giovedì 6 dicembre 2018

Mozart inutile in patria

Mozart vive, musica e muore per amore. Una lettura che sembra strana, e invece poi convince. Elias lo dice subito, partendo dalla morte di Mozart: non ne fa il solito giallo, su chi e come potrebbe averlo voluto morto, ma la fine dice segnata dall’abbandono. Per un sorta di svuotamento dall’interno, avendo perduto i suoi due motive di vita, “l’amore di una donna cui affidarsi e l’amore del pubblico viennese per la sua musica”. Ma prima di questa “fine all’inizio”, Mozart muore di trentacinque anni, cioè dopo di essa, Elias fa di più: il genio rappresenta non inspiegabile e avulso dal mondo ma ad esso legato, storicamente, socialmente. Di questa sorta di dislessia del genio facendo una colpa all’Europa, al vezzo romantico di santificare vita e morte dei grandi uomini, dopo aver separato l’artista dal genio, come un fiore senza radici e senza humus – “espressione di una disumanità fortemente radicata nel pensiero europeo, di un problema di civilizzazione non superato”.
Non è lettura scorrevole, è anzi puntigliosa – Elias è un pur sempre un sociologo, “Sociologia di un genio” è il sottotitolo. Ma con numerosi punti di riferimento. “Nella Germania della seconda metà del secolo XVIIImo era possible affrancarsi dal canone di gusto aristocratico-cortese”, c’era già un pubblico borghese abbastanza ampio, di gusto anche non tradizionalista, ma solo per la scrittura, “nei campi della filosofia e della letteratura”. Ancora in Goethe, al libro V de “Gli anni di spprendistato”, solo il  nobile può pretendere l’armonico perfezionamento della propria natura, il borghese non è e non dà nulla.
Il musicista, “se sentiva la vocazione a prestazioni di altissimo livello, come esecutore o come compositore”, doveva cercarsi la protezione di una corte – se protestante poteva accontentarsi di un posto di organista, o maestro di coro. Mozart, un piccolo borghese che a un certo punto vuole emanciparsi dalle protezioni aristocratiche, e vivere a Vienna del proprio lavoro, come bene o male farà Beethoven una generazione dopo, non ce la farà. È già finito quando muore. Il successo in Italia lo aveva convinto che ce l’avrebbe fatta da solo – aveva avuto successo come un interprete oggi, magari solo di musica pop, può averlo in una tournée. Ma in Germania, “a paragone con quello letterario, lo sviluppo musicale era arretrato. La decisione di Mozart di farsi «libero artista» cadde in un’epoca in cui, per la struttura della società, non esisteva di fatto alcuno spazio del genere per musicisti di altissimo livello”.
Giorgio Pestelli, che introduce il saggio, non è d’accordo. Già a metà Settecento, dopo lo scossone della Guerra dei Sette anni , 1756-63, che aveva lasciato indebitate le corti, Londra e Paigi avevano maturato un vivace mercato delle arti, avviando un sensibile movimento migratorio e di affrancamento per musicisti tedeschi e boemi: “Già Händel si può considerare emancipato dala condizione servile del musicista settecentesco”. Anche Haydn, continua Pestelli, finisce la carriera da libero professionista, dopo il 1790 – ma il 1790 non è un po’ tardi, Mozart morirà poco dopo, e già agitato dalla rivoluzione francese? E prima di loro i figli di Bach. E tuttavia la vita di Mozart è quella, di musicista di corte, amato e maltrattato a piacimento, dal vescovo di Salisburgo come dalla imperatrice Maria Teresa. E quando tenta da solo, a Mannheim e a Parigi, patisce il freddo e la fame, con la morte della mamma, che era al suo seguito, probabilmente di stenti. 

Alla geografia di Pestelli anche l’Italia va aggiunta: le “piazze” di Milano, benché asburgica, e Napoli, e quelle papaline di Bologna e Roma (il papa vi fece cavaliere il ragazzetto Mozart), costituirono un “mercato” sostanzioso, anche prima di Londra, per “Giovannino” Bach come per Mozart. C’era di che, se uno voleva emanciparsi. In più occasioni, documenta lo stesso Elias, a Mozart quindici-sedicenne il padre Leopold ha cercato un impiego in Italia, a Milano, a Firenze, dove i rapporti non erano feudali. 
Il problema di Mozart era l’Austria: Salisburgo e Vienna, il conte-vescovo Colloredo e l’imperatrice Maria Teresa, come pure il progressista Giuseppe II. E questo nella sociologia di Elias vistosamente manca, curiosamente – non gli se ne può fare colpa: il saggio è stato compilato da Michael Schrōter, come tante altre pubblicazioni del tardo Elias, che era molto restio a pubblicare, sulla base di appunti e testi non definitivi da lui redatti per un progetto che non realizzerà, benché l’editore Suhrkamp lo avesse annunciato in una sua collana, “L’artista borghese nella società di corte”.
Un aneddoto basti, in aggiunta alla documentazione analizzata da Elias, a definire il suolo sociale di paria dei Mozart. Il giovanissimo Wolfgang era felice a Milano, dove era celebrato per il geniaccio e  gli furono commissionate varie opere, una delle quali, il fastoso “Ascanio in Alba”, “feste e serenata”, su libretto di Parini, nel 1771, Mozart ha quindici anni, il governatore austriaco conte Firmian volle dedicata all’arciduca Ferdinando. Che la madre imperatrice, Maria Teresa, metterà sull’avviso in questi termini: “Mi chiedi di assumere al tuo servizio il giovane di Salisburgo. Non so perché, non credo tu abbia bisogno di gente inutile. Se ti fa piacere, non voglio impedirti di farlo. Quello che voglio dire è di non caricarti di gente inutile”. Interrompendo d’autorità la carriera che il padre Leopold già divisava per lui dopo la trionfale accoglienza cisalpine – il papa lo aveva fatto cavaliere, a dodici o tredici anni, a Napoli “si diceva che nessuno suonava” come lui, attesta lui stesso in una lettera.  
Elias propende a farlo vittima dell’epoca - di Maria Teresa preferendo l’aneddoto che inviò a Mozart bambino prodigio e alla sorella “gli abiti eleganti e luccicanti che erano appartenuti precedentemente a giovani membri della sua famiglia”. L’arte è stata sempre sociale, di consumo – di mercato. Solo ultimamente si teorizza l’arte per l’arte, il mezzo o linguaggio autoreferente. E questo vale anche per la musica, alta o altissima. Ma “i codici sociali e i metodi, attraverso i quali gli uomini erigono nella vita di comunità dei controlli alle pulsioni, non nascono secondo un piano, si sviluppano nel lungo periodo, ciecamente ed in modo non programmato”.
A un certo punto, a metà saggio, anche Elias situa la questione in Austria correttamente, rilevando “la contraddizione tra la fama crescente dei Mozart in tutto il mondo e la loro posizione inferiore  nella propria città” – inferiore cioè servile, e a Salisburgo come a Vienna. Ma un po’ più di storia non avrebbe guastato, su Vienna e i suoi principi, che pure si vogliono gloriosi e felici.

Norbert Elias, Mozart, Il Mulino, pp. 162 € 12

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