La curva della Juventus viene
regolarmente squalificata quando a Torino gioca il Napoli, per insulti
razzisti, ai napoletani e agli africani che giocano nel Napoli. Una curva dove
s’immaginano numerosi i tifosi juventini immigrati a Torino dal Sud, o i loro
figli.
Si vede da qualche anno su Rai Uno e al
cinema una Napoli tutta lindura e ricchezza - “Pizzofalcone”, “Non dirlo al mio
capo”, perfino “Gomorra”, Ozpetek, Costanzo... Ricchezza, eleganza, ordine,
efficienza, parcheggio facile. Si gira con i fondi della Regione Campania? Perché la
cronaca è di violenza. Non solo tra camorristi e spacciatori. Si assalta il
centravanti Milik – dopo Higuain – a mano armata, mentre è in compagnia della
fidanzata, la notte della “storica” vittoria del Napoli sul Liverpool.
Un ragazzo è stato ucciso in agosto a Diamante,
all’uscita dalla discoteca, a coltellate, da coetanei. Un caso frequente a Roma, effetto della birra
e delle droghe, ma anomalo nella cittadina calabrese, dove ha fatto e fa scalpore.
Anche perché degli aggressori, più di uno, uno solo è stato individuato –
forse. La notte era affollata, ma non ci sono testimoni. Non per omertà – Diamante
in estate è dei turisti, napoletani o di altre provenienze.
Il sito francoabruzzo.it, che ha preso a cuore il caso, diffonde da settimane
il messaggio: “Tanti hanno assistito alla sequenza di gesti folli di quella
notte di sangue, preferendo però il ruolo di spettatori mascherati dietro un
cellulare, per riprendere le macabre scene”, piuttosto che intervenire o
chiamare i Carabinieri.
Tutto arriva al Sud nel suo aspetto
peggiore, anche il divertimento.
Basilico
a Milano
Si posta a Milano il “meraviglioso oro d’autunno”, coloristico, coltri di
foglie dorate sul fondo giallo-verde dei tram. Non c’era
occhio per questo sessant’anni fa. “Da noi, nel Sud, non vi è casa, per quanto
tana orribile sia (e ve ne sono anche di una semplicità e purezza meravigliose,
greche), che non abbia alla finestra la sua piantina, rosa o garofano, geranio,
gelsomino, e, se non altro, almeno l’arguto e casalingo rosmarino, la ruta o il
basilico”. Cosi sentiva il bisogno di scrivere nel 1950 Anna Maria Ortese, a disagio
a Milano, dove si era trasferita da due anni per lavoro – curava la posta de
“l’Unità” edizione milanese, “La posta di Anna Maria”. A Milano questo
non c’era e le mancava. Non c’era di fatto e neanche se ne parlava: “Fa una
dolorosa impressione a chi venga dal Sud, e comunque da luoghi dove gli uomini
spesso s’identificano con le pietre, le montagne, i fiori, non sentire mai,
dico mai, parlare delle cose che
erano prima che sorgessero queste
grandi città da esse nascessero questi uomini: voglio dire il sole, le
piante, gli animali”.
Lo scriveva per pubblicazioni milanesi:
il testo (ora in “Le Piccole Persone”) fu pubblicato da “Risorgimento”, 30
marzo 1950, e da “Milano-Sera”, 12-13 aprile 1950. Ma senza suscitare echi.
L’unità avrà fatto bene a Milano, insieme con l’immigrazione dal Sud un secolo dopo: la città ha scoperto
l’insalata, oltre ai fiori al davanzale. Prima non c’era sensibilità, lamentava
Ortese: “Certamente, anche qui cresceranno queste piante”, scriveva dei fiori
in vaso, “insieme ad altre più importanti o graziose, però non se ne parla, non
ve n’è cenno nelle parole degli uomini e delle donne; e dubito fortemente che,
nelle loro menti, esse non abbiano una parte piuttosto priva d’interesse;
inferiore sempre a quella che avrebbe un comodo mobile o una perfetta
ghiacciaia, un forno elettrico”.
I milanesi, e le milanesi, Ortese
inseguiva anche in vacanza. E con loro gli “innumerevoli” che “se ne aggiungono
ogni anno dalle molte province d’Italia”, per “adoperare (in vacanza) l’inutile
che hanno raggiunto”: “In montagna, al mare, sui laghi o in altri bellissimi
luoghi dove corrono, essi non si spogliano affatto di quel loro lucido e quasi
impermeabile costume cittadino; non è che vadano a meravigliarsi nella luce dei
venti, delle acque, delle morbide nevi. Si rifugiano in alberghi «perfettamente
attrezzati»”, etc. etc.
Il
mercato mafioso è all’obitorio
Pasquale Di Filippo, mafioso pentito, da
ormai 23 anni, si querela contro la Rai per essersi trovato, sotto un fermo immagine dello sceneggiato “Il cacciatore”,
in una didascalia che lo dice autore di “oltre venti omicidi”, torturatore, uno
dei sequestratori del piccolo Di Matteo, sciolto nell’acido. Tutte falsità, assicura
Di Filippo a a Salvo Palazzolo, su “la Repubblica”, professandosi colpevole “solo”
di quattro omicidi.
Ma l’errore degli sceneggiatori non è di
Alfonso Sabella, il giudice che “Il cacciatore” illustra – il titolo del serial
è derivato dal libro di Sabella dieci anni fa, “Cacciatore di mafiosi”? Sabella
non ha il milione che Di Filippo vuole come risarcimento?.
Di Filippo racconta a Palazzolo di
un altro killer filosofo, che confessava quaranta omicidi. Il celebre pentito Spatuzza
ne ha confessati cento. Tutti di mafiosi. A parte il centinaio di vittime eccellenti
della stagione delle stragi di Riina, contro i giudici, i giornalisti, i
carabinieri e i poliziotti non collusi, e qualche sacerdote, don Puglisi, la
mafia è un mercato del crimine, in cui ogni banda fronteggia anzitutto bande
concorrenti. Le vittime le attacca sul piano economico, rari gli assassinii. Un
mondo asfittico, di cui non è impossibile fare pulizia, e non sarebbe neanche
difficile.
La
mafia istituzionale
A Roma la raccolta differenziata avviata
nel 2014 ha funzionato, sui cassonetti, in strada: umido, indifferenziata,
carta, vetro, plastica. Affidata per concorso alla 29 giugno, la cooperativa di
ex carcerati creata dalla sinistra del Pci (Chiara Ingrao, Luigi Mancni e
altri) di cui era da tempo animatore Buzzi, egli stesso ex carcerato. Condannato
Buzzi per mafia, la 29 giugno non viene pagata dall’Ama, la municipalizzata di
Roma per la nettezza urbana. La 29 giugno come tanti imprenditori privati, per esempio
la grande impresa di costruzioni Astaldi, che non vengono pagate dal committente
“Stato”, e vanno al fallimento. Dov’è la mafia?
La raccolta differenziata di Roma viene
affidata alle quattro organizzazioni che Buzzi ha battuto nel 2014. Le stesse
che lo hanno denunciato e fatto condannare per mafia. Mentre creavano e
diffondevano foto di maiali in strada, e topi nei cassonetti. Sui media
compiacenti. Le quali non raccolgono niente, se non episodicamente, oggi una
strada, domani un prodotto. Cassonetti della carta e dei cartoni non sono stati
svuotati per tre mesi. L’indifferenziata si svuota a settimane alterne. Senza che nessuna foto o reportage sui cassonetti
traboccanti di sporcizia venga più sui media. Dov’è la mafia?
Astaldi non è la sola impresa fallita
per le inadempienze del committente pubblico. Soprattutto fra le piccole imprese,
quelle che lavoravano alle opere pubbliche da tempo hanno dovuto in larga parte
chiudere l’attività o riqualificarsi, perché non più in grado di lavorare. Il
governo Renzi ha annunciato la liquidazione delle pendenze, due e tre anni di
arretrati, ma a nessun effetto, si vede. Chiude l’attività chi non ha pagato il
pizzo – non quello giusto? Continua chi paga, magari proteggendosi con denunce di
mafia.
La
Lombardia era povera
“Il
mio cattolicesimo sociale, la cascina e i contadini analfabeti” è il titolo di
una pagina di Paolo Bricco con Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione
Cariplo, sul “Sole 24 Ore” domenica. Sommario: “Vivevamo come nell’Albero degli
Zoccoli. Le radici della lotta alla povertà della Fondazione Cariplo sono in
questo mondo manzoniano”.
Guzzetti è del 1934, quindi parla del
dopoguerra. Di questo dopoguerra. Esponente politico Dc, della corrente di
Base, presidente della Regione Lombardia per due mandati, 1979-1987, senatore
per due mandati, 1987-1992. Presiede la Fondazione della ex Cassa di Risparmio delle
Province Lombarde, poi confluita in Intesa, che da sola, nella lunga gestione
di Giordano Dell’Amore, altro vecchio Dc, economista, in un quarto di secolo,
dal 1955, finanziò e irrobustì ben 350 mila imprese. Un radicamento che la
Fondazione continua: “Ci fidiamo di chi propone idee, non senza verifiche e
controlli rigorosi sui progetti. Alla Fondazione spetta saper fare delle
scelte. Più di 30 mila progetti, un impegno di oltre 3 miliardi. Un gran lavoro”.
Non ci sono misteri nei miracoli, non in
quelli economici: giusto intelligenza e applicazione. Negli stessi anni il Sud
ha perso quanto reddito? E quanto patrimonio, in capitali e in conoscenze? Pur
essendo molto più favorito dalla natura della Lombardia profonda, che è semipaludosa e continentale, chiusa.
“A Saronno”, ricorda Guzzetti dell’infanzia,
“c’erano il santuario della Madonna, i mercati delle stoffe e il boario. Il
mediatore avvicinava i prezzi e le mani di chi vendeva e di chi comprava. Quando
riusciva a far sovrapporre le mani dei due, l’accordo era siglato. Il codice
d’onore era fondato sulla parola data. Io vengo da lì”. E alla Fondazione non
cancella e non abbatte, costruisce sul costruito. A Bricco prospettando come nuova, nel
progetto Housing Sociale, la cascina: “Le grandi cascine della Pianura Padana.
In ognuna decine di famiglie. Le stalle. I portici per i carri. L’osteria.
Qualche volta la chiesa”. Modernità non è distruggere.
“La vita era come nell’Albero degli
Zoccoli di Olmi. Da bambino ho visto i preti difendere i contadini
analfabeti”. I preti hanno un ruolo in Lombardia – analogo a quello che i
socialisti e i comunisti hanno avuto in Emilia-Romagna: “I preti inventarono le
mutue sanitarie, le cooperative di consumo per far credito ai contadini tra un
raccolto e l’altro e anche la cooperativa della vacca morta. La mucca era
importantissima, per un contadino. Forniva il latte, il burro, i vitelli. Se
una mucca moriva, era un dramma. Se era commestibile la cooperativa organizzava
la sua vendita. Ogni famiglia si impegnava ad acquistare una porzione,
impacchettata in carta gialla. La pelle era venduta. Il ricavato era per vivere
e per comprare una nuova mucca”.
Guzzetti spiega il miracolo con la
Provvidenza: “La Provvidenza, dottor Bricco. La c’è la Provvidenza! Di
manzoniana memoria”. Ma più che il prete, o il commissario politico, conta saperci
fare.
leuzzi@antiit.eu