“Il cinema è la scuola elementare
dei piaceri estetici” – elementare nel senso non di scuola limitata, ma dell’obbligo,
per tutti. È un’arte che si serve di un mezzo meccanico di qualche capacità ma
anche di “sbalorditive incapacità”. O: “Nella tragedia, il cinema è rimasto
bambino”. Si legge Alvaro anche al cinema con interesse - non ci sono sue prose
anonime.
Il volume documenta
un’attività all’apparenza marginale dello scrittore. Che invece vi fu sempre
coinvolto. Curatore delle rubriche di cinema per il periodico “Nuova Antologia”
nel 1934-1935, e poi de “Il Mondo”, dove aveva tenuto la rubrica del teatro,
successore di Flaiano, nel 1952-53, prima di infermarsi. E negli anni intermedi
collaboratore di “Cinema” e poi di “Bianco e Nero”.
Sceneggiatore di lungo corso. In almeno una ventina di film, quanti ne citano i
curatori della raccolta, Gaetano Briguglio e Giovanni Scarfò. Quasi tutti
grandi produzioni, impegnative. Con gli attori del momento, fino a Silvana
Mangano, Gassman, Vallone. Cosceneggiatori i migliori scrittori di cinema,
fino a De Santis, Chiarini, Antonioni, Lizzani. Di “Patto col diavolo” di
Chiarini, di “Riso amaro” (dialoghista) di De Santis. Con Orio Vergani
sceneggiarono “Noi vivi”, il romanzo di Ayn Rand, regista Goffredo
Alessandrini, coproduttore Vittorio Mussolini, allora direttore di “Cinema”,
che poi, essendo il film chilometrico, ne trasse due, “Noi vivi” e “Addio
Kira!” Ma cinematografaro diffidente, come spiega Callisto Cosulich nel saggio
di presentazione - al tempo di un’altra editoria: un saggio critico sul critico
dettagliato e argomentato, questo di Cosulich, di quando le cose si facevano
sul serio e non a fini pubblicitari: solo trent’anni fa, la raccolta è del
1987. Con molte riserve, ma ammirato, e curioso.
Il cinema è allo stadio in
cui era la letteratura in Arcadia , “prima della grande fiammata romantica”:
“Convenzione, maniera”, e i soliti contrasti città-campagna, amore-onore,
natura- sentimenti. Ma già si dice “come al cinema”, “è un cinematografo”, come
una volta si diceva “è teatro”. E con un sottinteso attivo, forte: è il cinema
a condizionare la realtà, non viceversa – il cinema è falso realismo.
Uno “spettatore” più che un
“critico”, ma “d’eccezione”, lo dirà Chiarini in morte, su “Cinema nuovo”.
Contro il neo realismo, per esempio “Umberto D.”, sulla premessa sempre che il
cinema è falso realismo, da “cultore del verosimile” (Cosulich). Ma apprezza “Due soldi di speranza”. E
“Banditi” di Lizzani - “ha ventinove anni”. È esilarato da “Bellissima” - da
Anna Magnani e anche da Visconti. Sul neorealismo riflette in un saggio breve,
di cinema comparato, di duratura intelligenza.
Un mediatore utile. Affronta
il cinema come fatto culturale e non come svago, con passo fermo, con esiti
condivisibili e non ma sempre argomentati, di lettura. Gli articoli degli anni
1930, sul cinema in generale come espressione e come arte, sono da antologia,
Come poi, su “Il Mondo”, quello sul neorealismo e le notazioni sul primo
Chaplin, quello di Sennett, 1913-1917. Nonché le riflessioni sparse, in cui
eccelleva. Sulla paura nelle epoche di rapida innovazione. Sul localismo in
letteratura, scornato in Italia, e solo in Italia.
Il cinema Alvaro lega alla
letteratura. Il legame non piace a Cosulich, per la diversità dei due “mezzi”,
la diversità tecnica. Ma il legame Alvaro trova nella libertà creativa in
rapporto al pubblico, di narrazioni per un pubblico vasto, se non di massa. Al
cinema rimproverando l’eccessivo trash,
a suo parere non necessario. Lo fa anche altrove, in testi non di questa
raccolta. Per esempio in una nota di diario del 1941, a proposito dei titoli
piatti dei film in italiano: “Graduatoria dei titoli dei film. Primo: sangue… secondo: anime… terzo: seduzione… quarto:
tormento… quinto: galera… sesto: i titoli poetici… settimo: nomi propri, oppure
avorio nero, oro rosso, ecc.”.
Corrado Alvaro, Al cinema, Rubbettino, remainders, pp.
311 € 7,76
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