Islam
– “L’Islam è un messaggio di armonia, di pace, di convivenza con l’altro.
L’altro non solo inteso come essere umano ma anche come altro nell’ambiente,
altro nell’arte, altro nella cultura” – l’imam di Firenze Izzedin Elzir. Sì,
ma. Non c'è dubbio che i negrieri oggi sono musulmani. Sono musulmani
anche nell’organizzazione, in Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh,
Sri Lanka, e in Africa subsahariana. Non c'è dubbio che i governi ci marciano,
in Libia. E in Turchia. In Turchia, per esperienza personale, non c’è
centimetro quadrato non presidiato da una polizia occhiuta (questo prima di
Erdogan), anche nei posti più remoti, solo i gommoni sfuggono, e le carrette
del mare, per anni da Smirne a Crotone, l’antica rotta della Magna Grecia, poi
nell’Egeo, sulle isole greche immiserite. Non è troppo ipotizzare che ogni
tanto la Turchia, dopo avere incassato sei miliardi dalle Ue per mantenere i
profughi, l’anno, li ributti in mare in odio alla Grecia, e anche alla Ue.
Tutto ciò è chiaro. E purtroppo riguarda l’Europa, gli Usa in
questo non ci salvano. L’Europa nel Mediterraneo, che come si sa non “esiste”.
L’Europa verso l’islam. Invadente e non rispettoso. Soprattutto le donne
islamiche, propagandiste furbe e determinate di valori familiari e costumi,
abbigliamento compreso, dirompenti.
I socialisti
danesi manifestano per il “diritto” delle donne mussulmane di coprirsi di nero
da capo a piedi. È una concezione strana del diritto. Il divieto del burka in
pubblico lede “la professione di fede” islamica, argomentano. Ma che c’entra la
religione col telo nero? Lo sanno pure i sassi, non è ignoranza: è una assurda
concezione dei diritti.
Le sei
sorelle Azmi, 14-25 anni, veli intorcinati e gualdrappe nere, passano il tempo
libero giocando a hockey, e sono per questo virali in Canada, dove vivono,
simbolo dell’integrazione felice. Il problema con l’islam sono le sue donne –
non ne sono vittime.
Manomorta – Prima
che l’assistenza ai poveri si “pubblicizzasse” e si accentrasse nello Stato,
altre forme di sostegno erano organizzate ovunque. Nella cristianità, dall’Inghilterra
a Creta, l’assistenza ai poveri era praticata da monasteri e corporazioni
ecclesiastiche. Per un motivo, spiega il sociologo Simmel, 1908, nel saggio “Il
povero”: “Solo la proprietà di manomorta
(stato dei beni appartenenti a soggetti morali: associazioni, comunità, ospizi, etc,), possiede l’indispensabile continuità
da cui dipende necessariamente l’assistenza ai poveri”.
In
questo contesto, Simmel rileva: “Questa relazione è illustrata in modo negativo
dalla reazione provocata dal clero romano in Inghilterra, che trascurò di
assistere i poveri”.
In Italia
andò diversamente – ma anche in Inghilterra: l’accusa che Simmel recepisce
faceva parte della propaganda antipapista, le parrocchie cattoliche e i
monasteri assistevano i poveri, e continuarono, anche quelle residue dopo lo
scisma. In tutte le regioni italiane, e di più nel Regno delle Due Sicilie
nella città di Napoli. Dove Pasquale Villari, nella primissima polemica contro
il neo costituito Stato Unitario, già nel 1861-1862 denunciava l’abbandono dei
poveri con la nazionalizzazione della manomorta: la chiusura e l’appropriazione
dei grandi conventi aveva lasciato i poveri nella ex capitale affamati e senza
cure.
Questo detto da destra: “L’eterna teoria del lasciar fare e
lasciar passare mi pare che non debba applicarsi senza qualche restrizione;
giacché altrimenti passano solo la miseria e la corruzione”. Villari non fu
l’inventore della questione meridionale, contrariamente alla vulgata (quello
sarà Salvemini, di Villari allievo: “L’unità d’Italia è stata per il
Mezzogiorno un disastro”), lui era un unitarista convinto. Ma aveva il senso della
questione sociale.
Quando pubblicò le “Lettere meridionali” più tardi, nel 1876, lo
storico espunse queste prime che aveva mandato alla “Perseveranza” di Milano
nel 1861 e nel 1862 - di cui già aveva fatto una plaquette. Qualificandosi più per propugnare una politica liberale,
che oggi di direbbe di sinistra: “Quando io penso a quello che ha fatto in
questi ultimi anni il Ministero conservatore dell’Inghilterra (dove lo storico
napoletano aveva risieduto, n.d.r.) in favore dei poveri… mi sento per la
vergogna salire il rossore sul volto”.
Sono leggi di cui dà il dettaglio Simmel mezzo secolo più tardi. C’è un “substrato fermo” nell’assistenza ai poveri, argomentava,
un collegamento con beni non alienabili e comunque durevoli: “Il legame
dell’assistenza col fermo sostrato delle risorse sociali appare evidente nel
legame stabilito più tardi in Inghilterra tra l’imposta per i poveri e la
proprietà immobiliare; e questo sia a causa che per effetto del fatto che i
poveri erano considerati come un elemento organico della terra, appartenente alla
terra”. In un primo momento, quando si fecero la prime leggi contro la povertà,
nel primo Ottocento. E anche in un secondo: “La stessa tendenza si manifestò
nel 1861, quando una parte degli oneri sociali fu legalmente trasferita dalla parrocchia all’associazione di
assistenza sociale. I costi dell’assistenza ai poveri non furono più a carico
delle parrocchie isolate, ma di un fondo al quale le parrocchie contribuivano in
funzione del valore delle loro proprietà immobiliari”.
In
Italia il governo piemontese puntò invece all’appropriazione pura e semplice
della manomorta, indifferente alla sua funzione sociale. Una sorta di nazionalizzazione,
in termini odierni, ma impropria: l’appropriazione non era da parte dello
Stato, ma dello Stato per i privati cui retrocedeva i beni a prezzo vile, senza
più funzione assistenziale. In Italia come
già in Francia, di cui questi nuovi ceti, così liberamente “capitalizzati” dalla
rivoluzione, erano figli. Che hanno prosperato appropriandosi dei beni
ecclesiastici, talvolta da beghino. È il
fattore che distingue la borghesia italiana (e francese) da quella
anglosassone.
In Due delle lettere meridionali di una seconda serie, 1876, al direttore dell’ “Opinione”, Villari faceva
anche analisi tuttora valide de “La camorra” e “La mafia”, legandole all’eversione
della manomorta. Villari pone l’origine della camorra nell’abolizione del
feudalesimo e nell’unificazione dell’Italia. Nell’uso spregiudicato dei
camorristi come gestori dell’ordine e del commercio da parte di Liborio Romano,
il ministro borbonico dell’Interno passato con Garibaldi, e dei nuovi
amministratori. E nell’abbandono a se stessa della plebe da parte dello stato
unitario. Mentre in antico la Corte, le grandi famiglie e i conventi davano di
che vivere alle masse. C’era un equilibrio, seppure non produttivo.
Novecento
– “Il secolo dei totalitarismi e delle idee assassine”, Robert
Conquest. E di che altro? La penicillina, e la bomba atomica - il vaccino Salk
va con la poliomielite, che sicuramente è indotta dal modo di vita. È il secolo
del motore a scoppio, dell’incenerimento dell’aria, dell’avvelenamento dell’atmosfera.
Non solo in Europa – l’Europa vi ha perduto la centralità: totalitarismi, idee
assassine, plastiche indistruttibili e fumi sono di tutto il mondo, proporzionalmente
più che in Europa – al netto d Hitler.
È il secolo del più che raddoppio delle aspettative di vita. E
della demografia galoppante: la popolazione mondiale è passata da 1,6 miliardi
nel 1900 a 7,6 miliardi oggi.
Pisacane
– Il teorico più lucido della rivoluzione politica nella
rivoluzione nazionale italiana aveva compagno di ventura nell’insurrezione
fallita a Sapri, dove lasciò la vita, Giovanni Nicotera. Che invece si salvò. E
diventò presto un monarchico puro e duro. Ministro dell’Interno del primo
governo della Sinistra, volle nel 1877 per i “banditi” del Matese un giudizio
sommario, ad arbitrio di un “tribunale di guerra”. Costretto a dimettersi, fece
una scissione contro Depretis, con Crispi e Zanardelli. Di nuovo ministro
dell’Interno nel 1891, nel governo di Rudinì, si segnalò per reprimere le
manifestazioni socialiste. La storia non si sa mai come si sviluppa.
Nicotera le aveva combattute tutte.
Massone in carriera, era stato nella Giovane Italia di Mazzini, e aveva combattuto
a Napoli il 15 maggio 1848. L’anno dopo era a Roma con Mazzini. Ferito gravemente a Sapri,
arrestato, condannato a morte, era stato poi mandato all’ergastolo. A Favignana,
dove Garibaldi nel 1860 lo liberò. Organizzò nello stesso anno un’invasione
dello Stato pontificio dalla Toscana, ma Cavour lo fermò. Fu nel 1862 con
Garibaldi sull’Aspromonte. E nel 1866 comandò un reggimento di volontari contro
l’Austria. L’anno dopo aveva tentato con Garibaldi l’invasione dello Stato
pontificio, l’operazione che abortì a Mentana.
Savoia – Sono
svaniti, letteralmente, dalla storia dell’Italia, dopo che per almeno un secolo l’avevano dominata – fatta, in ogni
senso della parola. Da padri della patria, che non erano. Con il racconto della
“Prussia d’Italia” che certamente non erano, per ogni aspetto, se non erano
l’opposto: in politica quasi oltremontani, in religione papalini, e senza
praticamente alcuna tradizione “italiana” o nazionale, storica (Pietro Micca?),
letteraria, culturale.
Un’altra
veduta dei Savoia nella storia dell’Italia era peraltro disponibile al tempo
dell’unificazione, subito dopo. Di cui fa
la sintesi Bakunin, nel saggio “Etatisme et anarchie”, 1873. Carlo Alberto nel
1821, da principe ereditario, “tradì i compagni con cui aveva cospirato per
liberare l’Italia”. Nel 1848, da sovrano, fece di tutto per “paralizzare la
rivoluzione in tutta Italia, per messo di promesse, macchinazioni, intrighi”.
Vittorio Emanuele è falsamente “definito il liberatore e unificatore delle
terre italiane” - il “liberatore” semmai è stato Luigi Napoleone, imperatore
dei Francesi: “Ma di fatto l’Italia si è liberata da sola, fuori dal controllo
di Vittorio Emanuele e contro la volontà di Napoleone III”. Quando Garibaldi partì
da Quarto, Cavour “avvertì il governo napoletano del pericolo che lo minacciava”.
Vittorio Emanuele si è preso poi “la Sicilia e tutto il regno di Napoli, senza peraltro mostrare eccessiva gratitudine”.
E che ne ha fatto? “Che cosa ha fatto in trent’anni il suo governo per questa
infelice Italia? L’ha rovinata. L’ha semplicemente depredata, tanto che ora,
odiato da tutti i suoi sudditi, il suo dispotismo fa quasi rimpiangere i
defenestrati Borboni”.
Speculazione - Il 24
luglio 2012 lo spread Bot-Bund, in
salita costante da otto mesi, arriva a 532 punti. Quel giorno, il presidente
della Banca centrale europea Mario Draghi comunica che la Bce farà “whatever it takes”, qualunque cosa, per
salvare l’euro. Il “whatever it takes”
fa invertire subito il corso allo spread.
Un mese dopo è attorno ai 340 punti. Sei mesi dopo a 250. Come si fa a negare
la speculazione? Eppure è la tesi prevalente, anche nella sinistra politica.
Si può anche dire la
speculazione una difesa sulle incertezze. Ma in quel caso c’era un attacco all’euro
nella convinzione che non avrebbe tenuto. Bersagliando il fortino sul lato
Italia-debito pubblico e banche. Un attacco concentrato, e non un’azione
difensiva. Avviato anche questo da Soros, cui altri hedge fund si sono allineati. In teoria come misura difensiva, di
fatto come un “lavoro ai fianchi” - invece di un “diretto” decisivo, come nell’attacco
alla lira e alla sterlina del 1992. La convinzione essendo alimentata non tanto
da un rischio insolvenza dell’Italia, quanto dalla politica di austerità imposta
dalla Germania. E dalla crescita, nello schieramento di governo in Germania, di
una posizione anti-euro, mascherata da anti-Italia: nella Csu di Dobrindt, il
segretario quarantenne molto spavaldo dei bavaresi, e in Deutsche Bank. Con
l’appoggio del ministro delle Finanze (Economia) Schaüble e del presidente della Bundesbank Weidmann,
che a settimane alterne lanciavano ipotesi, pubbliche, di ristrutturazione della moneta europa.astolfo@antiit.eu