Ateismo – “Ad essere ateo non si
richiede scienza”, Casanova, “Lana caprina”, 37 – “e però non è difficile che
uno spensierato si appigli a divenirlo”.
Dante – Era tedesco anche per Stewart
Houston Chamberlain, l’inglesotto che si fece famoso in Germania quale teorico
del razzismo – contro gli ebrei ma poi contro tutti. Dante Chamberlain voleva
tedesco per salvarlo dalla condanna degli Italiani, che faceva radicale. I Comuni e il Rinascimento erano opera dei Germani, e
dunque Dante era germanico, non poteva essere altrimenti. L’Italia era stata
salvata dalle tribù tedesche. Quando queste decaddero, le loro virtù
annacquando nella palude italiana, l’Italia precipitò nella barbarie: violenta,
ignorante, povera, e anzi sudicia, miserabile. Tra menzogna e miseria. Gli
italiani senza l’apporto germanico erano solo una mescolanza, di geni
inferiori. I popoli ctoni della penisola, gi schiavi africani e asiatici a
carico dei quali avevano vissuto per secoli, durante l’impero – che nel suo
zoccolo duro era germanico – e delle colonie militari assoldate nella aree più
riposte d’Europa, Asia e Africa.
Emigrazione – Quella intellettuale va sempre
a Est. Degli americani, del Nord e del Sud, verso l’Europa, Parigi, Londra, la
Spagna, anche l’Italia. E degli europei, non molti, Hesse, Terzani e pochi
altri, e americani – Ginsberg, Kerouac - verso l’Oriente che si crede mistico.
Con un solo movimento inverso. Degli ebrei orientali, europeo-orientali, verso
l’Ovest, specie verso gli Usa, molti di immigrazione recente, di prima o seconda
generazione: Singer, Below, Malamud, Woody Allen, Paul Aster.
Dell’emigrazione non volontaria, però,
prevale il movimento inverso. Un nutrito gruppo di scrittori africani e
mediorientali ha scelto l’Italia – dopo il francese e l’inglese. Dopo una scelta di vita, per fuggire condizioni
difficili. Più cospicua e più radicata è la comunità letteraria americana di immigrazione
forzata, per bisogno o con la violenza. Gli afroamericani, a partire da fine
Ottocento, da Booker T. Washington, W.E.DiBois,
Marcus Garvey, e i tanti fino a Baldwin e Toni Morrison. Asiatici – Jumpha
Lahiri è la sola che ha invertito il movimento, stabilendosi dagli Usa a Roma. Qualche italiano, Di Donato, Fante, De Lillo, Talese.
Esilio – È la condizione di molti
scrittori americani, ancorché volontario. Senza cioè essere una condanna. Né un
limite, anzi è una forma, o un mezzo, di maturazione, una sorta di “via dell’Europa”
come un ritorno alle origini. Un esilio volontario, e come un ritorno a casa. Si
illustra con Henry James. E poi, nel primo Novecento, specie tra le due guerre,
con una fiumana: T.S.Eliot, Pound, Hemingway, Fitzgerald, la lista è
interminabile.
Giappone – Ha avuto anch’esso un
momento di gloria nell’opera, a fine
Ottocento, come tematiche e fondali, parte dell’esotismo asiatico che tanta
opera lirica ha innescato. Non nella misura mediorientale, largamente
prevalente
ma consistente: “La Princesse Jaune”,
Saint-Saëns, 1872, “The Mikado of the Town of Titipu”, Gilbert & Sullivan,
1885, “Madame Chrysanthème”, André Messager, 1893, “The Geisha”, Sidney Jones,
1896. Fino a “Iris” di Mascagni, 1898, al Costanzi di Roma, e a “Madame
Butterfly”, di
David Belasco, era stata rappresentata a Londra nel 1900, a cui Puccini aveva assistito,
ma era opera di teatro.
Materialismo – “E siamo sfortunatamente in
un secolo che il soverchio si presta a ogni occasione pronto a piegare al materialismo,
e tal questione ne pute talmente che à moins
de n’être ferré en glace: «Molto facile è il dare in ciampanelle”. A meno
di non essere “fatto di ghiaccio”.
Casanova, (“Lana caprina”, 19), intendeva
il secolo XVIII.
Meyerbeer - Si italianizzò il nome, da Jakob in Giacomo, nei dieci anni
che trascorse in Italia, su consiglio di Salieri, per impratichirsi nell’opera,
tra il 1815 e il 1826. Furono anni di grandi successi, anche se con opere poi
dimenticate, lontane dal Grand opéra per cui è rimasto famoso, maturato
poi a Parigi – “Les Huguenots”, ripresa
quest'’anno all’Opéra, “Robert le diable”, “L’Africaine”.
Ammiratore sempre di Rossini, che
però qualche volta surclassò in fatto di successo, con le opere italiane. All’arrivo
in Italia, a Venezia, assistette a una ripresa di “Tancredi” e si professò
rossiniano. Scrisse in Italia, su libretto italiano, sei opere. “Romilda e
Costanza”, 1817, semiseria, per il Teatro Nuovo di Padova, opera scritta di furia,
in un solo mese, agevolata al debutto dalla voce del migliore contralto dell’epoca,
Rosmunda Pisaroni – con riprese in mezza Europa. “Semiramide riconosciuta”, dramma per musica,
su un vecchio libretto di Metastasio (il trentatreesimo, ultimo, riutilizzo) –
un successo che ispirerà probabilmente Rossini, con la su “Semiramide” quattro
anni dopo sulla base della tragedia di Voltaire. “Emma di Resburgo”, 1819, “melodramma
eroico”, il più grosso successo dell’epoca poi all’improvviso dimenticato, con
74 repliche al teatro San Benedetto di Venezia, e riprese in mezza Europa – l’ultima
rappresentazione, prima dell’oblio, in contemporanea col successo del grand opéra di Meyerbeer alla francese a
Parigi, dove si era spostato, sarà a Barcellona nel 1829. “Margherita d’Anjou”,
semiseria, su libretto di Felice Romani, per la Scala: il successo europeo fu
meno istantaneo della “Semiramide”, ma più duraturo, fino a tutto gli anni
1830. “L’esule di Granata”, opera seria, anch’essa su libretto di Romani per la Scala, con un cast eccezionale, ancora
Rosmunda Pisaroni e i migliori cantanti del momento, Adelaide Tosi, Carolina
Bassi, Luigi Lablache – ma senza successo: Meyerbeer ne riutilizzerà le arie in
altre composizioni, “Il crociato in Egitto”, melodramma eroico, 1824,
ripetutamente rappresentato, il maggior successo in Italia, scritto per l’ultimo
grane castrato, Giovan Battista Velluti.
Ovidio - Nicola Gardini lo dice “un alter ego di Dante”, a margine
della mostra romana sul poeta. Per l’esilio, per la morte in esilio? Dante è
troppe cose.
Pilato – È personaggio estravagante
nei Vangeli, oggetto di molta ermeneutica. Specie nell’ebraismo. Ma anche nel
laicismo, di Sciascia compreso, pur autore preciso, sulla scia di A. France. E innesco
dell’incredulità, secondo dice Berni: “Odio Pilato, e nell’odiarlo eccedo:\
sono trent’anni che non vado a Messa,\ per non udirlo a nominar nel Credo”.
Russi – Li teme anche Ian McEwan.
Nella celebrazione vicendevole con Baricco domenica sul “Robinson” di “la
Repubblica”, i suoi russi hanno provocato la Brexit, nientedimeno, questa
“muraglia contro il mondo”. E non è finita: “Probabilmente la prossima guerra
sarà con la Russia., che ha come unico obiettivo la distruzione dell’Unione
Europea”. Vincente: “Saremo in grado di resistere? A me pare che i potenti
russi siano bravissimi a giocare al Game”. Non è la sola agudeza della conversazione,
ma anche McEwan, come G.Greene, si glorierà un giorno di essere una spia?
Self-fashioning – Fa la politica, il carisma
cerando o catturando attraverso la rappreenteazione di se stessi? L’automodellazione,
il neologismo coniato da Stephen Greenblatt nel 1980, “Renaissance
Self-Fashioning”, a sua volta una rimodellazione del cinquecentesco “Cortegiano”,
il manuale di Baldassarre Castiglione, verrebbe utile per analizzare molta
politica – quindi molta storia. Nell’epoca dei selfie, ma anche prima. Hans Rudolph Vaget, il germanista ceco che
ha professato nelle università americane, specialista di Goethe, Wagner e
Thomas Mann, trova la categoria decisiva per molte carriere politiche – ne fa
elaborata spiegazione nel saggio “How Hitler became «Hitler»”, ma la notazione
è di agevole riscontro nella cronaca.
Tedeschi – Già Jean Paul, prima di Jünger,
voleva mandarli a scuola di disinvoltura. Voleva che facessero pratica nei club
inglesi, o nei bureaux d’esprits parigini,
per apprendervi la conversazione, e l’arte di porgere. “Ogni tedesco trascorre
anni infuriato per essere costretto ad aggiornarsi sulle regole della vita
mondana”., scrive in una digressione nel saggetto “La fortuna di essere sordo
dall’orecchio sinistro” (tradotto nella piccola raccolta “L’arte di prendere
sonno”). Jean Paul voleva che i tedeschi imparassero “a parlare in modo vivo una
lingua viva”.
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