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martedì 18 dicembre 2018

Theresa May e il gioco delle tre carte


C’è un che di affascinante nella vicenda parlamentare della Brexit, dell’accordo con la Ue, e insieme di inquietante: la forza del linguaggio. Della rappresentazione di sé. Della rappresentazione che si ha di sé, e si sa, si può, imporre all’esterno.
Si provi a mettere un Conte, o anche un Gentiloni per questo, al posto di Theresa May. Che cinquanta parlamentari del suo partito sfiduciano sull’accordo per la Brexit. Ma non abbastanza per farla sfiduciare davvero, ossia farla decadere. Abbastanza per lei per tornare a Bruxelles, a Berlino e  Parigi, e perorare una briciola in più. Si sarebbe detto un mercante di tappetti, di Conte o Gentiloni. May no, è solo una premier in difficoltà, simpatica a prescindere anche perché è donna.
Non si sopravvive a un vero voto di sfiducia, del proprio partito. Ma nessun giornale inglese che abbia denunciato quel miserabile gioco delle tre carte. Nessun commentatore italiano, o europeo, o americano che lo rilevi. No, l’Inghilterra non mercanteggia, quando mai, l’Inghilterra è sovrana, l’Inghilterra forse sbaglia ma per eccesso di orgoglio. L’immagine – il linguaggio – è tutto. Ed è una dote, certo, sapersi incensare, volere bene.  

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