astolfo
Argentina – Era la regione
di Innsbruck, il nome allora in uso per il Tirolo, per le miniere di argento
che vi si sfruttavano. Si ritrova il nome in molta letteratura ancora del
Cinquecento, quando cominciò a prendere piede la denominazione che i conquistadores diedero al Rio de la Plata.
Argentiera
e Argentina erano in evo moderno i nomi di molti siti sulle Alpi, e anche sul
Reno (p.es. Strasburgo) , per dire di luoghi dove c’erano – o c’erano state – miniere
d’argento. La parola era in uso presso i galli anche nel senso che fu poi dato
al Rio de la Plata, di corsi d’acqua.
Guerra – Non è più popolare.
Non presso gli intellettuali, o i poeti, gli artisti, i filosofi. Per la prima
volta nella storia. Perché i rischi sono elevatissimi, del tipo catastrofe. O
perché lo sviluppo, l’economia, il calcolo, ha preso il sopravento – il commercio
nemico della guerra è vecchia teorizzazione, da ultimo in Constant. E perché
l’Europa, anche, che sempre è stata in guerra, da settanta e più anni la evita.
Ma si fanno guerre più numerose che in passato. E sanguinose. Gli Stati Uniti
in particolare, si può dire siano sempre stati in guerra nel dopoguerra. A Berlino,
col ponte aereo, nel 1948-9. In corea dal 1950. A Suez nel 1956. Contro Cuba e
in Vietnam a partire dal 1961. E poi in Afghanistan, Somalia, Libano, Iran, via
Iraq, nel Golfo, contro l’Iraq, e un po’ in tutto il Medio Oriente dopo l’11
settembre 2001: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria.
Nigeriane – L’illegalità
dell’immigrazione è italiana? Le nigeriane in Italia, si potrebbero dirle un
mistero, o farne un mistery, ma
risaputo. Anche semplice: chi le porta in Italia, legalmente, chi le sfrutta? Col
corollario che le colpe, o i reati, dell’immigrazione illegale sono dell’Italia.
Prevalentemente, di organizzazioni e controlli compiacenti italiani.
“La Lettura” indaga con Teresa Ciabatti a Castelvolturno nel casertano, “25
mila italiani e 25 mila immigrati”, l’ampio mondo delle nigeriane in Italia. Delle
prostitute nigeriane. Del traffico nigeriano di prostitute, “qualcuna di dodici
anni”. È una scoperta, non è mai troppo tardi. Ma c’è di più: le nigeriane sono
la chiave, ancora irrisolta, dell’immigrazione illegale i’n Italia. Da un paese
cioè non confinante e anzi remoto. Da un’epoca anche remota, quando non cera il
traffico degli esseri umani a basso costo e profitti stratosferici attraverso il
Mediterraneo, e dalla Nigeria bisognava arrivare in aereo o nave, e con un
visto, impossibile sottrarsi alle polizie di frontiera.
C’era il treno delle nigeriane (“delle puttane”) sulla Roma-Genova già negli ani 1970. Un
vagone riservato, più o meno, che a Livorno si riempiva di prostitute alle
sette di sera, destinazione la Versilia, da Viareggio al Lido di Pietrasanta, Forte dei Marmi (un noto bistrot canagliesco
del lungomare ha conservato il soprannome “Mangia e fotti”: una banca) e Massa
Centro. E alle tre di notte prendevano il terno inverso, sempre in gruppo, in vagone
praticamente riservato. Niente di clandestino. Una logistica complessa, e nei decenni imperturbata. C’erano le “nigeriane” negli
anni 1980 disseminate per la pineta di Castelporziano contigue alla tenuta del
Presidente della Repubblica, con rigida suddivisione territoriale, stabilita
dalla “madama” che ce le portava la mattina, e a ora prestabilite le riuniva per
conciliaboli evidentemente di indirizzo, o per collettare le entrate. Quando Pertini
aprì al pubblico buona parte della spiaggia, i sette km. dei “cancelli”, diventarono
una parte del panorama.
Le virgolette sono d’obbligo per le nigeriane, perché intanto il business si era esteso dalla Nigeria ai paesi confinanti. A opera
delle “madam”, che in Nigeria sta per imprenditrici: donne di grande energia e disinvoltura:
appena fuori dal poto di Lagos e dagli aeroporti internazionali, nessun affare,
piccolo e grande, sfugge alle “madam” nigeriane. In età e anche giovani. In “La
gioia del giorno”, così Astolfo ricorda la figura della “madam” già negli anni
1970, uscendo dall’aeroporto di Lagos: “Nella
fila lenta di macchine che vanno in città, lunga dieci chilometri, o venti,
solo incedono i camioncini delle madam.
Cigolando, fumigando, i cassoni pieni, di uomini e donne seduti stretti con le
mani sulle ginocchia, scivolano sul bordo, fanno un pezzo fuori strada, poi
risalgono sull’asfalto, sorpassando imperiose le macchine senza balestre che
restano a sudare ferme nell’afa equatoriale sotto lo smog, e suonare il clackson.
“Altre donne domatrici si trovano in
Africa, non quelle voluttuose dei romanzi dell’Ottocento, ma donne d’affari, la
regina Vittoria non è riuscita a ingabbiarle nell’antropologia della schiava tribale.
Il corpo delle matrone reso più massiccio dai paludamenti, la voce rauca che
emette unicamente un suono, una cifra, lo stecco mobile tra i denti mentre sogguarda
il cliente con le palpebre scese, per calcolarne la tariffa. Che non è quanto
il cliente può dare, per censo, abiti, lingua, ma quanto è disposto a dare. La madam dirà una cifra che per lei è alta
ma fa sentire il cliente contento, oltre che protetto. Il denaro deve avere
proprietà terapeutiche nella magia yoruba, una causa da aggiungere alle origini
del capitalismo”. Il privilegiato in taxi, o in auto aziendale”, continua
Astolfo, “non ha questo piacere, è preso e riportato da mezzi che beneficiano
dell’extraterritorialità, avendo pagato in anticipo, in abbonamento, il fee
o bakhshish dovuto ai vari gradi di autorità. Ma ogni madam con cui incrocia lo sguardo dietro
il finestrino gli fa il calcolo mentalmente di ogni altro affare possibile,
compravendite, cambi, affitti, le ambitissime licenze commerciali, o solo marchette.
“Sporco e ingorgato, il mercato inizia a
Lagos all’aeroporto, arrivando dal Ghana ex socialista, ma con offerte e proposte
di convenienza, quindi di efficienza. Si danno in albergo molti ricevimenti,
per uomini grassi, l’aria sudata o affannata sotto le cravatte sgargianti, che passano
da un ricevimento all’altro, per il potere, che è chiacchiera. Le donne, anche
le mogli, sono invece padrone severe del mercato, per i soldi”.
Le madam avevano e hanno molti
commerci a Lagos e altrove Nigeria. Nigeriani erano i primi pusher di droghe
sui marciapiedi. Tutta gente quindi con passaporto e visto di ingresso. Nella
distrazione continuata e totale.
Solo un anno fa, e solo sul “New Yorker”, il fenomeno delle nigeriane in
Italia è stato investigato, da un giornalista americano. Che ha trovato agenzie
di reclutamento in più città della Nigeria. Un’attività dichiarata. Con tariffe
scaglionate per vari tipi di “ingresso in Italia”. Compreso quello a basso
costo, la rotta del Sahara e della Libia, senza visto.
Fenomeno analogo, se non criminale come la prostituzione, è stato ed è –
oggi un po’ ridotto – quello dei “vu cumprà”. Torme di piccoli ambulanti del Nord
Africa e del Bangladesh arruolati , con l’offa del banco al mercatino. Organizzati,
suddivisi, collocati ognuno in una sua area. Oppure, da alcuni anni, quello dei giovani africani del
Ghana e del Senegal, della diffusa e potente setta religiosa dei murinid, postati ogni giorno a migliaia come mendicanti attorno ai
bar, le edicole, sui marciapiedi, portati e ripresi a turno, con cellulare.
Spionaggio - Non è
più trafugamento di documenti e segreti ma guerra psicologica. Quella che si
chiamava guerra psicologica nella guerra fredda, oggi attacco informatico. Una
intrusione nel campo avverso, seppure solo a parole. Per minarne l’unità e la confidenza
in se stessi. Simon Kuper, un giornalista del “Financial Times” che, dice, ha “appena
licenziato un libro che mi ha introdotto nel mondo degli agenti doppi
russo-britannici nella guerra fredda”, trova che segreti e documenti erano
irrilevanti anche allora. E cita gli agenti doppi britannici più famosi, Kim
Philby e Guy Burgess: “Per due paesi che non avevano molto in comune, prima che
i ricchi russi colonizzassero, in questo secolo, il centro di Londra, la Russia
e il Regno Unito si sono impegnati in un
vasto reciproco spionaggio. Ma per lo più inutile. Doppi agenti britannici della
levatura di Kim Philby e Guy Burgess si lamentarono spesso che i sovietici
ignoravano le loro segnalazioni. Molti dei documenti britannici che Burgess
diede al Kgb non furono nemmeno tradotti in russo”. In parte per “paranoia”: “Si
può reclutare un traditore, ma mai avere fiducia in lui. Il Kgb sospettò sempre
il doppio agente d’oro Kim Philby di essere una talpa britannica”. IN parte, o soprattutto,
perché il doppio agente eminente è una sorta di testimonial, importante per il suo nome e la funzione, e non per
quello che sa o confida.
Svizzeri –
“Godonsi… una libera libertà”. Machiavelli, brevemente legato della Repubblica
fiorentina presso l’imperatore nel 1508, nella succinta classica informativa
che invia alla Repubblica (“Ritracto delle cose della Magna”) si dilunga
(quattro pagine su dieci) sull’argomento che più gli sta a cuore, la libertà. Surrettiziamente
introducendo il tema a proposito degli Svizzeri, tra le “genti de la Magna”. Gli
Svizzeri difendono una doppia libertà, dall’imperatore e dai principi in lotta con
l’imperatore, “ma eziandio sono inimici alli gentili huomini”, quelli che vogliono
farsene signori – sottinteso: come i Medici: “Perché nel apese loro non è dell’una
spetie né dell’altra, et godonsi, senza distinctione alchuna di huomini, fuora
di quelli che seguono nelli magistrati, una libera libertà”.
astolfo@antiit.eu