Trascurato nelle rievocazione
della Grande Guerra nel lustro scorso, ripreso solo in Francia, in questa
edizione del 2012, ne è la testimonianza forse più veritiera. Dopo Hemingway, “Addio
alle armi”, che però viene qualche anno dopo Malaparte. Con Caporetto, qui come
in Hemingway, al centro della rappresentazione. Ma segno dell’eroismo di un
popolo disprezzato, non della disfatta, o dell’inutilità della guerra.
Ripubblicato in francese col
titolo originale che lo scrittore volle nel 1921. Successivamente riedito come “La rivolta dei santi maledetti”. Anche
Malaparte, come poi Hemingway, sa di che parla, perché è stato a lungo al
fronte, in Italia e in Francia. Il racconto è del sacrificio assurdo di
centinaia di migliaia di giovani, in condizioni sempre difficili, rese impossibili troppo spesso da comandi incompetenti e insensibili. E sempre la
menzogna patriottica: una propaganda che non tiene in alcun conto la carneficina.
Non una provocazione. Un
racconto di denuncia a ragion veduta. Quando Malaparte lo pubblica, nel 1921,
ha solo 23 anni, ma è reduce già dal servizio diplomatico, nel quale era entrato
a guerra finita, in missione a Varsavia. Il suo racconto verrà sequestrato e
censurato tre volte, tra il 1921 e il 1923.
Curzio Malaparte, Viva Caporetto!, Les Belles Lettres,
pp. 132 € 17
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