Giuseppe Leuzzi
Vinte
per un soffio le primarie per l’elezione a governatore dello Stato di New York,
che potrebbero essere la sua terza elezione vincente di fila, Andrew Cuomo ha
promesso che legalizzerà la marijuana, il cavallo di battaglia alle primarie della
contendente Cynthia Nixon. La legalizzerà, ha detto, a protezione delle minoranze: “Le leggi contro la marijuana hanno
disproporzionatamente colpito gli afroamericani e altri gruppi minoritari”, ha
spiegato. Lo steso potrebbero richiedere i (giovani) calabresi che ne fanno (piccola) coltivazione, negli anfratti dei torrenti, demaniali. Coltivatori diretti.
In
morte di Sandra Verusio, la “marchesa rossa” dei salotti romani, si rispolvera
una sua vecchia intervista, 2006, con Sabelli Fioretti. Che richiama a un
certo punto un complimento di Lucio Villari, uno dei suoi ospiti abituali. “Sara
è una vera dama da intrattenimento”. Al che lei obietta: “È stato
molto carino. Però è una definizione da uomo del Sud. Solo in Calabria
potrebbero dire: «donna da intrattenimento»”. Che sarà suonato strano a
Villari, che probabilmente non sa niente della Calabria. Ma avrà capito che era
un modo di dire per rincularlo al fondo della considerazione.
Nella
stessa intervista la “marchesa rossa” spiega come funzionava il suo salotto,
chiamato “la Stabile”. Domanda: “La Stabile è tremenda: come avviene la decapitazione?”
“Con piccole frasi, battutine fredde e poi una telefonata tagliateste”. “Il
tagliatore di teste è Scalfari?” “Sì, ma come tutti i grandi capi non lo fa personalmente”.
“E cioè?” “Scalfari fa capire e qualcun altro fa sapere”. Un metodo che la
sociologia dei Carabinieri direbbe mafioso. A Roma, a sinistra.
Però,
è vero che Scalfari è calabrese, anche lui.
Nel
1949 il film “Patto col diavolo” di Luigi Chiarini, su soggetto di Corrado
Alvaro, “parla male della Calabria”: i deputati Dc calabresi protestano. Il
rito si perpetua, a ogni film, o telefilm, o anche solo romanzo. Come il rito
opposto, di dirne comunque male, dei deputati che protestano e della Calabria. Il
Sud raramente sorprende, è frasi fatte.
Scrivendo
nel 1951 contro la censura sul “Corriere della sera”, Corrado Alvaro spiega:
“Al tempo del passato regime, le culture straniere e reputate nemiche, cui per decenza
non si poteva impedire del tutto il passo, formarono la vita nazionale e la
portarono alla fuga da se stessa e al disprezzo di sé”. La “fuga da se stessi” e
il “disprezzo di sé” non sono dunque buone cose. Anche per la Calabria di
Alvaro?
“La
Lega cala al Nord e cresce al Centro-Sud”. Sempre il Sud, potendo votare, ha
scelto l’alternativa peggiore.
Morire a Milano
Uno
degli aspetti raccapriccianti dell’uomo, un tifoso dell’Inter, tranciato a metà
da un suv nell’agguato, interista, a Milano contro i tifosi del Napoli il
giorno dopo Natale, alle 7,20 di sera, è la sottovalutazione del caso, a
Milano, per lunghe ore. Da parte della questura, pur diretta da un ex arbitro,
testimone di molta violenza nel calcio, di Reggio Calabria, dove la violenza
omicida si vuole il marchio urbano. E da parte dei giornalisti. Ancora la
“Domenica Sportiva” su Rai 1, a mezzanotte, si limitava a menzionare, di passata, fra
le tante chiacchiere, che prima della partita c’erano state schermaglie tra le
opposte tifoserie, “con feriti, pare, da arma da taglio”. Un trasmissione che
pure si fa in diretta, a Milano.
Non
c’è colpa in questo, e comunque il morto era già morto, né gli spettatori avrebbero
potuto farci nulla. Ma la sottovalutazione è una verità indigesta, la gestione della
notizia.
Quando
si fa antimafia, si fa tutto alle prime ore del mattino con comunicazione
tempestiva e immagini ai primi notiziari Rai e poi per tutto il corso della
giornata. Quando tre gruppi di tifosi interisti neo nazisti si mettono insieme
a Milano, convergendo da Varese e da Nizza, e si appostano su una delle strade
di accesso allo stadio ma lontano dai luoghi presidiati dalla Polizia, un luogo
defilato da cui sanno, come?, che dovranno passare i tifosi napoletani, con
punte da muratore, roncole, martelli, mazzette comprate per l’occasione, con
l’etichetta ancora attaccata, e bastoni di legno, e c’è un morto in condizioni orribili, non se
ne sa nulla.
Ci
sono molti precedenti, purtroppo, di violenza dentro e fuori degli stadi, tra
gruppi di opposte tifoserie, più o meno organizzate. A Roma, a Torino, nella
stessa Milano, e altrove. Ma il Tg 1 trova solo da ricordare quello di venti anni
prima a Catania, in cui morì l’ispettore Raciti.
La Magna Grecia
micenea
Ci
fu un periodo miceneo-minoico (“miceneo” si deve a Schliemann, 1878), fino al Mille
circa a.C. Poi un periodo di “secoli bui”, di immigrati indo-europei – i dori –
che occupano l’Egeo e le sue isole, riducendo i greci al silenzio. Fino
all’VIII secolo, quando i greci, ispirandosi all’alfabeto fenicio,
riacquistarono l’uso della scrittura – e fiorì Omero. Si dibatte se temi e
assetti sociali dell’Iliade e dell’Odissea siano quelli dell’epoca micenea
oppure dei “secoli bui”.
Ci
fu una primavera micenea-minoica dunque, estesa anche a quella che sarà la
Magna Grecia. Le migrazioni della fine del secolo VIII, verso Locri, Napoli,
Ischia e Marsiglia erano state precedute mezzo millennio prima dai Micenei. I costruttori lapidei. I fedeli del Toro.
Una
terza revisione della storia greca va messa in cantiere, dopo quella operata
trent’anni fa da Einaudi, sotto la supervisione di Settis, che la Grecia collegò
alla Mesopotamia e all’Egitto. Una pre-Magna Grecia che si ricostruisce lenta,
anche di malavoglia, per i ritrovamenti di medaglie, monili, ceramiche. E per
dare un senso alla toponomastica e alle costruzioni megalitiche.
Il
Sud comincia a Teano Ovest
Nessuno ignora che il Sud comincia a
Teano Ovest. A destra sull’autostrada scendendo verso Napoli. Tra i rivenditori
di accendini. Di orologi mostrati in segreto - dentro i giacconi. Di telefonini.
Che affollano-attorniano l’automobilista in sosta per esibire la mercanzia, con
discrezione, supposta – con la supposizione della discrezione.
Questo alcuni anni fa, ora la stazione
di servizio è ingigantita, ben pulita e ben servita. Ma alcuni anni fa la
memoria, di una stazione che poi fu sempre evitata perché appunto troppo affollata,
si presentava così. Era piccola. Con due baristi tra bancone e cassa. Che
sapevano servire un torpedone in due minuti, di nordamericani, forse canadesi,
in età che balbettavano parole italiane indistinte, tra le mezze minerali, non
gasata, non gelata, non calda, e l’infinita serie dei caffè, lungo, ristretto, bianco,
e cappuccini, per non dire dei sandwich tra i quali erravano perplessi, con
ripensamenti. Il caffè era anche buono.
Il
Sud al Nord
Non è difficile scrivere del Sud al
Nord, del Nord come Sud: stranezze, sconcezze e malefatte. Rivoltare la carta –
la proiezione di Mercatore.
O solo scrivere rovesciato. Scrivere del Nord come al Nord si scrive del Sud,
come di un mondo remoto. Bizzarro, strano. È l’unica ricetta – l’unica via
all’affrancamento. Sarebbe.
Perché si può fare, e si fa – probabilmente si è
fatto. Ma dire, per esempio, il minestrone insipido come lo fanno i milanesi,
tutto acqua, non porta a niente. Si dice, se si dice, inutilmente.
Il problema sorge non quando non è si è totalmente
estranei - perché allora: o prendere o lasciare. Ma quando si è vicini, senza
esserlo.
Al Nord questo gioco riesce meglio perché è lontano.
Il Sud invece è attaccato al Nord, come un saprofita – nel vero senso, dell’organismo
che si nutre di materia morta o in decomposizione, masticando i rifiuti del
Nord.
leuzzi@antiit.eu