sabato 4 agosto 2018

Il mondo com'è (349)

astolfo

Islam – “L’Islam è un messaggio di armonia, di pace, di convivenza con l’altro. L’altro non solo inteso come essere umano ma anche come altro nell’ambiente, altro nell’arte, altro nella cultura” – l’imam di Firenze Izzedin Elzir. Sì, ma. Non c'è dubbio che i negrieri oggi sono musulmani. Sono musulmani anche nell’organizzazione, in Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, e in Africa subsahariana. Non c'è dubbio che i governi ci marciano, in Libia. E in Turchia. In Turchia, per esperienza personale, non c’è centimetro quadrato non presidiato da una polizia occhiuta (questo prima di Erdogan), anche nei posti più remoti, solo i gommoni sfuggono, e le carrette del mare, per anni da Smirne a Crotone, l’antica rotta della Magna Grecia, poi nell’Egeo, sulle isole greche immiserite. Non è troppo ipotizzare che ogni tanto la Turchia, dopo avere incassato sei miliardi dalle Ue per mantenere i profughi, l’anno, li ributti in mare in odio alla Grecia, e anche alla Ue.
Tutto ciò è chiaro. E purtroppo riguarda l’Europa, gli Usa in questo non ci salvano. L’Europa nel Mediterraneo, che come si sa non “esiste”. L’Europa verso l’islam. Invadente e non rispettoso. Soprattutto le donne islamiche, propagandiste furbe e determinate di valori familiari e costumi, abbigliamento compreso, dirompenti.
I socialisti danesi manifestano per il “diritto” delle donne mussulmane di coprirsi di nero da capo a piedi. È una concezione strana del diritto. Il divieto del burka in pubblico lede “la professione di fede” islamica, argomentano. Ma che c’entra la religione col telo nero? Lo sanno pure i sassi, non è ignoranza: è una assurda concezione dei diritti.
Le sei sorelle Azmi, 14-25 anni, veli intorcinati e gualdrappe nere, passano il tempo libero giocando a hockey, e sono per questo virali in Canada, dove vivono, simbolo dell’integrazione felice. Il problema con l’islam sono le sue donne – non ne sono vittime.

Manomorta – Prima che l’assistenza ai poveri si “pubblicizzasse” e si accentrasse nello Stato, altre forme di sostegno erano organizzate ovunque. Nella cristianità, dall’Inghilterra a Creta, l’assistenza ai poveri era praticata da monasteri e corporazioni ecclesiastiche. Per un motivo, spiega il sociologo Simmel, 1908, nel saggio “Il povero”: “Solo la proprietà di manomorta (stato dei beni appartenenti a soggetti morali: associazioni, comunità, ospizi, etc,), possiede l’indispensabile continuità da cui dipende necessariamente l’assistenza ai poveri”.
In questo contesto, Simmel rileva: “Questa relazione è illustrata in modo negativo dalla reazione provocata dal clero romano in Inghilterra, che trascurò di assistere i poveri”.
In Italia andò diversamente – ma anche in Inghilterra: l’accusa che Simmel recepisce faceva parte della propaganda antipapista, le parrocchie cattoliche e i monasteri assistevano i poveri, e continuarono, anche quelle residue dopo lo scisma. In tutte le regioni italiane, e di più nel Regno delle Due Sicilie nella città di Napoli. Dove Pasquale Villari, nella primissima polemica contro il neo costituito Stato Unitario, già nel 1861-1862 denunciava l’abbandono dei poveri con la nazionalizzazione della manomorta: la chiusura e l’appropriazione dei grandi conventi aveva lasciato i poveri nella ex capitale affamati e senza cure.   
Questo detto da destra: “L’eterna teoria del lasciar fare e lasciar passare mi pare che non debba applicarsi senza qualche restrizione; giacché altrimenti passano solo la miseria e la corruzione”. Villari non fu l’inventore della questione meridionale, contrariamente alla vulgata (quello sarà Salvemini, di Villari allievo: “L’unità d’Italia è stata per il Mezzogiorno un disastro”), lui era un unitarista convinto. Ma aveva il senso della questione sociale.
Quando pubblicò le “Lettere meridionali” più tardi, nel 1876, lo storico espunse queste prime che aveva mandato alla “Perseveranza” di Milano nel 1861 e nel 1862 - di cui già aveva fatto una  plaquette. Qualificandosi più per propugnare una politica liberale, che oggi di direbbe di sinistra: “Quando io penso a quello che ha fatto in questi ultimi anni il Ministero conservatore dell’Inghilterra (dove lo storico napoletano aveva risieduto, n.d.r.) in favore dei poveri… mi sento per la vergogna salire il rossore sul volto”.
Sono leggi di cui dà il dettaglio Simmel mezzo secolo più tardi. C’è un “substrato fermo” nell’assistenza ai poveri, argomentava, un collegamento con beni non alienabili e comunque durevoli: “Il legame dell’assistenza col fermo sostrato delle risorse sociali appare evidente nel legame stabilito più tardi in Inghilterra tra l’imposta per i poveri e la proprietà immobiliare; e questo sia a causa che per effetto del fatto che i poveri erano considerati come un elemento organico della terra, appartenente alla terra”. In un primo momento, quando si fecero la prime leggi contro la povertà, nel primo Ottocento. E anche in un secondo: “La stessa tendenza si manifestò nel 1861, quando una parte degli oneri sociali fu legalmente trasferita  dalla parrocchia all’associazione di assistenza sociale. I costi dell’assistenza ai poveri non furono più a carico delle parrocchie isolate, ma di un fondo al quale le parrocchie contribuivano in funzione del valore delle loro proprietà immobiliari”.
In Italia il governo piemontese puntò invece all’appropriazione pura e semplice della manomorta, indifferente alla sua funzione sociale. Una sorta di nazionalizzazione, in termini odierni, ma impropria: l’appropriazione non era da parte dello Stato, ma dello Stato per i privati cui retrocedeva i beni a prezzo vile, senza più funzione assistenziale. In Italia come già in Francia, di cui questi nuovi ceti, così liberamente “capitalizzati” dalla rivoluzione, erano figli. Che hanno prosperato appropriandosi dei beni ecclesiastici, talvolta da beghino.  È il fattore che distingue la borghesia italiana (e francese) da quella anglosassone.

In Due delle lettere meridionali di una seconda serie, 1876,  al direttore dell’ “Opinione”, Villari faceva anche analisi tuttora valide de “La camorra” e “La mafia”, legandole all’eversione della manomorta. Villari pone l’origine della camorra nell’abolizione del feudalesimo e nell’unificazione dell’Italia. Nell’uso spregiudicato dei camorristi come gestori dell’ordine e del commercio da parte di Liborio Romano, il ministro borbonico dell’Interno passato con Garibaldi, e dei nuovi amministratori. E nell’abbandono a se stessa della plebe da parte dello stato unitario. Mentre in antico la Corte, le grandi famiglie e i conventi davano di che vivere alle masse. C’era un equilibrio, seppure non produttivo.

Novecento – “Il secolo dei totalitarismi e delle idee assassine”, Robert Conquest. E di che altro? La penicillina, e la bomba atomica - il vaccino Salk va con la poliomielite, che sicuramente è indotta dal modo di vita. È il secolo del motore a scoppio, dell’incenerimento dell’aria, dell’avvelenamento dell’atmosfera. Non solo in Europa – l’Europa vi ha perduto la centralità: totalitarismi, idee assassine, plastiche indistruttibili e fumi sono di tutto il mondo, proporzionalmente più che in Europa – al netto d Hitler.
È il secolo del più che raddoppio delle aspettative di vita. E della demografia galoppante: la popolazione mondiale è passata da 1,6 miliardi nel 1900 a 7,6 miliardi oggi.

Pisacane – Il teorico più lucido della rivoluzione politica nella rivoluzione nazionale italiana aveva compagno di ventura nell’insurrezione fallita a Sapri, dove lasciò la vita, Giovanni Nicotera. Che invece si salvò. E diventò presto un monarchico puro e duro. Ministro dell’Interno del primo governo della Sinistra, volle nel 1877 per i “banditi” del Matese un giudizio sommario, ad arbitrio di un “tribunale di guerra”. Costretto a dimettersi, fece una scissione contro Depretis, con Crispi e Zanardelli. Di nuovo ministro dell’Interno nel 1891, nel governo di Rudinì, si segnalò per reprimere le manifestazioni socialiste. La storia non si sa mai come si sviluppa.
Nicotera le aveva combattute tutte. Massone in carriera, era stato nella Giovane Italia di Mazzini, e aveva combattuto a Napoli il 15 maggio 1848. L’anno dopo era a Roma con  Mazzini. Ferito gravemente a Sapri, arrestato, condannato a morte, era stato poi mandato all’ergastolo. A Favignana, dove Garibaldi nel 1860 lo liberò. Organizzò nello stesso anno un’invasione dello Stato pontificio dalla Toscana, ma Cavour lo fermò. Fu nel 1862 con Garibaldi sull’Aspromonte. E nel 1866 comandò un reggimento di volontari contro l’Austria. L’anno dopo aveva tentato con Garibaldi l’invasione dello Stato pontificio, l’operazione che abortì a Mentana.

Savoia – Sono svaniti, letteralmente, dalla storia dell’Italia, dopo che per almeno un  secolo l’avevano dominata – fatta, in ogni senso della parola. Da padri della patria, che non erano. Con il racconto della “Prussia d’Italia” che certamente non erano, per ogni aspetto, se non erano l’opposto: in politica quasi oltremontani, in religione papalini, e senza praticamente alcuna tradizione “italiana” o nazionale, storica (Pietro Micca?), letteraria, culturale.
Un’altra veduta dei Savoia nella storia dell’Italia era peraltro disponibile al tempo dell’unificazione,  subito dopo. Di cui fa la sintesi Bakunin, nel saggio “Etatisme et anarchie”, 1873. Carlo Alberto nel 1821, da principe ereditario, “tradì i compagni con cui aveva cospirato per liberare l’Italia”. Nel 1848, da sovrano, fece di tutto per “paralizzare la rivoluzione in tutta Italia, per messo di promesse, macchinazioni, intrighi”. Vittorio Emanuele è falsamente “definito il liberatore e unificatore delle terre italiane” - il “liberatore” semmai è stato Luigi Napoleone, imperatore dei Francesi: “Ma di fatto l’Italia si è liberata da sola, fuori dal controllo di Vittorio Emanuele e contro la volontà di Napoleone III”. Quando Garibaldi partì da Quarto, Cavour “avvertì il governo napoletano del pericolo che lo minacciava”. Vittorio Emanuele si è preso poi “la Sicilia e tutto il regno di Napoli,  senza peraltro mostrare eccessiva gratitudine”. E che ne ha fatto? “Che cosa ha fatto in trent’anni il suo governo per questa infelice Italia? L’ha rovinata. L’ha semplicemente depredata, tanto che ora, odiato da tutti i suoi sudditi, il suo dispotismo fa quasi rimpiangere i defenestrati Borboni”.

Speculazione - Il 24 luglio 2012 lo spread Bot-Bund, in salita costante da otto mesi, arriva a 532 punti. Quel giorno, il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi comunica che la Bce farà “whatever it takes”, qualunque cosa, per salvare l’euro. Il “whatever it takes” fa invertire subito il corso allo spread. Un mese dopo è attorno ai 340 punti. Sei mesi dopo a 250. Come si fa a negare la speculazione? Eppure è la tesi prevalente, anche nella sinistra politica.
Si può anche dire la speculazione una difesa sulle incertezze. Ma in quel caso c’era un attacco all’euro nella convinzione che non avrebbe tenuto. Bersagliando il fortino sul lato Italia-debito pubblico e banche. Un attacco concentrato, e non un’azione difensiva. Avviato anche questo da Soros, cui altri hedge fund si sono allineati. In teoria come misura difensiva, di fatto come un “lavoro ai fianchi” - invece di un “diretto” decisivo, come nell’attacco alla lira e alla sterlina del 1992. La convinzione essendo alimentata non tanto da un rischio insolvenza dell’Italia, quanto dalla politica di austerità imposta dalla Germania. E dalla crescita, nello schieramento di governo in Germania, di una posizione anti-euro, mascherata da anti-Italia: nella Csu di Dobrindt, il segretario quarantenne molto spavaldo dei bavaresi, e in Deutsche Bank. Con l’appoggio del ministro delle Finanze (Economia) Schaüble e del presidente della Bundesbank Weidmann, che a settimane alterne lanciavano ipotesi, pubbliche, di ristrutturazione della moneta europa.

astolfo@antiit.eu

L’egemonia culturale è una museruola


Un paradosso e una jattura. L’egemonia culturale che Gramsci avocava (“teorizzava”) e di cui gli si fa  merito, è come ogni forma egemonica, una disgrazia. Può avere meriti, ma che e chi non ce li ha, forse anche Belzebù. Ma di suo è la maggioranza non qualificata. La massa, come irretirla.
Cosa resta dell’egemonia culturale della sinistra nell’era della dittatura dei social?, si chiede Caligiuri (chi è?). Niente. Caligiuri politico è di destra, oggi di Grande Sud, ma da specialista della Comunicazione sa di che parla – vanta anche la prima sperimentazione di e-demoracy: da sindaco di Soveria Mannelli si fece approvare il bilancio nel 2004 dai cittadini via internet. E comunque è l’evidenza: l’egemonia culturale non ha qualità proprie, se non in forma di censura, di museruola, ed è ancillare al potere – ora quindi di destra. La presunzione di essere il meglio, o la mancaza di senso critico, Iin effetti è la stessa, ferrea.
Mario Caligiuri, L’egemon ia culturale da Gramsci a Casaleggio, “Formiche”, agosto-sett., pp. 140 € 8

venerdì 3 agosto 2018

Ombre - 426

È difficile immaginare Berlusconi all’opposizione. Eppure lo ha fatto. Contro uno dei suoi alla presidenza della Rai. Ma non è la prima volta. Già a Roma aveva impedito l’elezione di un suo sindaco, frantumando candidature e voto. Continua la vacatio Berlusconis? Nessuno al posto mio finché c’è l’impedimento.

Roma no, Cortina si. L’Olimpiade invernale fa meno CO2, meno polveri sottili, meno polvere? Cè una logica? Si, il business.

LOlimpiade no, lo stadio della Roma si, i 5 Stelle procedono senza vergogna. Ma Roma non ha protestato, i media, gli esercenti, i costruttori: Grillo è più abile gestore del business? Con lo stadio non sembra, tutti ar gabbio. Polveri bagnate?

I socialisti danesi manifestano “per” il “diritto” delle donne mussulmane di coprirsi di nero da capo a piedi. È una concezione strana del diritto. Il divieto del burka in pubblico lede “la professione di fede” islamica, argomentano. Ma che c’entra la religione col telo nero? Lo sanno pure i sassi, non è ignoranza: è una assurda concezione dei diritti.

Giorgia Rossi, che ha condotto le ceto ore di Mediaset sul Mondiale di Russia nelle ore di maggiore ascolto delle reti, giornalista professionista, era una collaboratrice a tempo. Ha avuto il contatto solo un mese dopo il Mondiale.

Non c’è più legge? Le sei sorelle Azmi, 14-25 anni, veli intorcinati e gualdrappe nere, passano il tempo libero giocando a hockey, e sono per questo virali in Canada, dove vivono, simbolo dell’integrazione felice. Il problema con l’islam sono le sue donne – non ne sono vittime.

Sergio  Romano propone su “La Lettura” una secessione morbida dei paesi dell’Est, entrati nella Unione Europea per beneficiare degli aiuti allo sviluppo ma poi sudditi volontari e massa di manovra degli Stati Uniti. Paventando altrimenti una divisione come quella che negli Stati Uniti portò alla guerra civile, tra Nord e Sud. Una cattiveria? Una reazione di rabbia? Ma è vero che dai paesi ex comunisti non viene nulla di buono, solo fascismo e militarismo.

Si dice dei paesi dell’Est Europa: sono vittime di Mosca, dell’Unione Sovietica, e quindi ora della Russia.  Ma sono ormai almeno trent’anni che ne sono indipendenti. Quasi quanto il periodo in cui furono occupati da Mosca.

Il papa convoca il sinodo dei vescovi sulla gioventù, con un “documento preparatorio” sessantottesco. Vecchio cioè di mezzo secolo, e censorio: il documento ha censurato le richieste, statisticamente notevoli, un 15 per cento, di un insegnamento magisteriale-confessionale in linea con la tradizione, e di attenzione alla liturgia, invece del rito scialbo introdotto da Paolo VI. Un papa censore? Una novità o un ritorno all’antico?

Il Policlinico di Zurigo protegge la privacy di Marchionne negando perfino che uno col suo nome vi sia ricoverato. Poi, quando si mormora che Marchionne forse è morto perché curato male dopo un’operazione “alla spalla”, dichiara che Marchionne era in cura da un anno per un morbo incurabile. Dall’estrema riservatezza allo sbrago: la Svizzera non è affidabile, né sul piano umano e nemmeno su quello del diritto – un avente causa di Marchionne potrebbe promuovere un’azione per danni. Ma è “la Svizzera”, luogo ideale.

Sono successe cose turche al Tour, con vigili e vigilanti che hanno steso Nibali e Froome. Come non detto. Fosse successo al Giro d’Italia?
 
Si è discusso per una settimana o due di Macron e la sua guardia del corpo. Tacendo l’essenziale: se il pettoruto privilegiato dal presidente francese non sia il suo amante. Lo scrive Cazzullo, ma in una risposta, nella rubrica delle lettere.

Fca in Cina per disarmare Trump

Può beneficiare Fca in Cina del semi-blocco imposto da Trump alle importazioni da quel paese? Sì e no, ma le aspettative per la prossima mossa del gruppo orfano di Marchionne, fra gli operatori finanziari e del mercato automotive, sono per il sì.
La prossima mossa sarà la Cina, il nuovo ad vi era già impegnato. Sperimentando l’ambivalenza della natura duale del suo gruppo. Fca è un gruppo italiano e, di più, americano. L’entrata nel mercato cinese ha un’importanza tecnica, oltre che commerciale, per il gruppo, in quanto si situerebbe nel deciso passo verso l’elettrico che sia Pechino sia Fca hanno in programma. Un’apertura cinese a Fca, dopo aver favorito VW e General Motors (che producono in Cina quattro milioni di autovetture a testa, poco meno di tutto il mercato europeo per VW e una produzione apri per Gm al totale di Usa, Canada, Messico e Brasile), sarebbe un segnale che Trump non sottovaluterebbe. Questo nell’ipotesi che si fa più probabile, che la Cina non voglia andare a una guerra fredda commerciale. Anzi sul presupposto che la Cina ha bisogno di riaprire il dialogo con gli Usa. 
Pechino tenta da tempo, dal secondo Obama, di aggirare gli Usa in Asia occidentale e in Europa. Dove però l’economia non funziona come in Cina, non trascina la politica. La politica in queste aree - compreso, in Asia occidentale, l’Iran - è puntata sull’Occidente, sugli Usa. Su questo orizzonte gli Usa anzi stanno seduti comodi, con una nuova serie di investimenti in corso di elaborazione, annunciati dal segretario di Stato Pompeo. Mentre la politica delle rappresaglie anti-Trump non ha funzionato: tutti gli indici cinesi sono in calo.

Cronache dell'altro mondo - l’assedio di Chicago

Cominciava ieri, cinquant’anni fa, “l’assedio di Chicago”. Un evento che incise molto sul movimento del Sessantotto, e sulla “liberazione” dell’America. Promosso dal governo federale di Lyndon Johnson, il democratico vice-presidente di Kennedy, eletto nel 1964 e ora incandidabile per il fallimento della guerra che aveva voluto totale in Vietnam. Astolfo lo racconta in “La gioia del giorno”, un anno dopo i fatti:
“È festa a Algeri, fra i pochi che s’incontrano. Per la vittoria dei Sette a Chicago, che è quasi una città del destino. “E adesso a Chicago, per vincere”, disse Robert Kenedy all’hotel Ambassador di Los Angeles, e un improbabile arabo lo uccise - gli assassini a pagamento hanno vite improbabili. I primi Sette di Chicago furono gli scienziati del Franck Report, che prima di Hiroshima ne provarono le devastazioni.
“Nell’agosto del 1968, mentre i sovietici occupavano Praga, un piccolo esercito occupò Chicago, dove il partito Democratico doveva nominare il mite Humphrey candidato alla presidenza contro Nixon. Seimila soldati dei corpi speciali, affardellati da incursori con lanciafiamme e bazooka, oltre al fucile di ordinanza, furono elitrasportati in città. Di supporto ai dodicimila poliziotti locali assegnati alla Convenzione, che lavorarono tutto il tempo in turni di dodici ore, con elmetti schermati, scudi, manganelli, rivoltelle, walkie-talkies, lattine di mace e bombe lacrimogene, e a seimila riservisti della Guardia Nazionale. Il campo era stato preparato da ottocento detective dei vari servizi segreti, dell’Fbi e dell’Antinarcotici. La passione Usa per i numeri è di conveniente forza espressiva.
“I venticinquemila del piccolo esercito dovevano affrontare i dimostranti. Che, attesi in diecimila, dichiarati in cinquemila, furono duemila. E non contro Hubert Humphrey, o Muskie, il suo vice, ma per celebrare il Festival della vita, un’idea che Abbie Hoffmann, Paul Krassner e Rubin avevano avuto la notte di Capodanno, ricordando il be-in organizzato un anno prima a San Francisco da Ginsberg e i Flower Children, per il quale avevano creato gli Yippies, gruppi anarchico-mistici - Yippy da Youth International Party. Chicago è all’origine del movimento operaio: i lavoratori martiri del 1886 vi trasformarono il primo maggio, giorno della primavera celtica e delle streghe, in festa del lavoro. Nei fatti la questione era meno burocratica: la “cinque giorni di scambio di energia” di Hoffmann prevedeva concerti, nude-in in spiaggia, Lsd, workshop di poesia e vario genere. Un quinto dei dimostranti furono arrestati, salvati quindi dal bagno nelle acque infette del lago Michigan, sette rinviati a giudizio.
“I sette sono ora scagionati. Dopo un processo lungo quattro mesi e mezzo, dal 26 settembre 1969 all’8 febbraio, con una pausa di un giorno a Natale, sotto un giudice colpevolista richiamato dalla pensione che si è divertito un mucchio, e la giuria divisa in due, quattro innocentisti seduti da un lato, gli otto colpevolisti dall’altro. Un esempio di giustizia vera, che si dichiara e non si maschera di pandette, sillogismi, litoti. Anche se è costata a Bobby Seale quattro anni di prigione per oltraggio alla corte, non avendo ottenuto il rinvio del processo per la malattia del difensore, e neppure l’autodifesa, dopo essere stato legato e imbavagliato per le conseguenti intemperanze in aula, perché il giudice, benché pensionato, ha questo potere. La condanna per oltraggio, implicando il giudizio in altra sede, ha però consentito a Seale di sfilarsi dal processo.
“Il giudice Julius Hoffmann, caricando gli imputati e gli avvocati di 175 casi di oltraggio alla corte, ha offerto pure a loro una via per l’assoluzione in appello. Molto sportivo. Ma bisogna dire che tutti si sono divertiti, eccetto le quattro giurate innocentiste, soffocate dalla responsabilità: Seale naturalmente, Hoffmann, che si spogliava e mandava bacetti alla giuria, dichiarando al suo omonimo giudice: “Non ho cognome, vostro onore, l’ho perduto”, Rennie Davis che ha ordinato una torta in aula per il compleanno di Seale, e quando è stata sequestrata ha protestato: “Hanno arrestato la Torta”, Tom Hayden che salutava col pugno chiuso, il pacifista quacchero Dave Dellinger, condannato per i ritardi al gabinetto, che ha potuto chiosare: “Prima avete voluto che facessimo i bravi tedeschi e non parlassimo dei mali del paese, ora volete che facciamo i bravi ebrei e andiamo in silenzio al macello”. Una giustizia che ha sfruttato il più grande processo politico nella storia Usa per denudarsi a sua volta”.

C come corruzione

Doveva servire il centro di Roma e invece serve, servirà, una periferia. Doveva essere automatizzata, driverless, e invece non lo sarà. Doveva costare 2,4 miliardi e invece ne costerà il doppio. Doveva essere trasparente e invece ha generato cinquemila subappalti, incontrollabili e incontrollati - soprattutto del partito degli ingegneri e architetti. Con un uso ora documentato di cemento scadente. Doveva essere completata nel 2007.
Non è tutto. L’opera più costosa d’Europa poteva essere realizzata in project financing negli anni 1990, cioè gratis. La vera linea C, l’anello al centro di Roma, che avrebbe liberato la città dal traffico. Non l’attuale, che è l’ennesimo progetto che fa comodo ai costruttori-immobiliaristi: una freccia verso un quadrante extraurbano per valorizzare aree costruite o da costruire. L’avrebbe realizzata il consorzio francese costruttore della metro ad alta profondità di Lille, in cambio di  una concessione trentennale.
L’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, 1995-96, Nicola Scalzini, con delega per le aree urbane – Roma Capitale e Giubileo 2000 - pensò a una grande occasione. Ma si scontrò col silenzio del committente, la Giunta Rutelli, cioè col rifiuto. Col rifiuto cioè di Geronzi (Banca di Roma) e Bettini (il futuro creatore del Pd), i veri assi della giunta, della Grande Bonaccia destra-sinistra, degli appalti equamente divisi per tutti. Scalzini, un economista con molte pezze d’appoggio, è tuttora attivo, ma nessuno sente il bisogno di farlo parlare: le cronache romane sono solerti, ma con juicio.
La metro C di Roma è caposaldo della corruzione in affari anche per altro aspetto, la tecnica spartitoria. Da allora nessuno ha più sentito parlare dell’obbligo per i grandi lavori di un’asta aperta a tutti i costruttori europei. Alle aste dei grandi lavori, anzi, si presenta un solo concorrente: la spartizione si fa prima.

Il calcio scommessa


Si può dissestare una squadra che ha vinto sei o sette campionati di fila, e finali e semifinali di Champions League, senza grandi talenti ma con vero spirito di corpo, per un calciatore solo, Cristiano Ronaldo, una macchina da gol e da soldi, ma nell’alveo privilegiato del Real Madrid?  Si può, la Juventus lo ha fatto.
È una primizia, nessuno ha finora distrutto una squadra, ancorché forte ed equilibrata, per un uomo solo al comando, e quindi bisogna aspettare per vederne l’esito. Ma gli equilibri finanziari che l’Asso Unico dovrebbe migliorare intanto peggiorano. Il club torinese ha dovuto cedere Higuain, il suo precedente acquisto eccellente, con una minusvalenza sui sessanta milioni, la parte dell’acquisto ancora da ammortizzare. Una minusvalenza mascherata contabilmente con un finto prestito, ma che fra un anno emergerà. Un finto prestito che le è pure costato la cessione del difensore giovane più promettente in cambio di uno di 31 anni, rissoso, poco amato dalla squadra, che solo un anno fa aveva abbandonato polemico.    
Con Higuain lo stesso club ha dovuto cedere\comprare mezza squadra, avendo Ronaldo rotto gli equilibri atletici. Con Ronaldo ha rotto anche gli equilibri economici interni alla squadra – ingaggi e premi. Ha rafforzato Milan e Inter (cui ha ceduto altre “vecchie glorie”, apprezzatissime). Che avrà competitori in aggiunta a Roma e Napoli - e alla Lazio che si è rafforzata in difesa. E si è presi tutti i costi dell’operazione Ronaldo mentre gli altri club se ne prendono i benefici: più biglietti e più abbonamenti per i club e le tv.
Il calcio, giocare per vincere, può essere solo una macchina da soldi? Una enorme sala giochi? È dubbio, qualcuno altro l’avrebbe già inventato.  
Resta anche da vedere quanto vale Cristiano Ronaldo senza l’ultimo Real Madrid, cioè senza Collina.

Castelli in Spagna

Cacciano infine Collina dalla designazione degli arbitri europei? No, se ne va lui per motivi personali, naturalmente. Dopo la cavacata regale degli arbitri pro Real Madrid nella fase finale della Champions League. Il turco affidabile per ben due partite del Real quasi di seguito. Come il giovanotto inglese promosso, riconoscente, a Real Madrid-Juventus. O l’innominato sloveno Skomina di Roma-Liverpool - il Real Madrid non voleva la Roma in finale, meglio il Liverpool, al quale bastava azzoppare Salah, come è stato fatto. O il formidabile serbo Mazic di Real Madrid-Liverpool – ai madridisti mancava il bazooka.
Tutti arbitri poi proposti da Collina per il Mondiale di Russia – eccetto l’incredibile Oliver. Collina è un vero capo per i suoi. Ma la Fifa li relegati con cura a partite da poco.
La cavalcata del Real Madrid dai quarti di finale, certo, meritava ben altro per Collina, altro cioè che un castello in Spagna. Si sa che Florentino Perez, il padrone del Real, è grande immobiliarista,  grandissimo, e prodigo. Di suo privilegia gli atleti tesserati con residenze di sogno, ma molti castelli in Spagna, il vecchio sogno degli europei, sa esaudire attraverso mille immobiliari. Oppure, ora he l’immobiliare non tira più, il castello in Spagna ha perso fascino? La prossima Champions lo dirà.

L’Autore è perfido

L’amicizia è indistruttibile, anche se tradita?  È la morale del racconto del titolo. Che però non è un’apologia dell’amicizia, ma una satira sorniona – di due scrittori “amici per la pelle”, checché ciò voglia dire. Un libro viene riscritto, ma non al modo giocoso di Borges o Calvino, per dispetto, per defraudare un amico.
Il secondo pezzo è una riflessione sull’io. Accesa dai selfie ciechi delle torme di turisti in piazza san Marco a Venezia. Che si penserebbe sorniona anch’essa ma è amara. Dello scrittore condannato all’“indiretto libero”, il discorso o modo di narrazione flaubertiano – ma già di Jane Austen, assicura McEwan. Al modo narrativo invalso da un secolo e mezzo, dell’autore onnisciente che si traveste da terza persona, faticosamente. “Nella sua prima maturità il romanzo inglese si compiacque di apparire «reale»”, nota McEwan, di fare cronaca, di avere trovato un diario, un epistolario, un documento, eccetera. Ma poi non prende partito.  
Ian McEwan, Il mio romanzo viola profumato, Einaudi, pp. 55 € 5

giovedì 2 agosto 2018

Letture - 353

letterautore


Autostrade – Oggi desueto, in favore di autoroute, è stato fino ai primi anni 1970 il nome francese per “autostrada”. Derivato dall’italiano, dalle prime autostrade, Roma-Ostia, Firenze-Mare.

Céline – Sul “Venerdì di Repubblica” Massimo Raffaeli affianca a Céline Roger Poulet, lo scrittore belga “contro”, di cui si traduce  ora “Contro la gioventù”, ma autore anche di un “Contro l’amore”, “Contro la plebe”, “Contro l’automobile”. Che dice “ferreamente reazionario”, quale s proclamava in effetti, “nemico giurato della modernità”. e collaborazionista, cinico, misantropo. Ma Céline era r reazionario, collaborazionista, cinico e misantropo? Il fatto – il problema Céline - è che non lo è. Un po’ misantropo da ultimo, ma contro il suo genio – peraltro scriveva moltissimo e parlava con chiunque andasse a trovarlo, molto.

Colonialismo – Si esercitò al caldo, al  tropico, ma fu freddo. Chesterston, “L’uomo che sapeva troppo”, ha “il tipico paradosso degli inglesi in Africa, la cui gelida freddezza pare incrementata dal grande caldo”.  

Dante – Ci sono le Malebolge  anche in “Sotto il vulcano”, il giorno del giudizio di una vita etilica. Ma senza crediti, la parola è usata da lessico inglese.
Le Malebolge ricorrono nel romanzo come destinazione meritata dal giornalisti. E corrispondono a un sito fuori Cuernavaca in Messico, detto barranca, un burrone stretto che taglia il paesaggio.

Due culture – La medaglia Field (“il Nobel della matematica”) al giovane Alessio Figalli, allievo di un liceo classico, nemmeno dei più rinomati di Roma, mostra che le “due culture” nascono da un complesso d’inferiorità dei tecnologi. L’umanista non teme e non avversa le scienze. Marchionne era di formazione filosofo, poi specializzato in economia e diritto.

Figalli smentisce anche il Berlinguer dell’Istruzione, e l’apparato di vandali che ha lasciato vent’anni fa. Che hanno demolito l’università e i licei e ora si occupano di ridurre all’ignoranza la scuola dell’obbligo. Tecnici che vogliono “americanizzare” la scuola, non sapendo l’inglese. 

Garibaldi – “Dalla Grecia fino alla cattolica Spagna, dalla libera America fino alla serva Russia, il nome di Garibaldi era una parola sacra, un sinonimo di libertà. Perché dunque oggi, quando una miseria così grande opprime il popolo italiano, questo nome non ricorre più sulle labbra, perché siamo costretti a riconoscere che si è persa la fede in lui e a ricordare con dolore che le sue effigi sono state infrante dalla furia popolare nell’eroica Sicilia?” (Mikhail Bakunin-Alberto Tucci, “La situazione”). Questo non lo sapevamo. Oggi, nel 1868.

Indiretto libero – Turbava Pasolini, per la difficoltà tecnica. Ma suona anche falso. Il “discorso” che è stato detto di Flaubert, del’io-narratore che si esprime in terza persona, come se ricostituisse, analizzasse, interpretasse detti e fatti della realtà, da osservatore imparziale, scientifico (deduttivo), professorale.
Nato come tecnica più onesta, è invece faticoso, a meno dei rari casi d’immedesimazione. Agli inizi del romanzo, e anche nell’Ottocento, fino a Manzoni, l’autore si riconosceva narratore, per un documento ritrovato, o anche senza riferimento – vi racconto una storia. Senza fingere un realismo di programma: la verosimiglianza non è più onesta, solo più faticosa.

Miramare - Il castello triestino è stato fatale a molti di quelli che lo hanno abitato. La principessa Sissi. L’arciduca Massimiliano e l’amata consorte, Carlotta.

Nomi – Odifreddi alla Versiliana diventa Oddifreddi per il titolista della “Nazione”. Un anglicismo involontario rivelatore: gli odds – probabilità - freddi.

“Ho 74 anni, Speiser è il nome del mio ex marito. Ci siamo sposati quando avevo 19 anni e abbiamo divorziato due anni dopo”, dice Jane Rose S peiser, imprenditrice immobiliare molto attiva, tra l’innovativo e il sociale, oggi impegnata nell0entroterra ligure, a Pornassio, dove ha comprato un quartiere, e a Genova. Una vita con un nome odioso, di cuna beve convivenza, probabilmente litigiosa. Il nome ci identifica? L’apaprtenenzam la famiglia, l’identittà?

Saggio – Viene meglio ai poeti. Il saggio letterario, la critica: è l’acuta conclusione di Alessandro Piperno su “La Lettura”, che ne elenca un’infilata mozzafiato: Coleridge, Leopardi, Baudelaire, Valéry, Eliot, Yeats, Brodskij, Bonnefoy, “solo per citare i primi che mi vengono in mente” – ma anche Montale, Mandel’štam, Pound…. Mentre i saggisti di professione, i critici, sono poco “critici” – aperti, mobili, inventivi.
I migliori del Novecento Piperno li elenca come monomaniaci, ripetitivi: Praz, Debenedetti, Macchia, Manganeli, “per dire quelli che conosco meglio”. E Croce, Cecchi - Croce si salva come storico dilettante, ottimo dissotterratore e narratore di personaggi e eventi trascurati, e come filosofo (sic!).

Scrivere – “Con il mio primo romanzo ho imparato che scrivere libri è molto più facile che venderli”, John Grisham, in nota a “Il caso Fitzgerald”.

letterautore@antiit.eu

L’ora dello zingaro

È agosto, l’afa è record, 43° gradi ai bollettini artificiali, ma al Municipio XII di Roma siamo in molti. Anzi, più del solito. In attesa di fare un certificato, dopo esserci prenotati per tempo, un  mese, due mesi fa, per il giorno e l’ora precisi, come ora vuole il galateo del dipendente pubblico.
Molte sono le mamme, con bambini di pochi mesi. Mai visti in un’anticamera pubblica tante mamme con bambini. Un avviso prevede uno spazio apposito per le madri che allattano: il morbo dei “documenta” si è allargato agli infanti?
Le chiamate vanno avanti, ma solo per alcune pratiche, di cui si chiamano le prenotazioni con  anticipi di mezzora, un’ora. Che non bastano a smaltire la piccola folla. Forse non grande, ma abbastanza per cancellare l’effetto aria a circolazione forzata. Di cui l’osservazione dura, un piccolo impiego del tempo, poiché il nostro tipo di documento richiede evidentemente tempi lunghi. Ma, poi, con un’ora di ritardo sul previsto, la chiamata arriva.
Bisogna in effetti scrivere molto. Sotto dettatura, una intera pagina. Formule di rito, ma vanno scritte a penna, chiare, a stampatello. Sono formule d rito e la cosa procede. Finché un o zingaro robusto non irrompe nel piccolo separé. Sono le 11.40 e lui vuole essere servito – è l’orario segnato nel suo buono di prenotazione. Gli viene spiegato che questo non è il posto per il suo documento, e che deve aspettare finché non sarà chiamato dal quadrante luminoso. Non capisce, o non vuole. Mostra la prenotazione per le 11.40, e vorrebbe sedersi. Impaccio. Gli viene detto di andare all’Informazione, dove gli spiegheranno. Ma non se ne va: dice qualcosa nella sua lingua, sempre rude, e vuole essere servito.
C’è una sosta, le due impiegate dell’ufficietto, ognuna già impegnata, non sanno che fare. Insistono, si alzano, gli indicano le Informazioni all’ingresso, e niente. Lo zingaro non demorde e anzi si siede in una delle sedie liberate. Pensieri salviniani emergono, che uno vorrebbe scacciare. Che non se lo sarebbe permesso in Svizzera. O in Inghilterra – in Inghilterra la polizia è disarmata ma ha maniere brusche. Sicuramente no, nemmeno in Grecia si è mai visto una tale prepotenza, non sono Roma, non si fa “come a Roma fanno i romani”, come dicono gli inglesi – a baccagliare direbbe un siciliano.
Finché la moglie, una donna che lo segue muta, non rompe l’imbarazzo. Ha visto liberarsi il separé adiacente e mugolando incomprensibile ci trascina l’omone. Che viene servito. 


Marchionne straniero in patria

Non una biografia ma una serie di problemi. Risolti o da risolvere. Tra questi, soprattutto la “debolezza tecnologica” del gruppo Fca. Che però, Bricco avrebbe dovuto dirlo, Marchionne lascia in assetto più equilibrato (patrimonio, redditività) anche in rispetto a Volkswagen e Toyota, le prime del settore.
Un ripasso brillante. Ma di ciò che sappiamo. L’ascesa di Marchionne da Signor Nessuno a Manager Geniale. E il balzo della Fiat dal fallimento alla conquista dell’America. Da acquisto ancillare della General Motors ad acquirente della stessa – quella di cui si diceva “l’interesse della General Motors è l’interesse dell’America”. 
Marchionne è di più anche come persona: L’ennesimo manager di formazione umanistica, che dà dei punti ai politecnici. E un abruzzese che governa il mondo - Marchionne è nato e si è formato in Abruzzo, è emigrato a 14 anni. Un signore del mercato che aveva una msura umana delle cose – per esempio il rispetto del lavoro. Anche il capitolo finale, “Il manager apolide”, è generico – sui riassetti del “capitalismo familiare”.
Marchionne straniero in patria sarebbe stato tema migliore. In Italia, dove è nato e cresciuto. Al vertice della Fiat negli ultimi quindici anni non da abruzzese ma da canadese, trapiantato in Svizzera, dove faceva il contabile, per liquidare il gruppo.
Paolo Bricco, Marchionne lo straniero, Rizzoli-Corriere della sera, pp. , ril. € 13,50

mercoledì 1 agosto 2018

Recessione – 70

L’Italia è proprio fuori della recessione?
I disoccupati sono il doppio rispetto ai livelli registrati nel 2007.

La disoccupazione è tornata a crescere a giugno, dopo tre mesi di calo.

La nuova occupazione è prevalentemente precaria: tra aprile e giugno più 123 mila contratti a termine – 394 mila in più rispetto all’analogo trimestre 2017.

Record storico a fine giugno di occupazioni a termine: 3 milioni 105 mila.

I posti di lavoro permanenti si sono contratti nei dodici emsi di 83 mila unità.

L’Italia, sui titoli di Stato, paga un premio di rischio molto più alto di quelo del Portogallo, a metà tra Francia e Grecia.

I poveri ricchi italiani

Di che stiamo parlando quando parliamo di crisi, del debito, e della povertà crscente? Di un paese in cui la metà, poco meno, dei contribuenti, il 45 per cento, versa appena il 2,8 per cento dell’Irpef. La povertà, si dice. Lo dice perfino l’Istat di Giovannini e Alleva, molto comprensivi: le famiglie povere sono cinque milioni. A tre per famiglia sono quindici milioni di persone, a quattro venti: un italiano su tre.
Mentre si sa che l’Italia è il secondo mercato europeo dell’auto, dopo la Germania, nei segmenti D, E e F, da 1.800 cc. in su. Che ha la più alta diffusione pro capite di “dispositivi mobili”, telefonini. Che spende ogni anno 96 miliardi in giochi d’azzardo, il 14 per cento del reddito disponibile. Con 30 milioni di patiti, un italiano su due. Più altri 14 miliardi per unghie, piercing, tatuaggi. Più altri 14 per droghe. E 8 per maghi e cartomanti, con 13 milioni di utenti, un italiano, quasi, su quattro.
Ciò che è chiaro è che gli assetti fiscali, dalla riforma Visentini in poi, 1974, sono all’origine del debito e dell’insolvenza - dello Stato e delle banche, sottoscrittrici quasi obbligate del debito. Ina una spirale apparentemente senza fine, ma non se si pone mente alla data e all’origine del disastro – il debito nasce nel 1974.

Nuovo attacco sulle banche

Canis canem non est, cane non mangia cane. Ma se è una banca si. Il Credit Suisse, banca svizzera, concorente delle banche italiane nel Ticino e a Milano, valuta le banche italiane, Negativamente. Lo spread  sui Bot ha eroso il patrimonio delle banche italiane di quasi 3 miliardi, 2,8 per l’esattezza. Molto, poco? Abbastanza per “mangiarsi” l’effetto positivo della riduzione dei crediti incagliati. E da ridurre il Cet1, il parametro della patrimonializzazione. Non abbastanza da necessitare un aumento di capitale, ma insomma…
Lo spread a 230 punti, cento in più di due mesi fa, prima del governo gialloverde, è “la nuova normalità”. Ed è già tale da determinare un calo delle quotazioni di Btp in portafoglio di almeno 2,8 miliardi: “Stimiamo che nel secondo trimestre questo trend riduca il capitale tangibile del 4 per cento, e il Cet1 di 20 punti base, a livello di settore” – in media cioè, con qualche banca al di sopra, o peggio.  
Il lavoro di analisi è indipendente, si dice. Come no. Nel tempistica. Nella tipologia. Nella qualità del’analisi. E una delazione: un invito all’inflessibile Nouy, la vigilante della Bce, che alle banche italiane si dedica sempre con trasporto, per l’adeguamento dei coefficienti patrimoniali.

Quell’Italia subito tradita

“Grazie alla Carboneria, che si è sempre conformata ai bisogni e alle aspirazioni locali, è rinato un nuovo spirito nazionale, ora quasi completamente scomparso, e con esso un movimento e un’azione determinate e assai efficaci”. Ottima sintesi, del connotato principale della rivoluzione italiana, che aveva infiammato l’Europa. Ma era il 1866, e questo spirito era già sconfitto, dai suoi stessi prim’attori. Dopo Custoza e Lissa - “400 mila prodi” sconfitti da “150 mila stranieri” – “lasciando tra il Brenta e il Tagliamento altre terre italiane sotto il tallone dell’austriaco, insieme a 350 mila soldati”.
L’ultimo atto vergognoso di uno Stato nuovo già infausto per un numero incalcolabile di tasse e per le vessazioni. E la creazione, invece dell’unità, della questione meridionale. Bakunin lo sapeva già, parliamo di metà anni 1860. Due anni prima di Bakunin, sempre a Napoli, Dumas aveva quotidianamente lamentato la miseria in cui si precipitava il Sud e la camorra imperversante, nel tentativo vano di promuovere una politica efficace. “Bakunin tradurrà questa analisi in un progetto politico che riassume soprattutto in ‘Stato e Anarchia’”, rileva subito Lorenzo Pezzica, che questo Bakunin ha curato – “un contributo che Nello Rosselli nel suo ‘Mazzini e Bakunin’ non manca di rilevare”.
Quando Napoli pensava
Viaggio è improprio. Se non nella cronologia che Pezzica premette, quasi una vita di Bakunin, prima e dopo il lungo soggiorno in Italia. Sono raccolti cinque interventi di Bakunin sull’Italia. Due estratti da “Etatisme et anarchie”, 1873. Uno dei quali sancisce la divisione e lo scontro con Mazzini - dove c’è, in due parole, tutto: il “programma comunista-statalista di Marx”. Bakunin ha scritto di meglio - il lavoro di Pezzica è probabilmente la parte migliore. Ma il volume è una chicca per la storia dell’anarchia e del socialismo. Per il ruolo d Napoli, prevalente ancora nell’Italia unita. Per il revival di Bakunin, l’altra via del socialismo, libertario se non liberale, che Marx segò e perseguitò, come poi i marxisti-leninisti (i sovietici).
Bakunin visse in Italia a lungo, dal 1864 al 1867. E anche dopo, i contatti rimarranno costanti e intense, specie con Carlo Cafiero. Con i soldi si Cafiero si comprerà casa in Ticino, “La Baronale”. Nei primi anni 1870, isolato da Marx, può ancora contare su un seguito in Italia – cui destina nell’ottobre 1871 una “Circolare ai mei amici d’Italia”. La rottura è del 1868, al primo congresso della Prima Internazionale. Bakunin si orienterà definitivamente per per l’individuo contro il collettivismo. Traduce il “Capitale” in francese, ma Marx è spietato. Nel 1872 lo fa espellere, dopo averlo sommerso di calunnie e infamie. Intanto, Bakunin aveva rotto anche con Mazzini – la rivoluzione soprattutto divide.
Il viaggio in Itaia era cominciato il 10 gennaio 1864 con lettere commendatizie di Mazzini, fornite dall’esilio a Londra. Il 16 a Genova incontra Bertani. Il 19 è a Caprera, dove resta tre giorni. A Livorno fa visita a Guerrazzi ammalato. A Firenze si stabilisce durevolmente.  Con abbonamento al Vieusseux per leggere i giornali, e incontri con la numerosa comunità straniera, molti rifugiati politici. Da Firenze viaggia spesso, per tenere i contatti. In Svezia. A Londra, dove il 3 novembre 1864 riceva una visita di cortesia di Marx, i due non si vedevano dal 1848, per informarlo dell’avvenuta costituzione della Prima Internazionale. A Milano incontra Felice Cavallotti.
A giugno del 1865, dopo quasi un anno e mezzo, lascia Firenze per Napoli, dove a ottobre aveva conosciuto gli ambient libertari, partecipando all’XI congresso delle società operaie mazziniane. Per tre mesi riiederà a Sorrento, poi in città. Dove anima un nutrito gruppo di intellettuali rivoluzionari, collabora al gionale garibaldino “Il popolo d’Italia” (lettere che firma “un francese”), e infine, a febbraio del 1867, fonda con alcuni giovani napoletani il circolo Libertà e Giustizia. Che ad agosto darà anche vita a un giornale.
A Napoli è raggiunto per un periodo dal fratello Pavel con la famiglia – Pezzica illustra il volume, oltre che con fotografie, con gli schizzi napoletani di Natalya, la moglie di Pavel. Gli ultimo mesi Italian, da maggio ad agosto 1867, li passa a Ischia, a Lacco Ameno. Lascia Napoli per la Svizzera.
Su “Libertà e Giustizia”, poco prima di lasciare l’Italia, pubblica “La questione slava”, che poi gli sarà rimproverato, il primo scritto in cui si dichiara anarchico. Ma lascia i gruppi rivoluzionari napoletani fortemente motivati a partecipare ai lavori della Prima Internazionale, l’Associazione promossa da Marx. In Svizzera invece prende contatto con la costituenda Lega per la pace e la libertà, promotori Garibaldi, John Stuart Mill, Victor Hugo, Louis Blanc- Al cui primo Congresso tiene anche una relazione. Ma prende contatti pure con Nečaev, il terrorista russo autore del “Catechismo del rivoluzionario”. E comunque l’anatema di Marx arriva presto.
Quando Mikhail muore, l’1 luglio 1876, la moglie Antonia, 37 anni, si trasferisce a Napoli, dove sarà accudita, con le figlie, che vivranno poi tutta la loro vita nella capitale del Sud, e si risposa con Carlo Gambazzi. Giulia Sofia sposerà il famoso chirurgo Caccioppoli, e sarà madre del matematico, Renato. Maria, “Marussia”, farà carriera accademica, professoressa di Chimica, e avrà un ruolo rilevante quale organizzatrice culturale, collaborando con Croce – a Marussia Bakunin Napoli ha intestate un viale.
Michail Bakunin, Viaggio in Italia, Elèuthera, pp. 143, ill. € 12

martedì 31 luglio 2018

Il governo scuola

Aridatece i voucher. E i contratti brevi, a termine, stagionali. Chiamare un decreto dignità lo rende inespugnabile: sulle parole il grillismo è imbattibile, le centrali direttive e la massa – si convincono anche facile, convincono loro stessi. Sul fatto la loro dignità non piace a nessuno cui vogliono conferirla.
Loro vogliono limitarla agli studenti, i pensionati e i disoccupati.  Ma c’è chi ama arrotondare, o farsi una mezza occupazione flessibile. Le casalinghe, specie nel turismo e nei servizi. Molti dilettanti della domenica, nelle manifestazioni sportive o culturali. Ognuno vule essere libero.  In generale, il dirigismo non è una pista facile, anche con le buone parole.
E si arriva alla minaccia di non creare nessun posto di lavoro, se dopo pochi mesi deve diventare a vita. Che, entro limiti, non è un ricatto.
Abbiamo avuto i governi ponte, i governi balneari, i governi dei tecnici, ora c’è il governo scuola.  Ma gli autodidatti non hanno mai dato buoni rsultati.

Il leghista non è fascista

Il ministro dell’Interno gioca a flipper mentre infuria il razzismo. Con pistolettate, fucilate, pestaggi, bombe carta, fucili a pallini, fucili a piumini, bombe carta e oggetti contundenti per disprezzo. Sono i media invidiosi del capo della Lega in fulminante ascesa di consensi tra gli elettori. Ma pure lui.
Se la Lega è fascista è antica questione. Certo che non lo è. Il fascismo non c’è più. Da tempo, e c’è il leghismo. Che non è il fascismo, non marcia. E poi è lombarda, che c’entra.
Non  amria nemmeno contro i negri, nemmeno contro i mussulmani. Ma ne farebbe volentieri a meno, anche se a volte gli servono, in casa o inazienda. E quando può tira il colpo. Fiuta il momento, il leghista non  è stupido.

La mafia è delle donne


“The Women who took on the mafia” è il sottotitolo, le donne (di amfia) che si sono rivoltate, figlie e mogli. Un reportage romanzato, nello stile per cui Perry si è fatto un nome, ma con una tesi affascinante: la mafia finisce se le donne tagliano la catena – il cordone ombelicale, la riproduzione. Che si può estendere alle mamme: se le madri combattessero in qualche modo ls deriva violenta dei figli quando sono giovani, quando sono in casa – non i sono le madri nelle storie di amfia, neanche in questa, e questo è strano, è anche un danno.
II libro è il racconto di come la giudice Alessandra Cerreti, partendo dalla collaboarzione di Lea Garofalo, ha individuato e applicato questa pedagogia investigativa. C’è riuscita, in parte, con altre due ragazze. Che ha saputo anche proteggere – mentre questo non è stato fatto con Lea Garofalo, che anzi è stata, al solito, esposta. E soprattutto mantenerle convinte, fino a un certo punto, di avere fatto al scelta giusta: uscire dal branco è vivere una vita di tormenti psicologici, spesso nell’isolamento e l’ostilità da parte della famiglia. Non una grande casistica, sole tre storie, ma l’ipotesi regge il lungo racconto.
Su una tela di fondo poco veritiera, ma questo è il meno. La ‘ndrangheta si formò con l’unità in montagna, tra famiglie di pastori, questo è vero – e finalmente viene detto. È diventata la mafia più potente al mondo, questo è dubbio, ma è quelo che dicono i servizi segreti – dai tentacoli in “cinquanta paesi in giro per il mondo”. Il potere della ‘ndrangheta si fonda sulla finanziarizzazione delle attività criminali, che sembra eccessivo. E, come in antico, sull’omertà e la famiglia, su “un codice di silenzio imposto con una gerarchia familiare claustrofobica e una misoginia assassina”. E questo non è vero: non ci sono vedove ammazzate perché si sono fatte un amico. Né è vero che le ragazze sono sposate a teenager per politiche matrimoniali di clan. No: le ragazze sono parte attiva del clan, altrimenti non sposano lo ‘ndranghetista professionale, ancorché teenager.
Perry non descrive le case, le parlate, gli abbigliamenti, gli odori, gli sguardi dei mafiosi, tutto quello che confluisce nelle bombe e gli assassinii. E questo non si può pretendere da lui, dalla sua rapida inchiesta. Giornalista americano anglicizzato, col fiuto per gli eventi di cronaca, Perry fa un libro l’anno, sul tema del momento, Boko Haram, Jihad, Tony Blair, George Clooney, Scozia indipendente, etc.: la sua biografia dice che negli ultimi venti anni ha vissuto in Asia e in Africa, “scrivendo di oltre 100 paesi e coprendo oltre 30 conflitti come corrispondente di guerra”
Ma tende a suonare troppo le trombe, stile “Gomorra”, il libro e la serie. Le case dei Pesce a Rosarno, ambienti degradati di un paese degradatissimo, descrive come nei verbali di polizia giudiziaria: ville, comfort, tecnologie. Il solito monumento, e non è il solo. Si capisce che la giudice Cerreti a un certo punto abbia chiuso la saracinesca. Ma il punto non è male, e potrebbe essere risolutivo.
Il primo capitolo è proprio un calco di Saviano, “Gomorra”. Anzi un remake. Da narratore di migliore vena. E con una punta di onestà: dichiara subito che il libro nasce dalla collaborazione con la giudice Alessandra Cerreti, l’ex giudice del lavoro poi collaboratrice di Pignatone, quindi del “tutto mafia”, a Reggio Calabria e a Roma. Ne virgoletta pignolo i pareri. Fino a fare con precisione le parti: “Abbiamo parlato per sette ore, nel 2015 e nel 2016. Cerreti alla fine ha rifiutato altri incontri”.
A Reggio Calabria la giudice Cerreti “ha gestito”, dice il suo curriculum,  la collaborazione della prima donna di’ndrangheta’ PESCE Giuseppina, figlia del boss PESCE Salvatore”. Che è andata bene – Perry rappresenta Giusy Pesce come una donna determinata, anche nei ripensamenti. E “ha gestito, insieme al collega dott. Giovanni Musarò, la collaborazione con la A.G. di CACCIOLA Maria Concetta”. Che è invece andata male – Perry rappresenta Cacciola, di cui non dà il nome proprio (Concetta non piace?), come una giovane bella e sognatrice, mal sposata per ragioni di ‘ndrangheta, che infine non regge alla tensione.
Il libro parte con la storia terribile di Lea Garofalo - un romanzo se non fosse una storia criminale, di tanti crimini l’uno dietro l’altro. Ma subito allarga l’obiettivo – Perry sa come catturare il lettore - alla ‘ndrangheta mafia mondiale.
Alex Perry, The Good Mothers, HarperCollins, pp. 320, ril., €16,86

lunedì 30 luglio 2018

Problemi di base salvi(ni)fici - 436

spock

Se un assassino chiede se la vittima che lui rincorre, e noi proteggiamo, è a casa nostra, non bisogna dire una bugia neppure in questo caso, come pare sostenga sant’Agostino prima di Kant?

E se l’assassino è nero?

E non si fa torto all’umanità facendo perire un innocente?

E poi: non è meglio dire una bugia se evita la guerra, vecchio fondamento della diplomazia?

“Dire la verità è pericoloso e sconsigliabile in diplomazia?” (U.Eco, “Sulle spalle dei giganti”)?

E nell’arte di governo, da Cesare a Salvini?

E non della diplomazia come arte della ragione?

Un mondo di Salvini sarebbe possibile?

spock@antiit.eu