martedì 4 dicembre 2018

L’amore in mostra al tempo dell’inappetenza


Una mostra su un poeta. Eppure regge. È una mostra sull’amore, essendo Ovidio il poeta dell’amore, nel mito, nella statuaria, nella pittura. E più nella figurazione classica, buona parte della mostra si regge sull’Archeologico di Napoli, con poche incursioni nel Seicento. Dell’amore o della metamorfosi, che forse è l’Ovidio più in palla oggi.
Fa in effetti un po’ senso ripercorrere tanti amori nei due piani della mostra gigante, felici e infelici, Bacco e Arianna, Teseo e Arianna, Piramo e Tisbe, Venere e Adone, Salmacide e Ermafrodito, e trasvolate, anche queste felici e infelici, di Ganimede, Dedalo, Icaro, in un’epoca inappetente quale stiamno vivendo, o volutamente, anche, frigida. Ma, poi, Ovidio è pure il poeta delle metamorfosi – tema anch’esso usuale in antico, ma con esiti che si amano meglio che non quelli di Apuleio o di Liberale. Il poeta per questo da ultimo di Calvino, delle “Lezioni americane”, per la leggerezza – ritmo, precisione, rapidità: un narratore conciso e immaginifico.
Indirettamente, la mostra romana si colloca nel neo-sensismo, che recupera fino il paganesimo, nella mitologia e nella fisica – Ovidio si appaia a Lucrezio. La mostra lo documenta indirettamente. Con i tanti Ovidio “moralizzati”, così attestano i frontespizi, manoscritti dei secoli XII-XV, e poi anche a stampa. Una mostra nella mostra, per l’eleganza e la nitidezza dei caratteri amanuensi. La chiesa non ne tollerava la licenziosità - come già probabilmemte l’imperatore Augusto, che il poeta suo diplomatico d’improvviso, mentre era in missione in Germania, confinò sul mar Nero – ma non voleva rinunciare al suo nome.  
Francesca Ghedini (a cura di), Ovidio, Scuderie del Quirinale


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