domenica 16 dicembre 2018

Il trucco del concorso esterno

Il “concorso esterno”, indimostrabile, è un’arma comoda, perché permette di colpire chi si vuole. Anche solo per antipatia, se non per avversione politica. Ma allora in una quadro giudiziario politicizzato, o sbirresco, non nell’ambito della giustizia.
“Storia esemplare di un «tradimento» della legalità” è il sottotitolo del saggio. Il “concorso esterno” è in un’azione criminosa, più spesso di “associazione”. Un reato doppiamente evanescente, sommandosi a quello di associazione. Ma mentre l’associazione è repertoriata con buona certezza dal codice, il “concorso esterno” è variabile e puramente soggettivo.
Non è un allarme isolato. Un altro penalista, il palermitano Costantino Visconti (“La mafia è dappertutto – Falso!”) ha da poco preceduto Rampioni – pur venendo da un’esperienza politica di “colpevoli tutti”. Rampioni è più radical. Ma, a differenza di Visconti, non è penalista in cattedra con studio penale, e non ha riserve, di prudenza, opportunità o altro, nell’esprimere il suo giudizio. Ma non si saprebbe dargli torto: non c’è configurazione giuridica possible del “concorso esterno”.
avvocato di fama e professore di diritto penale, Costantino Visconti, ha appena pubblicato un vivace libello contro l’antimafia di professione, con un titolo più provocatorio di quello di Sciascia: “La mafia è dappertutto. Falso!”
Agli addetti ai lavori che non facciano parte dell’apparato repressivo il concorso esterno non piace: troppo vaga ipotesi di erato, poco o niente configurabile, troppo soggettiva la sua assunzione, troppo discrezionale. Non si saprebbe dare loro torto. È il reato per cui sono stati assolti Mannino e Contrada, ma stremati da venti anni di accuse e condanne. È il reato con cui infine si è potuto colpire Dell’Utri, non riuscendo a colpire Berlusconi. Sulla “buona fede” di alcuni pentiti, in altri ordinamenti indegni. Su cui si è imbastito il colossale Stato-Mafia, priorità ormai decennale dela Procura di Palermo - che così può fare a meno di occuparsi della mafia?
Il concorso esterno è, può essere, uno strumento utile di dissuasione, in ambiente malavitoso esteso e tumorale. Ma dal punto di vista penale non configurabile. In giurisprudenza, da un quarto di secolo, da quando il reato, non codificato, è stato ammesso dalla Cassazione, si configura come di partecipazione, per quanto non stabile, che sia “concreta”, “specifica”, “consapevole” e “volontaria” all’associazione criminosa. Difficile provarlo, ma una chiacchiera basta, una indicazione, per agitarlo se non per farlo valere.
Il Parlamento non se l’è sentita di avallare un reato del genere, difficilmente configurabile. È stato per questo lasciato alla giurisprudenza, a partire dalla decisione della Cassazione nel 1994. Uno non della profssione obietterà chela Cassazione si faceva perdonare con questo estremismo di segno opposto anni di lassismo, con le assoluzioni di Carnevale per difetto “di virgola” dei casi di associazione mafiosa, per sentenze cioè non perfette dal punto di vista formale. Ma sarebbe vano: il delitto-non-delitto piace di fatto ai giudici, per la discrezionalità, e agli avvocati, perché fa i processi più lunghi, più tortuosi, più costosi. Rampioni fa prevalere il giudizio del giurisperito, da professore non avvocato. Il suo giudizio è netto: “La via tortuosa e sconnessa, che la giurisprudenza (e buona parte della dottrina) indica in tema di c.d. concorso esterno si appalesa non percorribile. Lungi dall’essere una semplice trasformazione in progress della legalità costituisce un conclamato “aggiramento” delle basi legali e, dunque, un pieno tradimento dei principi fondanti del sistema penale”, della certezza del reato.
Roberto Rampioni, Del C.d. concorso esterno, Giappichelli, pp. 120 € 17

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