La teoria dell’“abbiamo vinto”
comunque la fa l’allenatore della Juventus Allegri su Rai 1. Reduce da
due sconfitte consecutive. Dopo due partite disastrose. Una nel proprio stadio,
di fronte al proprio pubblico. Entrambe su Rai 1, il palcoscenico d'Italia: il 7 novembre 6 milioni e
mezzo di spettatori, il 24 per cento di tutto il pubblico, ieri di già
dimezzati, comunque sempre sui quattro milioni di spettatori, uno su cinque. Lo
stesso allenatore che ieri ha mandato in campo una squadra con cinque
attaccanti, come se andasse a passeggio – meno il sesto giusto, Dybala, che entrando
all’ultimo ha fatto due bellissimi gol (uno annullato per regolamento, ma
bellissimo).
Nessuna scusa, nessun riguardo per i tifosi. Che sono quelli che fanno la forza di un club, ma che la Juventus non ha accresciuto probabilmente di una
unità nella formidabile promozione gratuita su Rai 1, e anzi avrà ridotto. La Roma se non altro ha il
buongusto di chiedere scusa ai tifosi. Ma viene da una serie ormai innumerevole
di batoste, dentro e fuori la Champions.
E dunque cosa c’è da festeggiare? Che
gli incassi sono aumentati. Più che gioco e bel gioco si sbandierano gli
incassi: tanto dall’Uefa, tanto dalla Rai, tanto da Sky, tanto dagli sponsor, e
tanto da plusvalenze negli acquisti\cessioni. Sui media e anche tra i
calciatori, che si impegnano solo per i premi partita.
È da molto tempo ormai che le
squadre di calcio, benché legate alla città, non rappresentano nessuno, se non
tifosi bistrattati: non entusiasmano. E la debolezza è nota: squadre senza cuore - agonismo, spirito di gruppo. Cui però si pensa
di sopperire non con stimoli passionali, affettivi – atleti giovani, locali,
tecnici, impegnati – ma con contratti multimilionari, di acquisto\cessione, ingaggio,
promozione, pubblicità. Per quale
pubblico? O si pensa che si faccia il tifo per i soldi, invece che per il
gioco?
Lo stesso per gli stadi. Gli
stadi sono semivuoti e vuoti, quasi sempre. Ma non c’è altro tema di
discussione che fare stadi nuovi. A Firenze, a Roma, a Milano, a Napoli. Che
non sono impianti sportivi – si potrebbero rifare i vecchi: sono progetti
immobiliari, in aree remote da rendere edificabili e da urbanizzare. Le
proprietà sono anche esplicite su questo: i Della Valle a Firenze, Pallotta a
Roma, De Laurentiis a Napoli, i cinesi a Milano (oltre che a prestare soldi ai loro
club all’8 per cento). Non c’è salvezza nemmeno negli sport.
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