“Il” Parini, “uno dei pochissimi Italiani che all’eccellenza
nelle lettere congiunsero la profondità dei pensieri”, venuto alla fine di un
percorso “di singolare innocenza, pietà verso gl’infelici e verso la patria,
fede verso gli amici, nobiltà d’animo, e costanza contro le avversità della
natura e della fortuna, che travagliarono tutta la sua vita misera ed umile,
finché la morte lo trasse dall’oscurità”, anche lui insomma postumo, prende a spiegare a un
giovane allievo la sostanza del suo e nostro mestiere. La conclusione “del”
Parini è mesta: “Gli altri attendono
a operare, per quanto concedono i tempi, e a godere, quanto comporta questa
condizione mortale. Gli scrittori grandi, incapaci, per natura o per abito, di
molti piaceri umani; privi di altri molti per volontà; non di rado negletti nel
consorzio degli uomini, se non forse dai pochi che seguono i medesimi studi;
hanno per destino di condurre una vita simile alla morte, e vivere, se pur l’ottengono,
dopo sepolti”. Tutti insomma D.O.A., dead
on arrival, morti al traguardo. Ma con un ultimo colpo di coda: “Ma il
nostro fato, dove che egli ci tragga, è da seguire con animo forte e grande; la
qual cosa è richiesta massime alla tua virtù, e di quelli che ti somigliano”.
Scrivere è azione virtuosa? Sì, poiché è un’impresa a ostacoli – “il” Parini ne
elenca cinque.
La “lettera” riprende Tim
Parks, sintetizzandola, sulla “New York Review of Books”. Con l’aggiunta di un
sesto ostacolo, o settimo o ottavo, con le strategie di marketing e promozione,
fino alle tecniche di pubblicazione globale, le scuole di scrittura, il
politicamente corretto. Dacché Victor Hugo, nel 1862, dopo aver incassato uno
dei maggiori anticipi della storia dell’editoria per “I miserabili”, pretese di curarne il lancio: traduzioni immediate per la pubblicazione simultanea in molti paesi, e
una campagna di manifesti aggressivi nelle maggiori città, con la “difesa dei
poveri” e il “bene morale”.
Giacomo Leopardi, Il Parini ovvero della gloria
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