lunedì 24 dicembre 2018

L’eroismo a Caporetto


Trascurato nelle rievocazione della Grande Guerra nel lustro scorso, ripreso solo in Francia, in questa edizione del 2012, ne è la testimonianza forse più veritiera. Dopo Hemingway, “Addio alle armi”, che però viene qualche anno dopo Malaparte. Con Caporetto, qui come in Hemingway, al centro della rappresentazione. Ma segno dell’eroismo di un popolo disprezzato, non della disfatta, o dell’inutilità della guerra.
Ripubblicato in francese col titolo originale che lo scrittore volle nel 1921. Successivamente riedito  come “La rivolta dei santi maledetti”. Anche Malaparte, come poi Hemingway, sa di che parla, perché è stato a lungo al fronte, in Italia e in Francia. Il racconto è del sacrificio assurdo di centinaia di migliaia di giovani, in condizioni sempre difficili, rese impossibili troppo spesso da comandi incompetenti e insensibili. E sempre la menzogna patriottica: una propaganda che non tiene in alcun conto la carneficina.
Non una provocazione. Un racconto di denuncia a ragion veduta. Quando Malaparte lo pubblica, nel 1921, ha solo 23 anni, ma è reduce già dal servizio diplomatico, nel quale era entrato a guerra finita, in missione a Varsavia. Il suo racconto verrà sequestrato e censurato tre volte, tra il 1921 e il 1923.  
Curzio Malaparte, Viva Caporetto!, Les Belles Lettres, pp. 132 € 17

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