venerdì 7 dicembre 2018

Secondi pensieri - 369

zeulig


Classico – È tribale. È sinonimo di universale, ma è il fondamento del tribalismo: della tradizione, il più possibile legate al luogo, alla comunità. Per questo la cultura classica ha bisogno di poco: ha l’ascendente dei vecchi miti e dei riti tribali. E si esercita etnicamente, l’identificazione su cui fa aggio è di tipo parentale, sanguigno – da qui la cultura dei primati, da Gioberti a Heidegger, che a prima vista è balzana.

Io - L’Io non è nella fisica. Ed è, risalendo a Rimbaud e anzi a Nerval, prima che a Heidegger, sorpassato. L’estraneità è invece un fatto fisico. Non c’è la freccia del tempo, come Mach ha intuito e Zermelo dimostra, ci sono stati disordinati, l’equilibrio si riforma continuamente – situazioni che si ripropongono, eterni ritorni. Le semplici osservazioni di Zermelo sui gas mostrano che l’entropia e il disordine non crescono col tempo, ma semmai con le dimensioni.
Boltzmann già aveva associato entropia e disordine, ma li vedeva crescere col tempo. Una veduta conservatrice della natura e della storia o, chissà, rivoluzionaria. Non era vero, e Zermelo lo dimostrò. Se è un fatto di dimensione, l’Io sarebbe dunque una persona robusta. Ma chi è Zermelo? Ha rivoluzionato la termodinamica, ma non è don Abbondio, è peggio, nessuno lo ricorda. La sua eliminazione della freccia del tempo, che doveva migliorare la costruzione di Boltzmann, portò invece quest’ultimo, il miglior fisico dell’epoca, al suicidio.

È vero però che la prima persona al presente storico è ingombrante, una rappresentazione doppia - del soggetto che rappresentando se stesso si situa e si capisce. Per questo è faticosa. Inevitabile, l’autore è un personaggio della propria narrazione. Non necessariamente l’agente primo, ma sempre prim’attore. In Aristotele il personaggio è al plurale – è più d’uno. E si chiama “agente”. Non di polizia, ma quello che agisce, fa la realtà.
L’autore è uno stratega. In primo luogo di se stesso: distaccato, misurato. Bene. Basta allora rettificare la postura, tenersi eretti? Non piegare il collo, il vizio che si prende leggendo è dannoso, non solo alla cer-vicale. Si vede guardando avanti. Sapendo che non si compete con chi ti vuol male, i carabinieri hanno ragione.

Meraviglia – Prima che in Jeanne Hersch, quale motore della conoscenza, era in Vico, “La Scienza Nuova”, Laterza, 1967, p. 200, “la naturale curiosità, ch'è figliuola dell’ignoranza e madre della scienza, la qual partorisce, nell'aprire che fa della mente dell'uomo, la meraviglia…”

Spirituale – Ha molto di materiale. Non maturano solo i prodotti naturali e i processi produttivi, di più maturano e anzi induriscono le ideologie, e si dovrebbe dire le psicologie. Anche il sociale è un po’ minerale: in una società integrata, che viene da lontano, i rapporti si legano per molti fili, culturali, storici, tribali. Anche le egemonie e le sudditanze, per quanto risentite o protestate.

Storia – “Lo storico è, per professione, un falsificatore della storia”, M. Heidegger, “Note I” (“Note I-V”, p. 122): “Lo storico è la personificata negazione della storia”. O anche, p. 123: “La storiografia è la psicologia della storia oggettivata” – e “la psicologia è la storiografia dell’ “inconsapevole”, del “profondo”, dell’ “originariamente tipico”.

Tribù – Residua o riemerge con la globalizzazione. Contro le emigrazioni e la misgenation da una parte, o come fondamento religioso o culturale, di divisione e contrapposizione. Riemerge col fenomeno politico confuso che si labella genericamente come “populismo”. Tribalismo sarebbe più corretto: la “razza” rivendicata da chi ha meno da rivendicare, dal punto di vista del potere, del reddito, e anche tribale in senso proprio.
A lungo atteso come insorgenza nazionalistica, delle piccola patrie, l’inevitabile movimento di bascula contro la globalizzazione si orienta invece verso un tribalismo vecchia maniera. Poco definibile (circoscrivibile) ma acuto.  

Umorismo – “Una fioritura silenziosa della libertà”, il severo Heidegger si diverte per una volta in poche righe dei suoi fitti quaderni neri, “Note I-IV”, p. 243. C’è chi ne manca, “allora è un povero babbeo”. Però, questo caso può essere dell’“umorismo vero”: “Può anche significare che l’umorismo non si mostra immediatamente”, che “resta trattenuto nell’atteggiamento del pensiero”.
È una riflessione occasionale, sperduta. Ma il filosofo mostra di saperne di più, sulla qualità dell’umorismo, e sul rapporto dell’umorista stesso con l’umorismo, col suo bisogno di fare umorismo: “Forse questo buon umore, quello inappariscente, è il solo genuino. Laddove l’umorismo si fa chiassoso, si tradisce facilmente come scappatoia e velamento di una profonda insicurezza”, cui magari il soggetto pensa di “essere sfuggito”. Mentre, al contrario, “l’umorismo invisibile non va affatto a parare nell’insicuro e nel forzato perché è una fioritura silenziosa della libertà. Per questo resta raro. Ancora più raramente esso viene riconosciuto”.
L’appunto termina con l’usuale rapporto tra umorismo e malinconia: “Che l’umorismo possa essere lo stesso di una sana malinconia sarà comprensibile solo a pochi uomini. L’umorista, generalmente, ha in misura minima buon umore”.

zeulig@antiit.eu

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