Mozart vive, musica e muore
per amore. Una lettura che sembra strana, e invece poi convince. Elias lo dice
subito, partendo dalla morte di Mozart: non ne fa il solito giallo, su chi e
come potrebbe averlo voluto morto, ma la fine dice segnata dall’abbandono. Per
un sorta di svuotamento dall’interno, avendo perduto i suoi due motive di vita,
“l’amore di una donna cui affidarsi e l’amore del pubblico viennese per la sua
musica”. Ma prima di questa “fine all’inizio”, Mozart muore di trentacinque
anni, cioè dopo di essa, Elias fa di più: il genio rappresenta non inspiegabile
e avulso dal mondo ma ad esso legato, storicamente, socialmente. Di questa
sorta di dislessia del genio facendo una colpa all’Europa, al vezzo romantico
di santificare vita e morte dei grandi uomini, dopo aver separato l’artista dal
genio, come un fiore senza radici e senza humus – “espressione di una
disumanità fortemente radicata nel pensiero europeo, di un problema di
civilizzazione non superato”.
Non è lettura scorrevole, è
anzi puntigliosa – Elias è un pur sempre un sociologo, “Sociologia di un genio”
è il sottotitolo. Ma con numerosi punti di riferimento. “Nella Germania della
seconda metà del secolo XVIIImo era possible affrancarsi dal canone di gusto
aristocratico-cortese”, c’era già un pubblico borghese abbastanza ampio, di
gusto anche non tradizionalista, ma solo per la scrittura, “nei campi della
filosofia e della letteratura”. Ancora in Goethe, al libro V de “Gli anni di
spprendistato”, solo il nobile può
pretendere l’armonico perfezionamento della propria natura, il borghese non è e
non dà nulla.
Il musicista, “se sentiva la
vocazione a prestazioni di altissimo livello, come esecutore o come
compositore”, doveva cercarsi la protezione di una corte – se protestante
poteva accontentarsi di un posto di organista, o maestro di coro. Mozart, un
piccolo borghese che a un certo punto vuole emanciparsi dalle protezioni
aristocratiche, e vivere a Vienna del proprio lavoro, come bene o male farà
Beethoven una generazione dopo, non ce la farà. È già finito quando muore. Il
successo in Italia lo aveva convinto che ce l’avrebbe fatta da solo – aveva
avuto successo come un interprete oggi, magari solo di musica pop, può averlo
in una tournée. Ma in Germania, “a
paragone con quello letterario, lo sviluppo musicale era arretrato. La
decisione di Mozart di farsi «libero artista» cadde in un’epoca in cui, per la struttura
della società, non esisteva di fatto alcuno spazio del genere per musicisti di
altissimo livello”.
Giorgio Pestelli, che
introduce il saggio, non è d’accordo. Già a metà Settecento, dopo lo scossone
della Guerra dei Sette anni , 1756-63, che aveva lasciato indebitate le corti,
Londra e Paigi avevano maturato un vivace mercato delle arti, avviando un
sensibile movimento migratorio e di affrancamento per musicisti tedeschi e
boemi: “Già Händel si può considerare emancipato dala condizione servile del
musicista settecentesco”. Anche Haydn, continua Pestelli, finisce la carriera
da libero professionista, dopo il 1790 – ma il 1790 non è un po’ tardi, Mozart
morirà poco dopo, e già agitato dalla rivoluzione francese? E prima di loro i
figli di Bach. E tuttavia la vita di Mozart è quella, di musicista di corte,
amato e maltrattato a piacimento, dal vescovo di Salisburgo come dalla
imperatrice Maria Teresa. E quando tenta da solo, a Mannheim e a Parigi,
patisce il freddo e la fame, con la morte della mamma, che era al suo seguito,
probabilmente di stenti.
Alla geografia di Pestelli
anche l’Italia va aggiunta: le “piazze” di Milano, benché asburgica, e Napoli,
e quelle papaline di Bologna e Roma (il papa vi fece cavaliere il ragazzetto
Mozart), costituirono un “mercato” sostanzioso, anche prima di Londra, per “Giovannino”
Bach come per Mozart. C’era di che, se uno voleva emanciparsi. In più occasioni, documenta lo stesso Elias, a Mozart quindici-sedicenne il padre Leopold ha cercato un impiego in Italia, a Milano, a Firenze, dove i rapporti non erano feudali.
Il problema di
Mozart era l’Austria: Salisburgo e Vienna, il conte-vescovo Colloredo e l’imperatrice
Maria Teresa, come pure il progressista Giuseppe II. E questo nella sociologia
di Elias vistosamente manca, curiosamente – non gli se ne può fare colpa: il
saggio è stato compilato da Michael Schrōter, come tante altre pubblicazioni
del tardo Elias, che era molto restio a pubblicare, sulla base di appunti e
testi non definitivi da lui redatti per un progetto che non realizzerà, benché
l’editore Suhrkamp lo avesse annunciato in una sua collana, “L’artista borghese
nella società di corte”.
Un aneddoto basti, in
aggiunta alla documentazione analizzata da Elias, a definire il suolo sociale
di paria dei Mozart. Il giovanissimo Wolfgang era felice a Milano, dove era
celebrato per il geniaccio e gli furono
commissionate varie opere, una delle quali, il fastoso “Ascanio in Alba”,
“feste e serenata”, su libretto di Parini, nel 1771, Mozart ha quindici anni,
il governatore austriaco conte Firmian volle dedicata all’arciduca Ferdinando.
Che la madre imperatrice, Maria Teresa, metterà sull’avviso in questi termini: “Mi
chiedi di assumere al tuo servizio il giovane di Salisburgo. Non so perché, non
credo tu abbia bisogno di gente inutile. Se ti fa piacere, non voglio impedirti
di farlo. Quello che voglio dire è di non caricarti di gente inutile”. Interrompendo
d’autorità la carriera che il padre Leopold già divisava per lui dopo la
trionfale accoglienza cisalpine – il papa lo aveva fatto cavaliere, a dodici o
tredici anni, a Napoli “si diceva che nessuno suonava” come lui, attesta lui
stesso in una lettera.
Elias
propende a farlo vittima dell’epoca - di Maria Teresa preferendo l’aneddoto che
inviò a Mozart bambino prodigio e alla sorella “gli abiti eleganti e luccicanti
che erano appartenuti precedentemente a giovani membri della sua famiglia”.
L’arte è stata sempre sociale, di consumo – di mercato. Solo ultimamente si
teorizza l’arte per l’arte, il mezzo o linguaggio autoreferente. E questo vale
anche per la musica, alta o altissima. Ma “i codici sociali e i metodi,
attraverso i quali gli uomini erigono nella vita di comunità dei controlli alle
pulsioni, non nascono secondo un piano, si sviluppano nel lungo periodo,
ciecamente ed in modo non programmato”.
A
un certo punto, a metà saggio, anche Elias situa la questione in Austria
correttamente, rilevando “la contraddizione tra la fama crescente dei Mozart in
tutto il mondo e la loro posizione inferiore
nella propria città” – inferiore cioè servile, e a Salisburgo come a
Vienna. Ma un po’ più di storia non avrebbe guastato, su Vienna e i suoi
principi, che pure si vogliono gloriosi e felici.
Norbert Elias, Mozart, Il Mulino, pp. 162 € 12
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