astolfo
Cooperazione –
L’Italia se n’è dotata nel 1983. Col governo Colombo, di centro-sinistra. Che patrocinò
una proposta dei Radicali di Pannella, istituendo
un fondo di un migliaio di miliardi (di lire) l’anno per aiuti allo sviluppo.
Era qualche anno dopo la Decade dello Sviluppo decretata dall’Onu, in sostanza
degli aiuti internazionali allo sviluppo.
L’Italia
vi si avviò dopo questo prima legge con costanza. Dapprima con gli obiettori di
coscienza al servizio militare obbligatorio, volontari nei paesi in via di
sviluppo. Poi con il terzo settore, della organizzazioni non profit del lavoro e dell’impresa. La prima
legge di regolamentazione delle ong è del 1987.
Oggi le
spese per la cooperazione allo sviluppo ammontano a circa dodici miliardi, di cui cinque per i migranti. Non
se ne fa più un rilevamento specifico, né contabile né statistico, molte spese rientrando in capitoli complessi, di varia destinazione, soprattutto quelle dei Comuni e altri enti territoriali. Il loro ammontare è presunto, ma
con buona base probabilistica.
Complessivamente,
le organizzazioni umanitarie che operano fuori dell’Italia sono poco meno di un
migliaio. Impegnate in poco più di duemila progetti in cento paesi, in Africa prevalentemente e Sud America. Su fondi
italiani, con copertura ora più spesso europea. Sono organizzazioni non profit,
ma con impianto economicistico. Occupano stabilmente 20 mila persone, più 81
mila su base volontaria (consulenza, part time, occasionale.), e a titolo gratuito-remunerato
(fondo spese, gettoni, consulenze). In forte crescita ultimamente; dal 2014 ha
incrementato del 31 per cento gli occupati.
I
criteri di gestione, e anche i rapporti fra le società di cooperazione, sono
improntati alla contabilità
economicistica. Le ong sanitarie, per esempio Emergency o Croce Rossa,
pagano per poter fornire assistenza ai migranti sulle navi delle Ong di pronto
soccorso, rifacendosi di questo costo con i rimborsi per ogni migrante
assistito a titolo dela cooperazione. Le ong di pronto soccorso a loro volta si
avvalgono di un rimborso pro capite per ogni migrante imbarcato, e delle royalties che impongono a ogni altra
attività di servizio sulle loro imbarcazioni (Emergency o Croce Rossa).
La
cooperazione internazionale, ai migranti o ai paesi poveri, è una parte del più
ampio terzo settore. Molto più ampio, coprendo in outsourcing tutte le attività sociali pubbliche, dall’assistenza ai
poveri (alimentazione, abitazione, abbigliamento, medicinali, cure mediche), ai minorati,
ai tossicomani, all’Aids, alla terza età.
Germania – C’è
stato a lungo dominante – c’è tuttora sotto traccia – un’ideologia della “libertà
tedesca”. Come qualcosa di superiore naturalmente – la Germania è sempre in
gara. Ma non è forte
il senso della libertà nelle tribù e le selve, basti ricordare che la guerra di
liberazione fu per la Germania condotta dall’Austria, contro anche l’inerte
Prussia: fallita nel 1809 a Wagram, riprese vittoriosa nel 1813- dopo che
Napoleone, come poi Hitler, era stato sderenato dalla Russia (nel ‘42 l’Austria
non c’era più).
Hitler - Nulla di terribile in
Hitler, a parte la ragionevolezza. Un unicum certo. Ma non sono i tedeschi tedeschi? Lo
sono, e hanno tutto il diritto di esserlo. Solo che un clone di Hitler non
figurerebbe nemmeno in birreria, era
astemio.
Matteotti – Ha il
più gran numero di vie, piazze, scuole intestate al suo nome, secondo l’archivio
di Pagine Bianche. Il secondo intestatario più ricorrente è Garibaldi.
Matrinonio-
È stato all’origine monogamico, di più, tribale
e quasi familiare. Ci fu un tempo, che Frazer ha esplorato in quattro volumi,
in cui l’uomo sposava solo donne della sua tribù. Per non dire dei faraoni, che
sposavano le sorelle. Una
volta il coniugio era necessariamente incesto, ancora Zeus genera Persefone con
la madre Rea, e con la figlia Persefone genera Dioniso.
L’origine
del matrimonio, è evidente, è conservativa: del patrimonio, i figli, le energie
vitali.
Tribù -
Pensare
alla chiesa, una qualsiasi chiesa, che vuole uno sterminio, ne gode, o sta a
guardare, è da folli. Ma non per la tribù, che tutto vince, e apodittico fa
l’impensabile – è per questo che si lascia trascinare e poi si subordina: il
libero spirito delle tribù è sempre violento, poiché è limitato. Ciò vale per il
germanesimo, un’ubriacatura che va dal 1848 (Wagner, lo stesso Marx) al 1945,
ma anche epr l’ebraismo dello Stato etnico. Per il Dio della Bibbia, volendo
andare a fondo della cosa, l’unico “Dio degli eserciti” fra i tanti “buoni”, nota
Simone Weil sconsolata.
L’identità
torna nella vertigine di assoluto: quando la Chiesa, l’Europa e la storia sono
letti in chiave di antisemitismo, la semplificazione è ben tedesca. È filologia
a due dimensioni. Comune è pure il noi e loro, il resto del mondo cioè,
l’eccezionalità di stirpe e destino. E il misticismo senza Dio, in musica,
filosofia, teologia, cose nobili ma senza Redenzione. A è anche vero, benché
oltraggioso: la Germania di fine Ottocento, la nazione misterica e mistica,
della comunità di sangue e l’annientamento dell’Europa, va in parallelo con la
rinascita ebraica. Wittgenstein si scopre ebreo, e perciò antisemita.
Tradizione – Nonché
tradirsi (essere tradita) fa presto a sparire. Nei periodi di cambiamenti “tecnologici”,
come oggi, anche all’interno della sessa generazione – c’è poca o pochissima
memoria oggi.
La storia di Thomas Mann “è sempre più vecchia
dei suoi anni”. Ma secondo Lévi-Strauss gli eventi storici si
dissolvono in una serie di processi fisici, la storia non ha un contenuto. Questo
sembra azzardato – Lévi-Strauss non è solo un processo fisico – ma forse è
vero. Non ci sono tribù passate alla democrazia, neppure in Europa, gli zingari
come i germanici, le tribù sono incorreggibili. Né ci sono vergini fuori che in
Occidente, la verginità è concetto a territorio limitato. E si fa presto a
sparire. Una volta gli asiatici sbarcavano in Europa a Napoli, da qui la popolarità
delle romanze napoletane in Cina e Giappone. Ma ora Napoli non esiste più.
Tutto il mondo va a Firenze a vedere il Davide, ma potrebbe un giorno decidere
che Santa Sofia a Istanbul è meglio, la moschea, o una guglia gotica a Gotheim.
O una partita di baseball. È successo, succederà. Roma è già semisparita: la
romanità, prima che a Mussolini, si dovette al culto assiduo dei sassoni, e
dell’Ottantanove, ma la Rivoluzione è finita, gli inglesi impoveriti, i
tedeschi distratti. La romanità, benché tarda, di Lois Riegl e Franz Wickhoff è
sparita con la memoria dei viennesi. E potrebbe essere negata da un qualche
movimento per il retaggio degli unni. L’età di mezzo, Comuni e Rinascimento, e
lo stesso Umanesimo devono molto a svizzeri, francesi e americani. Ma gli svizzeri
più non se ne occupano la Francia e l’America hanno altri orizzonti.
Università – Ha
incrementato o indebolito gli studi? Non nel senso della diffusione, ma dello
sviluppo, dell’invenzione,, delle penetrazione delle conoscenze. Si critica
oggi l’università di massa, ma i limiti che se ne vituperano, di un esamificio
a scapito della ricerca e della formazione, già all’origine si denunciavano, in
canzoni popolari, di ampia audience,
del tipo raccolto nei “Carmina burana”,
e presso autori stimati. “Florebat olim studium,\ nunc vertitur in tedium” è l’incipit
del canto 6 dei “Carmina”, che rispecchia la dura critica espressa da Filippo
il Cancelliere, a cavaliere del Duecento, sull’università di Parigi dove
lavorava, la futura Sorbona: “Una volta,
quando ogni maestro insegnava per suo conto e non si conosceva neppure il nome
dell’università, le lezioni e le discussioni erano frequenti e c’era zelo per
lo studio. Ora invece vi siete uniti per formare un’università, e le lezioni
sono diventate rare, tutto si fa in fretta e l’insegnamento si riduce a ben
poco,; il tempo sottratto alle lezioni lo si consuma in riunioni e discussioni.
E in queste assemblee, mentre gli anziani deliberano e legiferano, i giovani
pensano solo ad architettare abominevoli complotti e preparare spedizioni
notturne” (cit. da Jacques Verger, “Le
università del Medioevo”, 63-64).
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