sabato 14 aprile 2018

Problemi di base bellicosi bis - 412

spock

Dobbiamo credere a Trump, May, Macron oppure a Putin, Rouhani, Assad: c’è dubbio?

Se dobbiamo fare la guerra alla Russia, ci sarà un motivo?

O Trump, May, Macron, non sapendo che fare, fanno la guerra?

L’Occidente è una difesa o un’aggressione?

Difende i curdi, per esempio, i palestinesi, i tibetani?

O Trump, e il partito Conservatore britannico?

Ora è anche Comey/Fbi, dopo “Stormy” Daniels, contro Trump: chi dobbiamo difendere?

Morire per Trump, e per Theresa May?

spock@antiit.eu


L’astensione è di classe, nei quartieri multietnici

Il voto è diventato incerto e volatile nel decennio culminato il 4 marzo in misura record nella storia della Repubblica. Di un quarto superiore al vecchio record di “abbandoni” tra il 1987 e il 1994, nello smottamento e il crollo della “Prima Repubblica”. Allora gli studi sui flussi di voto rilevarono 15 milioni di “abbandoni”, di passaggi da un partito all’altro. Nel decennio concluso il 4 marzo sono stati 20 milioni. Mentre l’astensione è salita tra i due periodi di 14 punti percentuli.
Un astensionismo soprattutto “di classe”, mette in rilievo uno studio sui flussi di voto condotto da “Lotta Comunista”. Nei quartieri periferici delle città, operai e\o multietnici. A Torino la quota  Abn (di astenuti e schede bianche o nulle) si aggira in questi quartieri sul 36-37 per cento dei residenti. Ma, al netto dei maggiorenni stranieri che in queti quartieri abitano ma non votano, salgono al 44 per cento alle Vallette e a Falchera, e al 55 per cento a Barriera di Milano. Analogamente a Genova: la quota Abn è nei quartieri popolari multietnici al 35-37 per cento dei residenti, ma, non contando gli stranieri maggiorenni, sale al 44 per cento a Bolzaneto e Legaccio, al 48 a Cornigliano, e al 55 per cento a Sampierdarena. A Milano gli Abn senza i residenti stranieri sono il 43 per cento ad Affori, il 48 al Corvetto, il 50 a Quarto Oggiaro, il 51 al Giambellino, e il 53 a piazzale Loreto.

Classifiche vere dell'autoaffondamento dell’Italia

L’Italia ha il minor numero di laureati in rapporto alla popolazione in Europa. Eurostat rileva che meno di una persona su sei tra coloro che sono in età da lavoro ha la laurea in Italia:  il secondo dato peggiore in Europa dopo la Romania.

L’Italia ha il primato negativo per uomini laureati, con il 13,7 per cento di coloro che hanno tra i 15 e i 64 anni. Per le donne la percentuale delle laureate sale al 18,9 per cento, sempre dela fascia di età tra i 15 e i 64 anni, il dato peggiore in Ue (dove la media è del 29,7 per cento) dopo la Romania.
Dal 2008 ad oggi le donne con la laurea in Italia hanno guadagnato 4,9 punti contro 7,8 della media Ue.

L’Italia è al ventunesimo posto, tra i 28 della Ue, per il numero dei poveri in rapporto alla popolazione: 4,5 milioni di persone in “povertà assoluta”.

Dall’inizio del secolo il Meridione è rimasto indietro rapidamente: in termini di reddito lordo, ha perso un terzo sulla media dell’Unione europea, il 30 per cento sulla Germania, il 27 per cento sull’area euro e circa il 40% sulla Spagna; l’arretramento sul centro-nord dell’Italia è stato di oltre dieci punti, persino sulla Grecia di cinque (i dati sono basati su stime della Svimez) – F. Fubini, “Corriere della sera”.

In tutta Europa solamente in Campania, Calabria e Sicilia metà della popolazione o oltre viene considerata da Eurostat a rischio di povertà e di esclusione sociale. La stessa agenzia europea mostra che, stimando il reddito per abitante in proporzione al costo della vita, il Mezzogiorno ormai viaggia al livello della Lettonia, più indietro della Lituania e dell’Ungheria, quando vent’anni fa era molto più avanti- Id.

L’Italia ha il terzo maggior debito pubblico mondiale. Dietro gli Stati Uniti, che hanno cinque volte e mezza la popolazione italiana, e il Giappone, con una popolazione di più del doppio..

L’Alzheimer si previene con l’alimentazione

Si è sempre saputo che certi cibi e certi modi di essere e di fare (“stili di vita”) ci rendono più agili, più vispi, più intelligenti, ma non più saldi nella memoria. Con notevoli variazioni peraltro, nell’alimentazione o nelle attitudini psicofisiche, da luogo a luogo, da cultura a cultura, da generazione a generazione – non bisognava bere acqua-bisogna berne molta, non bisogna correre-bisogna correre, bisogna mangiare carne-non bisogna mangiare carne. Ora che la perdita della memoria è diventata diffusa e una sorta di epidemia sociale - non è più tempo di “distratti” e “distrazioni”, come i deficit di attenzione di zii e nonni venivano benevolmente etichettati -  la cosa è materia di studio.
Lisa Mosconi è una delle studiose di punta di questa branca neurologica. Che ha già acquisito alcuni esiti, anche per merito suo. Non c’è – non ancora – la pillola contro l’Alzheiner, ma molto si sa per farvi comunque fronte. Il ruolo della genetica (ereditarietà) nella demenza precoce o senile è poco o nulla rilevante. Di più contano alcune patologie, e per tutti gli stili di vita,  in particolare l’alimentazione. I cui effetti sull’attività cerebrale la studiosa ha preso da alcuni anni ad approfondire.
Il volume è scientifico e pratico. Sottotitolo della trattazione, che ha scopo divugaltivo e quasi da manuale, è “ Tutti gli alimenti che ti rendono più intelligente”. La corredano un test di 80 quesiti, per verfiicare se siamo o no in linea col regime alimentare ideale all’intelligenza e alla memoria. E schede elaborate e agili insieme sulle proprietà dei cibi di uso comune. Con effetti paralleli, oltre che per lo sviluppo e il rafforzamento delle capacità cognitive, anche per la riduzione dei rischi di cardiopatie, diabete, disfunzioni metaboliche.
Mosconi, giovane ricercatrice fiorentina “emigrata” a New York, ha fondato il Laboratorio per la nutrizione e il benessere del cervello alla New York University, dove ha diretto anche il programma di ricerca sulla “familiarità” (ereditarietà) dell’Alzheimer.Ora insegna Neuroscienze e Neurologia al New York-Presbyterian Hospital, dove è vice-direttrice della clinica per la prevenzione  dell’Alzheimer. È nota negli Usa per ricerche sulla diagnosi precoce dell’Alzheimer. E per gli studi che sono alla base di questo “manuale di sopravvivenza”, sulla possibilità di prevenire o attenuare la perdita della memoria attraverso l’alimentazione, e l’attività psico-fisica.  .
 Lisa Mosconi, Nutrire il cervello, Mondadori, pp.336, ill.  19

venerdì 13 aprile 2018

Ombre - 411

La regina Elisabetta discendente del Profeta è l’ultima di Londra. E dunque sarà anche la califfa di Damasco. Ma prima o dopo i missili anti-missili?

Raggi risuscita Bikila, il maratoneta scalzo del 1960, e lo fa guest star dell’Appia Run, la maratonina di domenica prossima. Sarà che i 5 Stelle vivono sulla rete ma non sanno leggere? Google non è avara con l’atleta etiope, morto giovane poco dopo l’Olimpiade romana.


Berlusconi è “il male assoluto” per il grillino Di Battista. Il cui libro, “Meglio liberi”, è pubblicato e propagandato da Berlusconi. Un teatrino nel teatrino.

“La triste faccenda” dell’Accademia svedese del Nobel letteratura, dove il marito di Katarina Frostenson, poetessa membro dell’Accademia, Jean-Claude Arnaut, beneficiario di fondi dell’Accademia stessa, è accusato di abusi sessuali, “sembra architettata da un cabalista” fanatico del numero 18, spiega Raffaella De Santis su “la Repubblica”: “18 le accusatrici, 18 i membri dell’Accademia, 18 il numero del seggio occupato da Karolina Frostenson”. In effetti. E “uno dei significati del numero 18 nella smorfia napoletana è veleno”.

De Rossi e Manolas si fanno due autogol quasi impossibili a Barcellona contro il Barcellona, e fanno due reti a Roma due settimane dopo contro il Barcellona, che eliminano dalla Champions. Il pallone è tondo, ma qualche volta è quadrato.

Mandzukic, che ha segnato due reti al Real mercoledì, fu il match winner della Supercoppa di Spagna per l’Atletico Madrid, l’unico suo trofeo possibile, nel 2014, proprio contro il Real Madrid. Matuidi, che anche lui ha segnato per la Juventus mercoledì, è uno scarto del Real. Ci sono ricorsi anche nel calcio.

Il “Corriere della sera” confina su “Buone notizie” la notizia peggiore, che Pier Luigi Vercesi costruisce con Emanuele Ranci Ortigosa, autore di “Contro la povertà”: le basse retribuzioni penalizzano l’economia. Negli ultimi dieci anni hanno penalizzato la crescita del prodotto interno di 7-8 punti. Cioè della metà. Rincorrere la Cina con retribuzioni cinesi è un harakiri.

“La disuguaglianza in Italia si era ridotta negli anni Ottanta”, calcola Ranci Ortigosa. Poi è intervenuta Milano con le Mani Pulite e i ricchi non hanno avuto più freni.

“Quanto rende investire in Npl?”, Stefano Righi, “Corriere della sera-L’Economia”. “Intorno al 10 per cento medio”, Paolo Petrignani, Quaestio Capital Management. Un rendimento da favola. Dalle disgrazie delle banche – gli Npl sono i prestiti in sofferenza delle banche.

Dai dati europei sui laureati si scopre che le donne laureate sono in Italia più degli uomini – molto di più: il 13,7 per cento degli uomini ha una laurea, le donne sono il 18,9 per cento. Di una popolazione che è femminile al 52 per cento. Pur protestando discriminazioni sul lavoro e in società. È al prova che la laurea  è inutile?

Marquez, cresciuto tra i poster di Valentino Rossi, non cessa di aggredirlo in corsa, è al terzo o quarto tentativo di farlo fuori. Un caso di furia monoteista, uccidere gli idoli? O di furia tout court, di follia?

Prima dell’ultimo assalto Marquez ne aveva dato vari segni nelle prove, e alla partenza. Segni di follia, ancorché ordinaria. Perdonati e anzi non  considerati dagli organizzatori: quello sulle due ruote è un vero circo, senza rete.

Più impressionante di tutto è il dibattito nel Pd su come fare la ruota di scorta. Si capisce che il suo zoccolo duro lo abbia punito, saltando in massa su Grillo: è un partito di (vecchi) democristiani, le barbe del potere, anche piccolo piccolo.

Orbàn ha avuto la maggioranza assoluta, col record di votanti. Il maggior oppositore è uno più a destra di lui. In Ungheria, uno dei paesi più civili, della Mitteleuropa celebrata. L’Ungheria peraltro dopo la Polonia, da tempo ripiegata su se stessa. E la Repubblica ceca, Praga per intendersi. È stato sconsiderato l’allargamento voluto da Prodi nel 2001, da presidente della commissione Ue?  “Lo dobbiamo ai paesi dell’Est”, andava dicendo Prodi, come un risarcimento per essere stati satellizzati da Mosca. I paesi dell’Est non  devono mai nulla a nessuno, solo guerre e violenze?

In realtà Prodi allargò la Ue senza salvaguardie su decisione della Germania, che voleva delocalizzare le industrie manifatturiere su manodopera qualificata a costo minimo. Paesi ora risentiti dell’egemonia tedesca, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca. I tre baltici ancora no, ma non per molto.  L’Unione Europea è un cumulo di “contraddizioni”, come usava dire.   

La neo senatrice 5 Stelle Bogo Deledda, dirigente del servizio Politiche sociali del Comune di Budoni, assente al lavoro per un anno per malattia e subito guarita ala presentazione della candidatura con Di Maio il 2 febbraio, spiega alle Iene che la sua malattia era in relazione col suo lavoro: i servizi sociali la facevano ammalare. E si allontana in Porsche. Inimmaginabile se non fosse vero.

È anche vero che il signor Bogo, il marito della senatrice, è uno che mena – vittima l’operatore delle Iene. Che Budoni, con tanti dirigenti, è un comune di cinquemila abitanti. E che il sindaco non sa della malattia della neo senatrice: è protetta dalla privacy, dice La nuova Italia è molto vecchia.

Record di multe a Firenze e Bologna, calcola “Il Sole 24 Ore” – specie per autovelox, il grande trucco: 130 euro a testa. Sarà per questo che le capitali rosse si sono sganciate: la fiscalità dice più delle chiacchiere.

Al primo week-end nelle sale, l’ultimo film di Spielberg, “Ready Player One”, ha incassato 42,1 milioni negli Usa, e 62 in Cina. Che dimensioni ha il mercato, e chi lo fa?

Niger e Tunisia non gradiscono le missioni militari italiane, seppure a titolo di “missioni di pace” o umanitarie. Che sono più spesso inutili. Ma noi non lo sappiamo, che spendiamo per esse quasi una “manovra” : l’Italia è generosa e porta la pace nel mondo.  

I giornalisti sanno di che si tratta, e di come queste missioni siano inefficaci e anche dannose. Ma si guardano dal dirlo: bisogna illudere l’opinione con i buoni propositi – le buone chiacchiere.

In solitario alla deriva – Berlusconi 26

astolfo

Non è l’età, non è la condanna. Oppure sì, è l’eta, o la condanna: Berlusconi ha preso dritto la deriva degli one man’s band, di tutti quelli che fanno sempre tutto da solo. Ha operato nella sua forzata assenza dalla politica, per i processi e sotto il peso del ridicolo, per non far emergere nessuno al suo posto. Non in Forza Italia, non Parisi a Milano, e poi alla Regione Lazio (fa campagna nel Molise..., ma nel Lazio no, non si è fatto vedere), e nessun altro a Roma, al Campidoglio.
A Roma ha frantumato su tre candidati il voto di destra al primo turno per evitare il ballottaggio, e al ballottaggio ha fatto plebiscitare Raggi - più o meno lo stesso a Torino (lo stesso, più o meno, il 3 marzo alla regione Lazio). Un harakiri sotto un altro firmamento non berlusconiano: travasare i propri voti sui 5 Stelle. Ma lo ha fatto, è uno che naviga sempre più in solitario, senza bussola. Anche negli affari: la cessione del Milan, il patto coi francesi – ribaltato solo per l’iniziativa di Zappia, di Sky.
Berlusconi non è ora l’ostacolo al governo. Questo dice la tattica, semplice, dei 5 Stette: dividere  gli avversari, la destra come il Pd. Salvini non può andare al governo senza i berlusconiani. Ma indebolisce la sua parte, e anche il suo partito: il centro-destra è stato per un quarto di secolo Berlusconi, ora non più.
Il  3 marzo Berlusconi è quello che ha perso più voti. Molti più di Renzi, in assoluto e in percentuale. È passato dai 7 milioni 332 mila voti del 2013 a 4,6 milioni, con un deflusso di 2,7 milioni abbondanti. Che sono andati a Salvini e a Fratelli d’Italia, le analisi dei flussi di voto sono chiare e concordi. Renzi, che si dichiara sconfitto, ne ha persi di meno, 2 milioni e mezzo, e comunque ha tenuto il Pd a oltre 5 milioni di voti.
Salvini è quello che ha aumentato di più il voto, di 4 milioni 311 mila unità. Più del doppio dell’aumento dei 5 Stelle che cantano vittoria – più 2 milioni e 39 mila. Sia Salvini che i 5 Stelle si sono arricchiti a spese di Berlusconi e di Renzi. Ma al Nord tutti i deflussi, anche dal Pd, perfino dai 5 Stelle, sono andati a Salvini. Nelle quattro ex regioni rosse pure: Salvini ha raccolto deflussi dell’ordine del 7 per cento dal Pd, da Berlusconi e dall’ex Monti (Scelta civica) – i 5 Stelle solo uno striminzito 0,8 per cento in uscita dal Pd. Al Sud sono i 5 Stelle che hanno intercettato il deflusso dal Pd (meno 5,3 per cento) e da Berlusconi (meno 5,8) – anche dagli ex Pci di Leu - con una crescita di dieci punti percentuali. Salvini segue con un 5 per cento in più, in deflusso da Forza Italia, dal Pd, e anche qui dai 5 Stelle.
Ma Berlusconi non fa un passo indietro, come sotto ogni aspetto dovrebbe. Venticinque anni fa ha domato i neofascisti, e la Lega della secessione. Ora dovrebbe prendere atto che l’antiparlamentarismo gli sfugge, che l’establishment è lui, anche vecchio in questa Italia che si finge ringiovanita. Ma continua la politica delle comunali di questi suoi anni di impedimento giudiziario: nessuno dopo di me.
Bisognerebbe richiamare il mito, di Saturno che divora i suoi figli, eccetera. Saturnino Berlusconi in effetti lo è diventato, un poco, lui che diceva le barzellette e sorrideva. Ma, poi, è Berlusconi, un signore milanese. Uno che non vuole costruire nulla, non senza un tornaconto individuale. Il che è il contrario della politica, buona o cattiva. Triste, solitario y final suona più adatto che Saturno, un Marlowe suonato.


Stupidario calcistico

“Carisma, orgoglio e decisionismo fuori del comune…il simbolo stesso dell’arbitraggio, una sorta di icona globale preinternet”: non trova parole adeguate l’apologista Carlos Passerini sul “Corriere della sera”per il suo arbitro del cuore, Collina. Tacendo però l’essenziale, che Collina ce l’ha messo lì Galliani, padrone della Figc, perché è l’arbitro del Milan - ci andava a pranzo a metà settimana e faceva la pubblicità per la Opel, sponsor del Milan (Berlusconi e i suoi hanno sempre usato e  propagandato macchine tedesche, in odio alla Fiat). 

È vero però – lapsus del giornale milanese - che l’arbitro inglese di Real Madrid-Juventus dev’essere un famiglio di Collina. Ammonisce, ammonisce intimidatorio, sette decimi della Juventus, puro Collina. Mentre non vede mai Ronaldo cadere a ogni alito di vento, con ghigno simulatore.
Lo stesso l’arbitro turco di Juventus-Real Madrid, articolazione nota di Collina: lui non vede un rigore pro Juventus “più rigore” di quello contro a Madrid.

Il pubblico del Madrid applaude irridente Buffon espulso. Ma i giornali spagnoli, anche di Madrid, sono perplessi. “El Paìs”: “Il Madrid evita un cataclisma storico con un discutibilissimo rigore al 97mo minuto”. “Sport”: “Il furto del secolo”, a tutta pagina - ma si pubblica a Barcellona. “Mundo Deportivo” ironico: “Master in arbitraggio”.  “El Mundo”: “Una farsa inglese”, “Il rigore più largo (generoso) del mondo”. Solo “Marca”, il giornale del Real Madrid, plaude, ma sobrio: “Fu rigore” – bisogna evitare approfondimenti. “As”, altro giornale del Real, esibisce così fair play: “Rigore interpretabile”, “Dal panico alla semifinale”. 

Le vetrine dei giornali spagnoli sui media italiani sono inattendibili:poche, incomplete, e anche sbagliate. Ignoranza - ma lo spagnolo è facile? La gioia maligna? Superficialità. 

In Italia invece è canea: il giornale di Berlusconi, quello romano di De Benedetti, quelli di Cairo (il “Corriere della sera”, oltre che santificare Collina, fa parlare Cristiano Ronaldo, uno scoop della società che promuove il calciatore)si congratulano: il calcio spagnolo è insuperabile. Sconcerti fa “rinascimentale” il Real Madrid.

Solo il “Corriere dello Sport”, romanista e laziale, si sbilancia: “Che furto!”. Si prepara alla finale – in semifinale il Real sarà sorteggiato col Bayern (redatto ieri, ventiquattro ore prima del “sorteggio”, n.d.r.), con ritorno a Madrid.

Chilavert, il portiere paraguayano che fece 62 gol, portando la squadra argentina del Velez nei suoi cinque anni a vincere tutto (e niente più dopo), reduce da alcuni anni al Real Saragozza, dove non si poteva vincere niente, sa di che si tratta e digita: “La mafia del football lascia fuori la Juventus!” Le cose si sanno, ma non si dicono.

L’amore non si sazia

Quartine spinte. Oscene anche – etimologicamente: di cattivo augurio. Di trasporti incontenibili, alla prova della lascivia, la sottomissione ai sensi, e dell’eterno esplorare, di gioie e di dolori, in rime geniali. La poesia fluisce naturale in Patrizia Valduga, non sembra costruita. E qui la applica alla vita e alla relazione appassionata con Giovanni Raboni, poeta laureato. Fino alla malattia e alla morte di lui. Che ne hanno spento gli estri, ormai da un quindicennio.
Un rapporto di cui bisogna sapere per apprezzare nel giusto senso le focose quartine. Valduga stessa ne dà conto nella nota editoriale al successivo “Libro delle laudi”: “Lei aveva 28 anni, lui ne aveva appena compiuti 49. Lei era una giovane studentessa di lettere (a Venezia, sotto la guida di Francesco Orlando), con una raccolta di versi ancora inedita e una buona dose di  sfacciataggine, lui – già allora – era uno dei più grandi poeti italiani: Giovanni Raboni. Al telefono lei gli disse che i suoi testi preferiva consegnarli di persona, che delle poste non si fidava: oggi, quando ricorda quei momenti ammette: «ovviamente volevo sedurlo». Sembrerebbe un cliché, invece è l’inizio di un grande amore durato ventiquattro anni. Per lei, che quel giorno si presentò a casa di Raboni «ubriaca e vestita da pazza», lui lasciò la seconda moglie e giurò, sapendo di non mentire, che l’avrebbe amata «per tutta la vita e anche dopo». I versi che quel giorno Patrizia Valduga portò al suo futuro compagno dovettero attendere a lungo prima di essere letti: «Gli piacevo ed era terrorizzato che le cose che avevo scritto gli facessero schifo». Invece gli piacquero”.
Francesco Orlando è “l’allievo” di Tomasi di Lampedusa, francesista e anglista, docente privato a Palermo – di lui Valduga ha detto in altra occasione: l’“incontro fondamentale nella mia vita”.
Il finale della nota al “Libro delle laudi” è all’oraziana coda di pesce: “«Ho avuto un gran culo», commenta la Valduga, e allude alla carriera ma soprattutto alla vita: «Ho vissuto ventiquattro anni accanto a un genio»”. Ma la relazione è stata forte.
Le quartine sono la celebrazione degli amori spensierati. Melodie semplici, da canzonetta. Per dire la scoperta della vita, dell’intimità più indiscreta, del gioco interminato. Emozionate e ilari, al modo di Catullo, di Saffo, di Omar Khayaam. Ma ora si direbbe al modo di Patrizia Valduga, senza bisogno di vino o eccitanti, la felicità e la confidenza col grande amore bastando all’ebbrezza. Sono seguite da un poema, “Tentazione”, che le precede: l’inizio della relazione, la scoperta dei sensi, della voglia carnale, in un corpo e un’educazione malgrado i tanti amori ancora virginale – “O Padre Nostro, scenda il tuo perdono”, invoca mentre si abbandona. Un lamento in terzine, già edito con Crocetti, agli esordi letterari, 1982-1985, dalla folgorante partenza dantesca: “In questa maledetta notte oscura\, con una tentazione fui assalita\ che ancora in cuore la vergogna dura…”. E una scena forte sacrificale a seguire. Che poi si disperde, in stiracchiato vagheggiamento di scuola classica - la rima incatenata è brutta bestia.   
Il poema è preceduto da due composizioni non datate. Un’“Erodiade”, “monologo da Mallarmé”, o la condanna-colpa della frigidità (Valduga la chiarirà dopo la morte di Raboni, nel “Libro delle laudi”: “Amare e non potermi abbandonare\ fare l’amore e non poter godere…”): il godimento è allora altruista, nel piacere dell’innamorato. E una “Fedra”, “monologo da Racine”, altra innamorata insaziata, dedicata a Franca Nuti, o l’amore che danna. Due temi che si ritroveranno nella poesia dell’allieva di Orlando, l’allievo di Lampedusa. Di facilità-felicità di versificazione ineguagliata, di formazione cosmopolita – ha tradotto tanti francesi, John Donne e Kantor. L’endecasillabo presto le diventa cantabile, sarà la sua cifra. E anche il tema dei sensi, sull’asse uomo-donna. Una poesia femminile-maschile, rinfrescante, soprattutto oggi. Non piatta, non grigia, non algida, non gridata, come sarebbe d’uopo  (d’uopo?).
Patrizia Valduga, Cento quartine e altre storie d’amore, Einaudi, pp. 171 € 14

giovedì 12 aprile 2018

L‘Atlantico divide

L’America (Trump) ci sta portando alla guerra, con i missili, ma la stampa americana solo si occupa
di Zuckerberg, e di “Stormy” Daniels, la puttana che ricatta Trump. Schizofrenia? Non temporanea: non nuova, viene da lontano. E non è solo questione di media.
La divaricazione è ormai enorme degli Usa dall’Europa. Da quando si è lanciato l’euro, e gli Usa si sono creati il nemico Fortress Europa, da abbattere a ogni costo.
Gli schieramenti del dopoguerra sono obsoleti, e forse morti. Non da ora. Non c’è il comunismo, fantasma europeo. Altri fantasmi, rivali o nemici, ci sarebbero: l’islamismo, l’espansionismo cinese, in Africa, in Europa orientale. Ma gli Stati Uniti solo hanno strategie per l’Europa. Contro l’Europa, di fatto.
Se si guarda alla carta geografica fuori dai vecchi schieramenti ideologici, è come se l’Europa fosse assediata dagli Stati Uniti. Da Sud, con le “primavere” arabe in Nord Africa. Da Est, con le guerre in Afghanistan, Iraq, Siria, tutte iniziate dagli Stati Uniti, direttamente o by proxy, con l’avventurismo di Netanyahu in Israele, col protagonismo incongruo di Erdogan in Turchia, contro Cipro, la Grecia, i curdi, nelle aree siriane presidiate dagli Usa, e ogni altro. Da Nord, con la divisione dell’Ucraina, e ora con la Brexit, usata come un  martello e un grimaldello, innesco di ogni tensione, specie con questo debole governo conservatore. Al suo interno, con le tariffe protezioniste diversificate.
Si dice che facciamo la guerra alla Siria contro l’uso dei gas. No, la facciamo per l’Arabia Saudita. Si dice: l’Arabia Saudita è la sicurezza delle forniture di petrolio. No, l’Arabia Saudita è uno Stato patrimoniale, della famiglia Seud, e cleptocratico, anche dopo le “riforme” degli attuali regnanti. La facciamo per disintegrare l’Europa.

Problemi di base bellicosi - 411

spock

Ma Trump non era nella manica dei russi?

La Cia non aveva comprato – caro – un dossier inglese che lo provava?

E quanto è giusta questa guerra che l’America vuole che facciamo alla Russia?

I media Usa ci credono o ci prendono in giro?

Credere a Boris Johnson e a Trump?

Non si capisce come mai Putin abbia pagato una puttana americana, “Stormy” Daniels, per ricattare Trump, se Trump ce lo aveva già al suo servizio (dossier inglese)?

Questo Trump che risponde a “Stormy” Daniels coi missili non sarà malato di satiriasi?

Gi Usa saranno puritani o si divertono a spese nostre?

spock@antiit.eu

Quante cose si vedono in una partita di calcio

Un rigore inventato, a tempo scaduto, dopo una serie di avvertimenti mafiosi (ammonizioni), sorvolando sulle simulazioni di Ronaldo and co., da un arbitro inglese, per il Real Madrid, di Florentino Perez, il maggiore immobiliarista dell’immobiliare Spagna, rifugio prediletto degli isolani della Regina, non fa notizia: è occorrenza corrente. È la quadratura del cerchio famosa.
Che il calcio internazionale sia corrotto non è una novità. Però fa impressione l’impunità di cui si gloria. In mondovisione.
Al Real Madrid vanno garantite le semifinali di Champions. Sono 100 milioni a semifinale, otto di seguito garantite sono 800 milioni, e così può pagare ingaggi stratosferici, e spendere cento milioni, sei anni fa, per una riserva. In Spagna, così, non si fa altro calcio, solo quello miliardario di Real Madrid e Barcellona.
Il calciatore dell’epica giornalistica è uno che irride gli avversari, ghigna come un rictus, si esibisce a torso nudo, depilato e lucidato, simula in continuazione, s’immortala per un gol su rovesciata che perfino Ciro Ferrara ha fatto, e si scatena per un gol regalato, invece di vergognarsi. Che Mario Sconcerti, storico del calcio, immortala così: “Il Real è una bellezza rinascimentale”. Questo è un altro aspetto, non del trojajo calcistico: si capisce che i giornali non si comprano – oppure si, si comprano?
Fa senso in tv alla fine del match il presidente della Juventus, un Agnelli, difendere l’arbitro che lo ha punito, ha punito la sua squadra. E a lui ha fatto perdere 100 milioni - cento. Designato e indirizzato da Collina, il famiglio di Galliani e Lotito, suoi nemici dichiarati. Gloriandosi del fair play. Non è per caso che la Fiat di questi Agnelli era fallita. Nemmeno il gesto di dare ugualmente ai suoi calciatori il premio partita.
Questo Agnelli argomentava in tv come Lotito. È tempo d’alluvione, in questo inverno prolungato, che tutti gli stronzi vengono a galla? Lotito perlomeno è laureato.

Il borghese Cicerone contro il populista Cesare

Il  secondo volume della trilogia ciceroniana, avviata con “Imperium” e conclusa con “Dictator”. Sui cinque anni dal consolato di Cicerone – “Lustrum” è il titolo originale. Di gestione degli affari ordinari della Repubblica romana, che il populista avventuroso Cesare insidia, con Pompeo. Per finire ritrovarlo già “stanco della fuga e della vita”, come già Plutarco ne aveva chiuso la “Vita”.
La narrazione è basata sempre sulla “biografia” di Cicerone a opera di Tirone, il suo segretario, opera scomparsa se mai esistette – e sulla “biografia” di Tirone stesso, un po’ documentata e un po’ presunta. Ma anche questo secondo volume del trittico, benché avvocatesco (Catilina, etc.) e poco avventuroso, si conferma di ottima divulgazione storica. Che oggi, nell’improvviso silenzio della Storia, scorre come rivelazione.
Oggi come ai primi tempi dell’impero, successivi all’assassinio di Cicerone? Harris quasi lo presente, in questo più che negli altri due volumi. Cicerone, homo novus, fuori dal patriziato, per di più provinciale, è il borghese moderno: ragionativo, produttivo, in lotta contro i demagoghi, i ricchi e potenti che agitano le masse. I populisti. Cesare, suo alleato-nemico, è il populista per eccellenza, anche perché abile tattico, oltre che spregiudicato. È il primo tratto di questo “Lustrum-Conspirata”, e memorabile, in poche righe. Di Cesare si espone e spiega il dato più evidente, e trascurato: il tribuno a votazione tirannica che si serve, contro le istituzioni, del popolo.bestia. In una città di cui fomenta la divisione “fra patrizi e populisti”. “Grazie a Cesare”, fa dire persuasivamente a Lucullo, che era un generale, non va dimenticato, “una guerra cvile un giorno o l’altro ci sarà comunque”. Uno che si fa eleggere Pontefice Massimo a soli trentasei anni, pagando il voto delle tribù venti milioni, non suoi, probabilmente di Crasso, è la verità vera di Cesare. Che poi sposerà la figlia tredicenne al cinquantenne Pompeo, altro uomo forte.
È la scoperta più avvincente di Harris: aver scritto dieci anni fa una trilogia sul populismo. Non da indovino, da scienziato politico, con una spessa capacità critica – di certo superiore, molto, alla cautela (opportunismo? trasformismo?) degli studiosi di professione oggi. Dare le terre ai poveri, come Cesare e i suoi propongono, perché no. Ma, può obiettare Cicerone, “quello che vogliono è il cibo, non le fattorie”. Quanto a lui, un opportunista, abile. La Repubblica si dissolveva per consunzione.
La scrittura è scorrevole ma di spessore, Harris non rinuncia a farsi sentire come autore. Fino a emulare il gusto sapienziale latino – “La misericordia più grande che ci ha concesso la provvidenza divina è la nostra ignoranza del futuro”, e altrettali.

Robert Harris, Conspirata, Oscar, pp. 442 € 12,50

mercoledì 11 aprile 2018

Letture - 341

letterautore

Alfieri  “Il tetro Alfieri” lo dice Stendhal immortalandolo al secondo capitolo di “Armance” Octave, il giovane protagonista, ha una notte decisiva: ha lasciato disgustato il salotto dove socializza, tornando a casa a piedi per lo sdegno, sotto una pioggia fredda, ha rischiato la morte sotto una carrozza al galoppo, a casa ha chiesto di vedere la madre amata, che però dorme, e “solo con se stesso, tutto gli divenne insopportabile, perfino il tetro Alfieri di cui provò a leggere una tragedia”. Dunque, Alfieri era di lettura corrente, a Parigi, nel rimo Ottocento..
Poi Octave riprova a svagare la mente leggendo “al piano un atto intero del «Don Giovanni», e i cupi accordi di Mozart restituirono la pace al suo animo”. Mozart come Alfieri?

Fruttero, ancora recentemente (“Mutandine di chiffon”) ne elogia molto la “Vita”. Come “un romanzo d’azione e d’avventura” unico nella “tradizione” italiana, con “sense of humour, ingenuità, generosità, simpatia e beninteso il genio del personaggio”. E lo ribadisce nel postumo  “Da una notte all’altra”: “Forse l’unico romanzo d’avventure pubblicato in Italia”.

Cicerone – Un borghese lo vuole Fruttero: “Non era nato in una delle duecento famiglie che governavano Roma, era un borghese. Collezionava  libri, sculture, quadri, insomma era un borghese, il primo della Storia, in un certo senso”. Lo spiega nella sua storia letteraria in pillole uscita postuma sotto il titolo  “Da una notte all’altra” nel 2015. In singolare coincidenza con la trilogia che il romanziere inglese Robert Harris ha dedicato allo stesso Cicerone, homo novus, provinciale, tra gli ottimati romani.

Classico – “Confrontarsi con i grandi per essere grandi”, così Giono condensa lo “spirito del Rinascimento”, che i classici ha inventato.

Kipling – Anche Sciascia ha liquidatorio le “gloriose fanfare imperiali del Kipling” – che apparenta a Edgar Wallace…. Pur avendo letto Emilio Cecchi, di Kipling onesto affascinato esegeta. Forse il grande autore meno letto, ora che anche i boy-scout sono in declino..

Machiavelli – “Tradottissimo il «Principe»”, trova Spadolini a Tokyo nel 1990.

È stato molto commentato, se non letto, in Russia nell’Ottocento. Benché introdotto dalla rappresentazione malevola del Possevino nel Seicento, nell’ambito della secolare polemica dei gesuiti contro Machiavelli.

È matematico. Jean Giono gli si è appassionato, nel corso un soggiorno a Firenze e ne ha scritto lungamente: “La generosità non esiste. Calcolo, punto e basta”. E poi: “Se si chiede a un uomo di Stato moderno «Cos’è il machiavellismo?», risponderà: «il machiavellismo è rivoltante» (come un oggetto è contundente, e le sevizie gravi). Rivoltante, ossia riflesso della natura umana. Allora anche la matematica è rivoltante. A volte si vorrebbe che 2 e 2 facessero cinque o tre, ma 2 e 2 fanno 4”. O anche: “Impassibilità in presenza di crimine e vizio? Impassibilità del matematico dinnanzi a 2 più 2 che fanno 4” .

Monomotapa – L’edizione di Giono, “Note su Machiavelli”, che lo cita, lo dice un “reame immaginario” della favola “I due amici” di La Fontaine. Mentre è un reame esotico ma ben reale che La Fontaine cita alla prima riga, il regno dell’ Africa meridionale che durò dodici secoli, dal 400 al 1629.

Moravia – Montefoschi ricorda Moravia sul “Corriere della sera-Roma” nei suoi ultimi giorni. Allegrissimo, pochi giorni prima della morte, malandato e “di pessimo umore” due giorni prima. “Aveva avuto come un rombo dentro l’orecchio per l’intero pomeriggio”, un “insulto” (morirà di emorragia cerebrale), e “non aveva notizie della moglie da una settimana”, Carmen Llera. Per i diritti la moglie ci sarà.

Pinocchio – Un’opera di fantasy, dove a ogni incrocio si prende la direzione sbagliata. Cioè, una che porta al punto giusto per un percorso sbagliato.

Sciascia – Uno spirito religioso? Nella silloge postuma di scritti sul giallo, “Il metodo di Maigret”, è una dimensione che emerge in più punti. Partendo dall’ipotesi Del Buono-Vittorini-del Monte che il giallo s’impianti nella Bibbia.

Te Deum – È la preghiera più musicata, la preghiera del ringraziamento. Probabilmente più dell’“Ave Maria”, e del “Requiem” – che tuttavia annovera anch’esso una ventina di composizioni di musicisti di nome. Di spiriti religiosi, e non - Verdi, per esempio, Berlioz. Come compositori di “Te Deum” Wikipedia ricorda Palestrina, de Victoria, Domenico Cimarosa, Purcell, Händel, Bruckner, Berlioz (per l’Esposizione Universale di Parigi, 1855, n.d.r.), Giovan Battista Lulli, Mendelssohn, Mozart, Haydn, Verdi, Galassi, Pärt e Reger. A cui vanno aggiunti almeno Dvořak e Kodàly – quest’ultimo nel 1936, per i 250 anni dela liberazione di Buda dalla dominazione turca. Ma anche Puccini, nella “Tosca”, fa cantare un “Te Deum”. Mentre il sito Bach Cantats ne elenca molti altri, basati sul “Te Deum tedesco” di Lutero, la traduzione in lingua tedesca del “Te Deum” latino, recepito come “Inno Ambrosiano”, che i santi Ambrogio e Agostino avrebbero cantato a Milano per il battesimo di quest’ultimo (“Das deutsche Tedeum”, o “Der Ambrosianische Lobgesang”) – ma la datazione più recente è di un secolo posteriore, e non ambrosiana ma siriaca. Musicato da Praetorius, Scheidt, Buxtehude, J.S.Bach, C.P.E. Bach.
Carl Heinrich Graun e Johann Christian Bach ne composero uno sul testo della tradizione italiana, in latino: Graun un “Te Deum” in grande stile per il re di Prussia Federico II a Berlino, J.C.Bach, “Giovannino”, uno a Milano nel 1759, e uno a Londra tre anni più tardi. Michael Haydn ne comporrà sei, Joseph Haydn due.
C’è anche un tradizione inglese, basata sul testo “italianate” (latino), cioè sulla tradizione della chiesa cattolica: oltre a Purcell, 1694, per la festa di santa Cecilia, vi si sono cimentati Haendel, Sullivan, Parry, Stanford, Walton.

leterautore@antiit.eu

Con spirito giocondo verso la morte

“Chi non l’ha letto”, Tucidide, “non può capire niente di ciò che legge ogni mattina sul suo giornale”. Per esempio Trump? O l’America che lo ha eletto e ce lo butta tra i piedi? O è per questo che non si leggono più giornali, che non si legge più Tucidide, altro Carneade. Tutte amabili, tutte verità. Senza saccenza..
“Passeggiate tra i libri in attesa dell’alba” è il sottotitolo. In realtà in attesa della morte. Ma senza rassegnazione, che pure, dice Fruttero, è “virtù necessaria”, né lamenti: un libro conversazione, giudiziosa e gradevole, come sempre  Stimolante. Di brevi note su autori e opere di elezione: i “cento libri preferiti”, un’idea di Fazio per una tv notturna in pillole, da dire in pillole scherzosamente. L’ultimo esercizio d’inteligenza ilare, divertita e divertente.
L’idea non si poté realizzare. La riprese dopo qualche anno la figlia di Fruttero, Maria Carla. Come uno stimolo alla voglia di vivere, un antidote alla malinconia. Trascrivendone paziente gli esercizi orali di memoria. Le prime cinquanta schede sono state inghiottite senza ritorno dalla memoria del computer di Maaria Carla. Che tuttavia, malgardo la grande delusione, riuscì a far riprendere al padre l’esercizio. L’esito sono una trentina di schede, sulle settanta che Fruttero aveva individuato in un elenco preliminare – qui in appendice. Con un backstage (postfazione) sull’origine e lo svolgimento della piccolo avventura. E una introduzione di Ernesto Fererro, che tratteggia vita e umori della F di F&L, un ritratto in punta di penna.
Madame de Staël, troneggia ”figlia di banhieri, ricca, potente, ambiziosissima e autrice di molti romanzi oggi illegibili”, questo il tenore, di bellezza non si parla, o di fascino, e tiranneggia l’innamorato Constant, fino a ispiragli “la celebre definizione di quelo che può essere e spesso è l’amore”: “Mi faceva sentire sempre necessario, mai sufficiente”. Madame Bovary, lettrice di romani insoddisfatta, è cavia delle “virtualità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione”. Shakespare è indimenticabile in ogni aspetto, in poche righe. Cicerone primo borghese dela storia. Salgari amiamo per le donne, per una certa idea di donna:  una fanciulla è in pericolo, un giovane la salverà, eroico. Con un trattatello di storia della letteratura in tre righe: “Perché bisogna averlo letto?”, aver letto Salgari. “Perché di lì (in realtà dal 1200) l’atteggiamento maschile verso le donne si forma defnitivamente, anche a nostra insaputa”. Ma ogni scheda ha il suo richiamo.
Con qualche sbadataggine redazionale. Il “romanzo (a) chiave”. “Nell’isola di Saffo” invece che “nell’isola di Lesbo”.
Carlo Fruttero, Da una notte all’altra, Oscar, pp. 132 € 11

martedì 10 aprile 2018

Il mondo com'è (339)

astolfo

Fascismo – La “collera degli imbecilli” lo dice Sciascia, a proposito di Mickey Spillane, lo scrittore di gialli.

Giappone – Ha al governo stabilmente un partito Liberale che invece è conservatore. L’opposto del liberal Usa.

“La mattina del 25 giugno ’43, a Gran Consiglio concluso, Mussolini riceveva a palazzo Venezia l’ambasciatore del Giappone e adombrava lo schema della pace separata con l’Unione Sovietica cui da tempo stava guardando” – G. Spadolini, “La Stampa, 7 dicembre 1990.

Ivan Ilyin – La stampa americana resuscita, sulla traccia aperta dallo storico di Yale Timothy Snyder, un filosofo russo degli anni 1920-1950, Ivan Ilyin, antisovietico, espulso da Lenin in Germania nel 1922, come teorico del fascismo. E lo dice mentore segreto di Putin.
Le citazioni e la presentazione che Snyder ne dà nell’ultimo saggio sulla “New York Review of Books” il 5 aprile, è di tutt’altro tenore: “Il fatto della questione è che il fascismo è un eccesso salvifico dell’abitrarietà patriottica” (I.I, 1927), “La mia preghiera è come una spada. E la mia spada è come una preghiera” (I.I.. 1927), “La politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico” (I.I., 1948). Il saggio si apre con questa sintesi di Ilyin: “Il russo guardò Satana negli occhi, mise Dio sul divano dello psicoanalista, e capì che il suo Paese poteva redimere il mondo. Un Dio angosciato raccontò al russo una storia di fallimento. All’inizio era il Verbo, purezza e perfezione, e il Verbo era Dio. Ma poi Dio fece un errore di gioventù. Creò il mondo per completare se stesso, e invece si rese impuro, e si nascose per la vergogna. Di Dio, non di Adamo, fu il peccato originale, la liberazione dell’imperfezione. Una volta nel mondo, le persone appresero cose e sperimentarono sentimenti che non poterono ricondursi a quella che era stata la mente di Dio. Ogni pensiero o passione individuale irrobustì la presa di Satana sul mondo”.
Ma Snyder è apodittico già dal titolo: “Ivan Ilyin, Putin’s Philosopher of Russian Fascism”, anche se gioca sull’ambiguità, se è il filosofo fascista di suo, o se è il filosofo prediletto del fascismo russo di Putin.  ….

Monaco – L’illusione della pace era stata forte alla conferenza di Monaco a fine settembre di ottant’anni fa, e di spessore. Retrospettivamente giudicato un inganno, l’accordo di Monaco fece vivere giornate di passione intensa e fiduciosa nella pace, a Londra, a Parigi, a New York, e all’interno della Germania, nelle città e nelle campagne. Dove la mobilitazione già si scontava rassegnati. Lunedì 26 settembre allo Sportspalast di Berlino Hitler lancia un ultimatum sui Sudeti, l’area ceca abitata da tedeschi, o Praga: “A questo punto il mondo intero non dovrebbe avere più alcun dubbio che non è un solo uomo, o un solo leader, a parlare per l’intero popolo tedesco. So che in quest’ora tutto il popolo – milioni di persone -  approva ogni mia singola parola”. I tedeschi erano perciò preoccupati.
Lo scrittore svedese Stig Dagerman, che nel 1946 a ventisei anni era in Germania per il reportage poi intitolato “Autunno tedesco”, assiste al comizio elettorale, nel Königsplatz, il luogo della conferenza affrettata del 1938, “un deserto costruito dagli architetti del nazismo che più di ogni altra cosa  rivela la mancanza di stile, la desolazione e il sadismo architettonico dell’ideale nazista”, del “dottor Kurt Schumacher, il capo dei socialdemocratici”. Bravo oratore, persona rispettabile, il cui successo in piazza porta però Dagerman a riflettere che: 1) “È a suo modo la viva dimostrazione della tesi che la tragedia del politico tedesco è di parlare troppo bene”, e 2) “È una dolce ma rischiosa illusione quando la socialdemocrazia tedesca presenta i propri successi elettorali come una prova del radicamento delle convinzioni democratiche nel popolo”.
Il luogo della conferenza, il Königsplatz, è una vastissima piazza quadrangolare, che il re di Baviera Luigi I a metà Ottocento aveva voluto attorniata da grande edifici classici. Era un prato, che Hitler aveva voluto pavimentato per maggiore monumentalità, con lastre di granito, diecimila, e i palazzi restaurati o ricostruiti con festoni di croci uncinate rosso brume, i colori nazisti, alti diecine di metri. Nonché arricchiti, all’ingresso della piazza da Karolinenplatz e la Brienner Strasse, di due enormi palazzi squadrati di stile nazista, il Führerbau, la sua residenza ufficiale, dove si tenne la conferenza (ora sede del Dams di Monaco, la facoltà universitaria di musica e spettacolo), e gli uffici del partito Nazista. Edifici in grigio e nero, quadrati, spigolosi. Nonché da due tempietti su colonne di arenaria gialla, ognuno contenente otto sarcofaghi in bronzo in cui erano sepolti, come martiri, le vittime del putsch fallito da Hitler a Monaco nel 1921. Anche le colonne dei tempietti votivi erano squadrate. Dal lato opposto la piazza è chiusa dai Propilei, luogo privilegiato da Hitler per i suoi comizi. Gli alberi residui fungevano da grandi pennoni da cui svastiche furono appese per la conferenza, alte fino a quaranta metri.
La piazza fu sempre affollatissima di masse plaudenti a ogni spiraglio di pace nelle poche ore della conferenza, specie quando si mostrava o si credeva di vedere Chamberlain, dietro le finestre del Führerbau. Il “New York Times” riferiva il 30 settembre: “Si sono udite vere grida di esortazione come quelle che si sentono in uno stadio di football americano ogni volta che, con la sua figura esile vestita di nero, il suo incedere cauto e il suo sorriso, Chambrelain si mostrava alla folla”.

Chamberlain si può dire nome infausto nei rapporti tra l’Inghilterra e la Germania. Prima di Neville Chamberlain, il primo ministro di Monaco, un John Houston Chamberlain aveva predicato il razzismo in Germania, con grande popolarità, soggetto di lodi sperticate di Thomas Mann ancora nel 1917-1918, nelle “Considerazioni di un impolitico”, premiato con Eva Wagner in sposa quarantenne, non potendo per la faccia del mondo impalmare Cosima, la madre settantenne sua emula in “arianesimo” – nata Cosima Francesca Gaetana a Bellagio, la vigilia di Natale, di N.N (Liszt).    
Ha un Chamberlain anche Chesterston, in “Eretici”, di cui non dà il nome ma che con tutta evidenza è Joseph, il padre di Neville, ministro delle colonie e uomo d’affari,  due professionalità che coniugò proponendo un colonialismo o imperialismo economico prima e più che militare. Principale responsabile della guerra anglo-boera, e del mancato riconoscimento dell’irredentismo irlandese. A fine Ottocento perorò anche un’alleanza della Gran Bretagna con la Germania. Nella polemica che conduceva contro G. Shaw ai primi del Novecento (la raccolta di saggi “Eretici” è del 1905), Chesterston ne fa il campione degli “incompresi”. Il simbolo di una vittoria o una fama conquistata sempre senza merito, o per il merito sbagliato. Uno storyteller si direbbe oggi: “Gli amici lo dipingono come un uomo d’azione energico, gli avversari come un uomo d’affari brutale, mentre non è né l’uno né l’altro,è solo una oratore romantico, un ammirevole attore romantico”. Uno che fa credere quello che non è – “lo scopo dell’oratore è di convincerci che non è un oratore”. Quindi può dire banalità, e farsi riconoscere grandi ideali, ammassare sconfitte e farsi passare per il vincitore di mille battaglie: “Un certo pathos celtico lo circonda; come i Gaelici di cui parla Matthew Arnold, «andava alla battaglia, ma era sempre battuto». È una montagna di progetti, una montagna di fallimenti, ma pur sempre una montagna”.

Valentino Parlato - Un anno fa fra pochi giorni, il 2 maggio, moriva a Roma a 86 anni Valentino Parlato. Intellettuale e giornalista acuto e onesto. Pur in un gruppo ideologizzato. Le “crisi dell’imperialismo”, nel 1973 e nel 1978, gestì con fatica, un onere da pagare all’ideologia. Per il resto sempre attento ai fatti. Divertito dal credito attribuito a Khomeini, alla carica innovativa, quasi protestante, dell’islam sciita, lui che era nato e cresciuto in Libia. Stranito dal ritrovare Mario Sarcinelli, il direttore generale della Banca d’Italia che Andreotti aveva fatto arrestare dal giudice Alibrandi il 24 marzo 1979, al seguito dello stesso Andreotti alla Fiera del Mediterraneo a Bari in autunno (la ricostruzione successiva di Orazio Carabini, addetto stampa di Sarcinelli in una sua breve esperienza di ministro, che scagionerebbe Andreotti
in realtà la conferma: è Andreotti che decide la scarcerazione, con l’interdizione dai pubblici uffici). Incuriosito – immalinconito – dal conto svizzero Rodetta, dove confluivano sfioramenti e tangenti Eni e Finsider per acquisti e forniture in Unione Sovietica, in quota finanziamenti al Pci. Il solo che con noi prese posizione contro la vergognosa cessione nel 1985 del colosso alimentare Sme da parte di Prodi, presidente dell’Iri, a Carlo De Benedetti, cinquemila miliardi di fatturato, per niente, anzi con un prestito gratuito di trenta  miliardi da parte dell’Iri (l’onesto Bruno Rota, allora addetto stampa di Prodi, perplesso, ha pagato con una lunga eclisse manageriale, iniziata con l’immediato accantonamento all’Alfa Romeo, azienda da rottamare).

astolfo@antiit.eu

La Nato del cinema – o quando le ragazze parlavano coi ragazzi

Un film parlato. Costruito sulle immagini, assicura il regista, sulle quali poi nel montaggio ha costruito i dialoghi, ma sono tre ore d’interminabile loquela. Di temi heideggeriani, o volgarmente di letto, e retroterra scandinavi, “Peer Gynt”, Ibsen. Chiacchiere a valanga del protagonista, Paul, un instacabile Mathieu Amalric, migliaia di pose. E dei suoi amici. Soprattutto delle sue amiche. Che vediamo  dal punto di vista di lui, ma tutte per qualche aspetto di lui dominatrici. Della sua volubilità, di adulto ragazzo, cresciuto per motivi che non sappiamo nemico della madre.
Regista da festival, non distribuito in Italia, Desplechins rifaceva nel 1996 Woody Allen,  “Manhattan”, di quindici anni prima, film di culto. Così presenta questa “Vie sexuelle”. Woody Allen che a sua volta rifaceva Bergman – di fatto Antonioni. Si potrebbe dire il Circolo del Film d’Autore – o della Nato del cinema, un circolo transantlantico. Un po’ pesante, cioè: con l’handicap dell’avanguardia, la ricerca di nuove modalità espressive, senza più la gratificazione di identificarsi in una élite, per quanto faticosa.
Come Allen con “Manhattan” (Diane Keaton, Meryl Streep, Mariel Hemingway, Karen Ludwig, Anne Byrne Hoffman, Michael Murphy), Desplechins ha però il merito retrospettivo di aver fatto debuttare o valorizzato gran numero di giovani promesse: Emmanuelle Decos, Chiara Mastroianni, Jeanne Balibar, Marion Cotillard, e Amalric. Soprattutto, si gode come un reperto, di tempo immemorabile, anche se recente.
Curioso è infatti l’effetto donna, in questa visione posposta di ventidue anni: oggi non solo non sarebbero possibili ma neanche immaginabili personaggi femminili e relazioni ragazzi-ragazzze come allora. Quando peraltro la liberazione era un fatto compiuto da almeno una generazione. Tre ore di dialoghi maschi-femmine sono impensabili, anche tre minuti a quella intensità. I temi, e anche lo stile, sono da “Relazioni pericolose”, Settecento: ancora vent’anni fa quindi moneta corrente, oggi archeologia - 1996 è pur sempre un altro millennio.

Arnaud Desplechin, Comment je me suis disputé… ma vie sexuelle, Rendez-Vous, settimana del Nuovo Cinema Francese


lunedì 9 aprile 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (359)

Giuseppe Leuzzi

Il quinto Stato dell’Europa s’impoverisce
“Il territorio sotto Roma”, scopre Fubini sul “Corriere della sera”, da solo formerebbe il quinto Stato più grande dell’area euro”, venti milioni di cittadini.
Fubini constata poi  che l’euromania ha fatto male e malissismo al Sud. Con una serie impressionante di dati, ben più corposi di quelli noti
“Gli anni dell’euro al Sud hanno coinciso con una catastrofe economica con pochi paragoni nella storia europea. Dall’inizio del secolo il Meridione è rimasto indietro rapidamente: in termini di reddito lordo, ha perso un terzo sulla media dell’Unione europea, il 30% sulla Germania, il 27% sull’area euro e circa il 40% sulla Spagna; l’arretramento sul centro-nord dell’Italia è stato di oltre dieci punti, persino sulla Grecia di cinque”. Con metà della popolazione a rischio povertà. Due milioni di emigrati in venti anni. E un investimento immobiliare azzerato.
Sull’investimento immobiliare Fubini sbaglia. Non è azzerato, è a debito: restano i muti da pagare alle banche, più spesso doppi.
Dopo Reichlin e Drago, questo di Fubini
è l’unico commento ragionato sul voto del Sud. Altrove silenzio totale, compresi i media meridionali.

Il Misasi-Sismi di Moro
Nelle evocazioni dell’assassinio di Moro, per i quarant’anni, è scomparsa la ‘ndrangheta. Che c’era in molte ricostruzioni.
A opera di giornalisti calabresi? Una no, era di Benito Cazora, un deputato siciliano, Dc, che l’aveva evocata in corte d’Assise a Perugia al processo per l’assassinio di Pecorelli: “La mala calabrese mi indicò il covo br di Moro”, sostenne Cazora. Nella persona di un “Rocco”, il quale gli aveva spiegato: “I calabresi a Roma sono 400 mila, e possono controllare il territorio”. Un’armata calabrese, perché no: fu sanfedista a Napoli, può ben essere ‘ndranghetista a Roma, è facile.
Il Rocco di Cazora, Rocco Varone, voleva solo il trasferimento a Rebibbia del fratello Francesco, condannato all’Asinara. L’onorevole Cazora si adoperò con Sereno Freato, il segretario di Moro, per fargli avere il trasferimento. Dopodiché, chiamato a Perugia, il carcerato disse che non sapeva niente di Moro.
Di calabrese viene trascurata nel lutto per Moro la più importante delle lettere dal carcere brigatista:  quella che il 29 aprile Moro indirizzò a Misasi, come colui che avrebbe potuto “risolvere” la questione. L’onorevole Riccardo Misasi, già ministro del Commercio Estero e poi della Pubblica Istruzione, era allora figura di secondo piano nella Dc – emergerà come segretario amministrativo di De Mita, uomo cioè di speciale fiducia del segretario Dc. Era però crittogramma abbastanza evidente di Sismi. 

L’assistenzialismo alimenta il sottosviluppo
Pier Luigi Ballini mostra in “Debito pubblico e politica estera all’inizio del ‘900” come il consolidamento del debito pubblico nel 1906, un “risparmio” di una diecina di miliardi di euro, annui, ai valori di oggi, fu sperperato nelle spese di grandezza. Spese militari per lo più e coloniali. Senza alcun corrispettivo – il colonialismo italiano è sempre stato in perdita, nel conto del dare e avere, e non lieve.
Lo stesso si potrebbe probabilmente dimostrare dell’assistenzialismo. Di cui, bisogna riconoscere, la Repubblica non ha mani difettato - neanche in questi decenni leghisti. Della crescita del debito per aiuti allo sviluppo interno come relazione improduttiva e anzi perversa. Che accresce il debito. Indebolisce e anzi frantuma lo Stato. E non allevia la povertà, sociale e regionale, né le condizioni della povertà (abitudini, vezzi, usi: mentalità), che anzi aggrava. Si spiegherebbe il fallimento delle politiche meridionalistiche, che pure ci sono state.
L’analogia non è diretta. Allora si risanò il debito, anche se solo provvisoriamente. A un costo per i risparmiatori. Per destinare il ricavato a spese improduttive. Oggi invece il debito aumenta, a un costo per tutti gli italiani, con effetti di spesa negativi (solo una parte dell’assistenzialismo va a spese sociali ineliminabili:  l’aiuto al bisogno, la spesa sanitaria, le pensioni sociali). Tre dat negativi oggi, contro due allora. Ma l’effetto perverso tra indebitamento e spreco si può dire analogo. Il Sud per primo dovrebbe risentirsene – sviluppo sì, assistenza no.  

L’antimafia è atto di fede
La “Gazzetta del Sud” vanta “le spettacolari immagini dell’arresto del boss Giuseppe Pelle”. “Il Fato quotidiano” ha il video dell’arresto. La notizia è la prima, drammatica, nei notiziari radio e tv del mattino e della giornata. L’arresto è di un ricercato che stava in una casa sua, perfino rifinita – in zona impervia dice il video, ma l’Aspromonte è impervio. E attendeva l’arresto. Era latitante dai domiciliari, dove scontava una pena di due anni e mezzo.
Dobbiamo credere. Ma i Carabinieri – la Polizia in questo caso – non dovrebbero fare teatro, scoraggiano.  

“Quale investigatore sceglierebbe per risolvere i tanti casi insoluti dell’Italia di oggi?” Alla domanda di “Panorama”, 25 giugno 1984, al Mystfest di Cattolica in un finto processo ad A. Christie, “Gli AntiChristie”, Sciascia risponde risoluto: “Senza dubbio un maresciallo dei carabinieri, perché lui conosce bene le cose, i luoghi, le persone”. Il maresciallo della sua infanzia. Anche della sua giovinezza: negli anni 1950 il maresciallo sapeva tutto. Poi non più.
Oggi i Carabinieri vivono reclusi dietro inferriate e sistemi di sorveglianza e allarme, bene isolati.
Fanno il controllo del territorio nel senso che fanno le multe, stradali.
Non si può dire che il problema del Sud siano i Carabinieri. Ma lo sono.

Il complesso del Nord
Il giovane Sciascia nel 1954, orripilato dall’anticomunismo di Mike Hammer, il detective di Mike Spillane, 13 milioni di copie negli Usa, “male che combatte un altro male”, trova che “si traduce nei termini politici di casa nostra in quel male minore di cui discorre il nostro sedicente uomo d’ordine  quando giudica le destre in confronto alle sinistre; dichiarandosi insomma per quel male minore che  è il fascismo”.
Trent’anni dopo probabilmente non lo avrebbe scritto – meno che mai oggi, sessantacinque anni dopo. Hammer è Hammer, con tutto Spillane. Il fascismo è il fascismo. La domanda d’ordine è domanda d’ordine, non sedicente.
Nei “termini politici di casa nostra” si sottintende dell’Italia. Ma Sciascia è ben siciliano - già allora, quando la differenza non si faceva. Il suo uomo d’ordine parafascista del 1954 è meridionale, la filigrana è ben evidente. C’è molta fuga in avanti nella riflessione del Sud sul Sud. Verso un magistero, o politicamente corretto, italiano, che già allora era nordico. Per il complesso di non essere il Nord.

Milano
Non si fanno processi per droga a Milano, la città che ne consuma di più – molto di più. Né per corruzione, la città che è più corrotta – molto di più. Solo si f ano processi all’Eni, perché paga le mazzette agli africani. E a Berlusconi, per le squillo. Due corpi estranei, la città si assolve.
A opera di giudici siculo-partenopei, finezza.

Non c’è delinquenza a Milano. Sono ‘ndranghetisti, per lo più semianalfabeti, che patteggiano i voti della famiglia allargata – cognati, compagni, cugini in terzo e quarto grado, figliocci e padrini – in cambio di qualche subappalto, minuscolo.

“Sereni” di questa pax ambrosiana sono giudici e gendarmi siculo-partenopei, che si ritengono molto furbi. Che Milano premia citandoli con ammirazione, ma sempre in punta di bastone – Milano l’è un gran Milàn.
Sereno è – era – a Madrid l’uomo che deteneva le chiave delle case, un capo caseggiato rassicurante.

Anche i processi sono inverecondi a Milano. Si condanna e si assolve per pregiudizio. Scopertamente. Per il convincimento personale dei giudici, certo, ma chiaramente per i loro pregiudizi: politici, religiosi, e perfino sociali, di casta. L’elenco sarebbe interminabile, se purtroppo si seguono le cronache.
Chiaramente perché il più delle volte dichiarati. Contro ogni fondamento giuridico, ma senza colpa e anzi con merito. Milano usa i processi come riti purificatori, con capri espiatori.

Si fa chiamare “Hymnus Ambrosianus” il “Te Deum” della liturgia cattolica, l’inno del ringraziamento, 29 versetti di vigorosa prosa ritmica, sul presupposto che sarebbe stato cantato per la prima volta da san’Ambrogio e sant’Agostino insieme a Milano per il battesimo di quest’ultimo. Mentre l’inno, di datazione incerta, è probabile opera di un vescovo Niceta, della remota Dacia, di un secolo più tardi. L’appropriazione indebita è connaturata alla città.

Fa un po’ pena il Milan in mano a cinesi squattrinati, che hanno acquistato il club come un marchio semifallito, da spremere. Un club tenuto su da due calabresi cocciuti. Senza che un solo milanese dica “mi dispiace”, non dicendo per micragna “ci penso io”. Neanche di fronte allo squallido derby.

La Lega, Mani Pulite, Berlusconi, Casaleggio-5 Stelle: tutto il nuovo che in quart’anni ha distrutto il quinto paese più ricco del mondo viene da Milano. La “capitale morale” d’Italia – così dichiarata da dichiarati libertini, quale è Scalfari. E sa di golpazo: gli affari non vogliono la politica.


Si può dire Milano la città dell’odio. Il segno è naturalmente la Lega. Con la sua appendice 5 Stelle, che è cresciuta quando la Lega sembrava addomesticata. Con i Casaleggio e i media compiacenti milanesi. Il populismo che oggi ci domina. Con i giornaloni milanesi, anche sportivi, anche confindustriali, e le case editrici, a demonizzare per anni la politica, in ogni ordine, e le istituzioni – la “casta”. Polemiche che non si possono pensare errori: questo è il cuore di Milano, tutto è merda, solo l’arricchimento no. 

leuzzi@antiit.eu