C’è un che di affascinante nella vicenda
parlamentare della Brexit, dell’accordo con la Ue, e insieme di inquietante: la
forza del linguaggio. Della rappresentazione di sé. Della rappresentazione che
si ha di sé, e si sa, si può, imporre all’esterno.
Si provi a mettere un Conte, o anche un Gentiloni
per questo, al posto di Theresa May. Che cinquanta parlamentari del suo partito
sfiduciano sull’accordo per la Brexit. Ma non abbastanza per farla sfiduciare
davvero, ossia farla decadere. Abbastanza per lei per tornare a Bruxelles, a Berlino
e Parigi, e perorare una briciola in
più. Si sarebbe detto un mercante di tappetti, di Conte o Gentiloni. May no, è solo una premier in difficoltà,
simpatica a prescindere anche perché è donna.
Non si sopravvive a un vero voto di sfiducia, del proprio
partito. Ma nessun giornale inglese che abbia denunciato quel miserabile gioco
delle tre carte. Nessun commentatore italiano, o europeo, o americano che lo rilevi.
No, l’Inghilterra non mercanteggia, quando mai, l’Inghilterra è sovrana, l’Inghilterra
forse sbaglia ma per eccesso di orgoglio. L’immagine – il linguaggio – è tutto.
Ed è una dote, certo, sapersi incensare, volere bene.
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