 1994. Uno non della profssione obietterà chela Cassazione si
faceva perdonare con questo estremismo di segno opposto anni di lassismo, con
le assoluzioni di Carnevale per difetto “di virgola” dei casi di associazione mafiosa, per sentenze cioè non perfette dal punto di vista formale. Ma sarebbe
vano: il delitto-non-delitto piace di fatto ai giudici, per la discrezionalità,
e agli avvocati, perché fa i processi più lunghi, più tortuosi, più costosi. Rampioni
fa prevalere il giudizio del giurisperito, da professore non avvocato. Il suo
giudizio è netto: “La via tortuosa e sconnessa, che la giurisprudenza (e buona parte della
dottrina) indica in tema di c.d. concorso esterno si appalesa non percorribile.
Lungi dall’essere una semplice trasformazione in progress della legalità costituisce un conclamato “aggiramento”
delle basi legali e, dunque, un pieno tradimento dei principi fondanti del
sistema penale”, della certezza del reato.
Roberto Rampioni, Del C.d. concorso esterno,
Giappichelli, pp. 120 € 17
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