sabato 1 dicembre 2018

Letture - 366

letterautore


Calipso – È la non-vita, nell’eterna copula o amore. È l’esito di una ricorrente rilettura dell’“Odissea” del grecista americano C.D.C.Reeve, traduttore di Platone e Aristotele, che il greco insegna all’università della Carolina del Nord, a Chapel Hill: “Ls vita eterna e la giovinezza che essa offre vengono a un prezzo troppo caro. Essere Nessuno per sempre è una morte vivente. Il sesso, anche quello anonimo, con una ninfa, non compensa. Anche se Calipso e Odisseo hanno fatto l’amore ogni notte per sette anni (circa 2.500 volte), non han figli”. Non è un beneficio: “L’assenza di progenie segnala l’assenza di un futuro, e con esso l’assenza della storia. Ecco perché Odisseo piange in Ogigia, e non vede l’ora di partire. Vuole la sua vita indietro”. .

Freud – “Freud aveva il desiderio «nevrotico» di recarsi a Roma, ma non è stato in grado di visitare la città prima dei 45 anni perché si identificava molto profondamente con il generale cartaginese Annibale” – M.M. Owen. “Freud non è morto”, “Style Magazine” dicembre, e

E. Jünger – Di “insolito talento letterario” lo dice Heidegger, “Note I-V”, 95. Ma “il risoluto talento e lo stile di Ernst Jünger” dice subito dopo “strumentali”. Anche se eccezionalmente dotati: “A differenza delle piattezze qui divenute usuali”, qui in Germania, nel 1945-1946, dopo la sconfitta, con molto parlare di “cristianesimo” e di “teologia”, “il suo esprit troverà qualche formula o descrizioni sorprendenti”.

Lo accomuna a Spengler lo stesso Heidegger nel “quaderno nero” successivo, il “Note II”, 228, in una ripassata perfida: “Le migliori e più efficaci popolarizzazioni della metafisica di Nietzsche”, abominio per Heidegger, “ sono rappresentate, da noi, da Spengler e Ernst Jünger. I due sono diversi; il secondo scrive già prendendo le mosse dal primo, eppure con uno sguardo essenziale sull’“operaio” di fronte al quale, naturalmente, egli indietreggia intimorito. Entrambi sono scrittori la cui capacità consiste, nell’uno, nella ricchezza della prospettiva e nello sguardo fisiognomico, nell’altro nello sguardo tecnico-soldatesco e nell’artificiosità della formulazione”.
Jünger e Heidegger verranno a loro volta accomunati qualche anno dopo, coautori di “Oltre la linea”. “Oltre la linea” è un saggio che Jünger, nietzscheano, aveva scritto per il sessantesimo anniversario di Heidegger - cui Hedegger rispondeva con “La questione dell’essere”, cioè col rifiuto di Nietzsche, cinque anni dopo.

Odissea – Un poema “irreale” e anzi filosofico, lo vuole C.D.C. Reeve dopo avere analizzato il capitolo Calipso: “Ogigia è un’isola irreale. E lo stesso è vero di tutti gli altri posti che Odisseo visita prima di finire a Ogigia. I suoi viaggi nel poema non sono in spazi reali, perché lui non è il l’Odisseo reale mentre è lì. La forma apparentemente strana del poema, che è spesso rimarcata, in cui il reale e il magico si mescolano, non è affatto realmente strana”. Odisseo è alla ricerca di se stesso, è l’idea del grecista britannico.
Gli apparenti difetti di costruzione si direbbe lo confermino. I quattro capitoli iniziali su Telemaco, il figlio, il futuro, la storia, la realtà. Che va alla ricerca del padre “irreale”, da lui mai conosciuto. Di cui arriva a mettere in dubbio la paternità. Accompagnato da Atena camuffata da Mentore. La vicenda in Ogigia, tra magia e avventura. La storiaccia di Itaca. Della donna di casa fedele, progenie di Perseo, che intrattiene decine di giovanissimi pretendenti.

Omero – Le donne in Omero, tema ora in America - di alcuni romanzi, “The silence of Girls”, di Pat Barker, “Circe” di Madeline Miller, non ché di molti scritti della grecista Patricia Storace - ,  sono un problema. In Omero, ovvero nell’antica Grecia. Una nota tesi vorrebbe Omero donna, di Samuel Butler. Ma il modo di essere greco andava forse al di là delle possibili intenzioni del poeta. Erodoto, quindi in epoca storica, apre le “Storie” con la considerazione che le donne sono causa di guerra. Giungendo a questa conclusione, quando si arriva alla guerra di Troia dopo reciproci rapimenti di donne tra greci e barbari – nella zoppicante traduzione Oscar: “I barbari ritengono che rapire donne sia azione da delinquenti, ma che preoccuparsi di vendicare delitti del genere sia pensiero da dissennati: l’unico atteggiamento degno di un saggio è non tenere il minimo conto di donne rapite, perché è evidente che non le si potrebbe rapire se non fossero consenzienti”. 
Il tema del romanzo di Pat Barker , “The silence of Girls”, è anch’esso storico. Le donne degli eroi alla guerra di Troia, come di ogni altra storia greca, bellica e non, sono spose schiave, comunque vinte in guerra, al meglio motivo di violenza. Briseide per esempio, Ippodamia figlia di Briseo, presa in sposa da Achille dopo che aveva ucciso il marito Minete, contesa ad Achille da Agamennone. Senza personalità propria, e senza difesa o conforto. E l’elusiva Elena si può aggiungere, che la guerra ha provocato: le donne sono motivo di guerra. Erodoto è pieno, di donne prese in sposa dai greci dopo lo sterminio dei loro padri, mariti, figli, “barbari” ma anche greci. Impedite per legge di sedere a tavola con i mariti o di interpellarli per nome.  

Pasolini – Fu malapartiano. È ricordato (celebrato) non per la poesia, e nemmeno per i romanzi né per il cinema, ma per gli scritti polemici (“civili”). Che erano genere malapartiano, dei “Battibecchi”- creare scandalo. Genere morale, ma anche esibizionista (opportunista).
Si dice l’antitesi di D’Annunzio, di D’Annunzio poeta, dell’estetismo parnassiano. Ma fu malapartiano, un D’Annunzio personaggio a bassa intensità, sempre all’orza, surfista forse tormentato ma abile. In ogni manifestazione: la polemica, l’ambiguità politica, il culto fisico, l’ambiguità morale, lo scrittore-personaggio, il presenzialismo, la narrativa splash, in “Petrolio” come in “La pelle”, ma anche prima, “Una vita violenta”.

Scrivere – Si scrive “per una qualche ferita dei primissimi tempi”, si dice Paul Auster in “Diario d’inverno”: “Perché altrimenti avresti speso tutta la tua vita adulta distillando-spremendo parole su una pagina?”.

Tucidide – Spiega meglio il populismo, tra le tante cose che spiega? È la tesi del grecista americano Edward Mendelson in “What Thucydides knew about the US today”, sulla “New York Review of Books”. Tucidide ha singolare fortuna negli Stati Uniti in questa fase della politica, interna ed estera, americana. La voluminosa “Trappola di Tucidide” dello storico Allison, che sviluppa la constatazione di Kissinger, in “Ordine mondiale”, che in 14 casi su 17 di potenze emergenti nella storia europea l’esito è stato una guerra per l’egemonia, è stata anche tradotta. Mendelson ci trova contento, da antitrumpiano, la spiegazione del cosiddetto “populismo”. All’indomani della vittoria di Trump si trova a rileggere sorpreso la traccia di un tema che prima del voto aveva assegnato per il giorno dopo, tratto dalla “Storia della guerra del Peloponneso”, dove Tucidide descrive lo scoppio della guerra civile a Corfù nel 427. “C’era la vendetta che si prendevano nell’ora del trionfo queli che in passato erano stati arrogantemente oppressi invece che governati saggiamente; c’erano le risoluzioni malvagie prese da quelli che, sotto le pressione della malasorte, volevano sfuggire alla loro condizione di povertà e bramavano i beni dei loro vicini; c’erano gli atti selvaggi e spietati cui molti venivano indotti non tanto per il guadagno quanto perché erano spinti alla distruzione reciproca da passioni ingovernabili”.
La rivolta “anti-casta” come guerra civile è un azzardo. E non è una novità, la politica ha sempre navigato tra estremi, ci sono stai partiti fascisti e partiti comunisti nelle migliori democrazie, molto popolari. Ma la politica, dice tra le righe Tucidide, è un fatto di passioni poco cool o razionali.


letterautore@antiit.eu

In guerra col mercato, della crisi


Una reviviscenza del cinema-verità, con riprese “dal vivo”, tipo “fuori onda” o telecamera nascosta. Di un evento drammatico e alla fine anche tragico: la chiusura minacciata di una fabbrica, con 1.100 licenziamenti, malgrado i sacrifici dei lavoratori per tenerla in vita, deciso da una multinazionale allogena - la fabbrica è in Francia, la proprietà in Germania. Molto eloquente. Benché un solo attore sia professionale, o professionalmente noto, Vincent Lindon, I comprimari, ottimi caratteristi,  recitano “se stessi”, hanno nella sceneggiatura lo steso nome che da attori, e qualcuno anche la stessa professione - avvocatessa nel film avvocatessa nella vita. Tutto insomma molto veritiero. Anche teso, da un montaggio ben calibrato. Che però non commuove.
Più che il fatto – un fatto specifico – sceneggia dei ruoli. La multinazionale fa la multinazionale, remota, falsa, il politico fa il politico, chiacchierone, il sindacalista fa il sindacalista – e siccome c’è un sindacalismo oltranzista e uno realista, i sindacalisti per lo più litigano tra di loro, eccetera. Non manca la violenza, quando la giusta collera sfugge di mano.
Un saggio ponderato, anche equanime. Se non commuove però appassiona. Forse perché sorprendente come soggetto. Sul fondo della paura, certo, che il mercato alimenta ormai da troppi anni, dell’incertezza, della crisi continua, insostenibile.  
Stéphane Brizé, In guerra

venerdì 30 novembre 2018

Recessione (74)


Pil in calo nel terzo trimestre: l’Istat rivede al ribasso il consuntivo del pil, - 0,1 per cento. Il primo dato negativo dopo quattordici trimestri di ripresa, debole.

Il calo della produzione è attribuito a un rallentamento dei consumi e, di più, a un “netto calo degli investimenti”. I cui effetti peseranno in senso negativo nel prossimo futuro.  

Peggio è andata a novembre, dopo un accenno minimo di ripresa a ottobre, dello 0,1 per cento: il Centro studi della Confindustria registra a novembre un calo della produzione dello 0,5 per cento – dello 0,7 “al netto del diverso numero di giornate lavorative”.

“I livelli in novembre” della produzione industriale, stima Confindustria, “sono inferiori del 2,1 per cento rispetto al picco del dicembre 2017”, di un anno prima, “e non si intravedono segnali di miglioramento per i prossimi mesi”.

La Germania, partner principale dell’economia italiana, è andata peggio, con un – 0,2 per cento nel terzo trimestre.

Anche il dato disoccupazione registra un lieve peggioramento. Più netto per la disoccupazione giovanile, dei 24-35 anni, vicina al 35 per cento.

L’antipolitica alle radici del populismo


C’è una foto storica della fondazione del partito Radicale che mostra, ripresi dal basso, Niccolò Carandini, Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi in punta ad ampie sedie imbottite, la caviglia sinistra accavallata sul ginocchio destro, ai piedi solide scarpe inglesi dalla grossa suola e dalla tomaia lucente, nella prima fila di una sala semivuota. Con questo suo primo memoir Scalfari ha fissato involontariamente le suggestioni dell’immagine Publifoto. Dandole un aspetto sbarazzino, forse malizioso: “Progressisti in politica, conservatori in economia, reazionari nel costume”, la battuta di Pannunzio diventa emblematica nel racconto di Scalfari. Dei felici belli-e-buoni della Repubblica.
Ma non si rilegge questo che fu un grande successo quarant’anni fa con l’attesa nostalgia per un mondo felice scomparso, alla ricerca di uno spazio libero nella fanghiglia limacciosa che lo ha sradicato e lo sommerge. Se suscita un’emozione, è di sconforto: è un mondo di gentlemen, molto conservatori, il genere high tory, cinici. La foto sembra ricalcare un disegno di Maccari, 1951, in cui quelli del “Mondo” che andavano in via Veneto, piuttosto che in via della Croce, da “Cesaretto”, calzavano, s’indovina, scarpe inglesi, le gambe accavallate, un calice di champagne nella destra alzata, tra le gambe il bastone-ombrello che poi sarà di Altan.
Il racconto di Scalfari, sottotitolo “Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica»”, è di un successo, personale e di gruppo. Anche gli avvenimenti e gli incontri traumatizzanti,  che si indovinano più numerosi di quelli fausti, Scalfari li rivive in chiave felicistica. E il lettore oggi ne rimane scioccato: com’era possible? Com’era possible illudersi? Di un laicismo inesistente, e soprattutto di una politica, di un senso della politica, ineliminabile.
Scalfari è personalità di successo, avendo fondato i due unici giornali nuovi del dopoguerra, “L’Espresso” e “la Repubblica”, non transeunti. Ma allora come manager. Come manager anche della politica, in senso negativo, nella politica in senso proprio avendo accumulato solo macerie - il millennio spento ha ben dei padri: quelli che hanno cavalcato l’onda, l’hanno anzi conformata e dispiegata, nei decenni precedenti, con l’antipolitica feroce, della quale il populismo è lo sviluppo solo logico. Si rilegge curiosamente non con rimpianto, ma con fastidio e quasi con rabbia.   
Eugenio Scalfari, La sera andavamo in via Veneto

giovedì 29 novembre 2018

Cronache dell’altro mondo 16


Le guerre americane in seguito all’11 settembre sono costate seimila miliardi di dollari, e hanno provocato 250 mila morti e 21 milioni di sfollati – “The Nation”.
General Motors, che riceve dal governo federale americano 350 milioni di dollari a fondo perduto per la riconversione degli impianti all’auto elettrica, ne chiude sei, licenziando 14 mila lavoratori.
Si fa scandalo di tutto. Ma nel 1988 Reagan uscì indenne dalla farsa delle forniture militari segrete all’Iran dell’arcinemico Khomeini.
Nello stesso anno lo scandalo più grave insorto a Washington, le bustarelle sulle forniture militari, ha suscitato curiosità e sdegno solo per un aspetto marginale, le parcelle dei legali. Una sola delle tante aziende coinvolte nello scandalo ne impiegava 150.
È il paese dei “paglietta”, i contingency lawyer, categoria di avvocati che sollecitano azioni giudiziarie senza oneri per il cliente, in cambio di una percentuale dei danni eventualmente liquidati. Tutto è materia di avvocati.
Gli avvocati a percentuale puntano soprattutto le assicurazioni. Negli Stati Uniti bisogna assicurarsi su tutto, anche su eventuali incidenti provocati camminando sul marciapiedi, e pagare polizze salate.

La ninfetta Calipso e i Proci toyboy, della fedele Penelope

“Svelati i misteri erotici dell’Odissea” è il sottotitolo di un saggio breve e denso del grecista americano traduttore di Platone e Aristotele, cattedratico all’università della North Carolina a Chapel Hill. Mosso da due bizzarrie del poema. Di Odisseo che deve sbarazzarsi di “una ninfa in calore”, Calipso. E di una moglie e madre quaranta-cinquantenne, che passa la giornata a filare, concupita da una selva di toyboy poco più che adolescenti, “abbastanza giovani per essere suoi figli”, che banchettano e sbevazzano mantenuti da lei.
La soluzione ai due rebus Reeve non la trova. A meno di non dire l’“Odissea” un viaggio verso la morte, un passaggio generazionale, col figlio-non figlio Telemaco, la ninfetta, i giovani Proci. Ma si diverte a indagare, e diverte. Odisseo, che è sempre triste e vuole partire, ha fatto l’amore con Calipso ogni notte per sette anni, dunque circa 2.500 volte. La fedele Penelope, “in menopausa, o prossima, non è una bambola. E tuttavia, oltre 100 principi (ne ho contati 117)” la corteggiano pressanti, “ragazzi dai 18 ai 24 anni”. Mentre ad Atena travestita da Mentore che gli ha chiesto se veramente è figlio di Odisseo,Telemaco ha risposto: “Mamma mi ha sempre detto che sono suo figlio, è vero,\ ma non ne sono sicuro”.   
C.D.C.Reeve, Sex and Death in Homer
free online

mercoledì 28 novembre 2018

Lo spread non segue Bruxelles


La partita è ancora aperta, del bilancio 2019 sui mercati, ma quando parla Moscovici, o chiunque altro a Bruxelles, naturalmente per dire che questo o quello non va, i mercati non reagiscono, lo spread segue un suo percorso autonomo. Le “autorità” di Bruxelles sono come una campana fuori orario, o fuori luogo.
Bruxelles trova sempre qualcosa da ridire contro l’Italia, contro il governo ma non solo, ogni giorno, Moscovici, Juncker (che però da un po’ tace: Conte ha recuperato qualche posizione con le democrazie cristiane europee?), Djisselbloem, Dombrovkis, o come si chiama il lituano o lettone, i mercati si regolano senza ascoltarli.
Perché i fatti, i fatti economici, sono altri. Oggi si possono riassumere col presidente dello Esm, il fondo europeo “salva-Stati”, che è pure un tedesco, Klaus Regling: “Non ha senso paragonare l’Italia alla Grecia. I fondamentali dell’economia dell’Italia sono molto più forti, c’è un’eccedenza delle partite correnti”, con l’estero, “e un avanzo primario relativamente alto”. Questo soprattutto, che in Italia si trascura: da venticinque anni il debito cresce su se stesso, per gli interessi sul debito, al netto degli interessi l’Italia ogni anno spende meno di quanto incassa.

Uno spread di lesa maestà


Adesso è il caso dell’Italia – come lo fu nel 2011, e negli anni successivi. Ma la cosa è irregolare a prescindere dall’Italia. E anzi, se ci fosse veramente un diritto in Europa, illegale, come pratica. Che i responsabili europei delle Finanze e della moneta critichino un paese in interviste e conferenze stampa, per di più a cascata interminabile. Se ci fosse ancora un diritto, sarebbe un delitto di lesa maestà: i commissari Ue e i responsabili della moneta non sono politicanti in lotta, ma istituzioni. E debbono operare nelle forme istituzionali.
In passato si sono distinti in questo esercizio il ministro delle Finanze tedesco e il presidente della Bundesbank. Che hanno rovinato l’Italia e altri paesi – hanno contribuito alla rovina - con dichiarazioni quasi quotidiane. Hanno così affossato ogni disegno egemonico della Germania, se a Berlino si coltivava: non c’è egemonia nella prevaricazione. Ma questo non conta, se non per dire la mancanza di giudizio.

Secondi pensieri - 368

zeulig


Filosofia dell’esistenza – Heidegger se ne dissocia esplicito e polemico ancora nel dopoguerra, nei quaderni neri “Note I-V”, 96-97: “«Filosofia dell’esistenza» – Forse proprio quelli cui ci si riferisce con questo nome  si curano che il mio pensiero non venga scambiato con essa. Sarebbe utile che gli interessati che danno un peso così grande allo ‘spirito pubblico’ si distanziassero anche pubblicamente”. Il riferimento è ai filosofi che polemizzavano, era il dopoguerra, contro il nazismo e le dittature, Jaspers, Sartre – che “si occupavano di politica”: lo “spirito pubblico” che indispone Heidegger è la politica, di più quando si esercita sulle “riviste”.
“Utile solo per ciò che è pubblico”, continua il § dei “quaderni neri” sulla “filosofia dell’esistenza”, come codice politico o morale, presumibilmente, “al pensiero stesso questa essenza non-pensante non serve a nulla, dal momento che quello non ha certo bisogno di ciò che è utile”. Con un ultimo cenno di disprezzo: “La mediocrità, faticosamente pompata verso l’alto, dei fanatici non può mai formare un’atmosfera di pensiero”..

Leggere – È λεγειν, raccogliere in greco, legare, si sa. Lo strumento del pensare e del dire.
Senza lettura non c’è linguaggio? Lettura anche come ascolto.
Il linguaggio è sociale, naturalmente, ma anche la riflessione individuale, segreta, nascosta. .

Meta – È l’Ersatz, un trasformatore universale a basso voltaggio, di ogni “realtà”. Ne è insofferente Heidegger, che non cessa di rilevarlo, ma non senza ragione. L’όδός presocratico, rileva, il sentiero, la vita, trasforma in Metodo – lo fa già Socrate. Lo stesso si può dire degli altri composti, dal metabolismo alla metatesi e ala metempsicosi, alla metalogica, alla metalinguistica. E alla metafisica, naturalmente, che al fisica trasforma in ipotesi.

Pensare – È scrivere. Si scrive perché si pensa, nota Heidegger nei quaderni neri “Note I-V”, 89  – bisognava pensarci. E viceversa, pensare implica scrivere. Non solo nel senso di redigere, ordinare, affinare, anche nel senso di pubblicare, rendere pubblico, mettere in comune. Funzione limitativa, secondo Heidegger: “Che cosa significa questo ‘pubblicare’ – ‘ far uscire’ – far ‘apparire’ un libro?”. Per uno scopo di utilità, e “anche per dare una prova del fatto che l’autore è ancora efficiente e che da lui ci ‘si’ può ancora ‘aspettare qualcosa’”. Ma questo va a scapito della riflessione: “Secondo il lavoro ‘compiuto’ nella dimensione pubblica dell’insegnamento e della pubblicazione, l’esigenza del silenzio” viene insidiata. Apparendo “inadeguata e come un egoismo del privato e addirittura come una fuga, o perfino come una stizza nauseata”. Ma ce n’è un’altra?

È funzione sociale. Si penserà meglio tacendo, riflettendo, ma se non si comunica (si scrive, si insegna, si pubblica), si resta nel vago e nel nulla. La verità incomunicata non è. Il pensiero è relazionale, col pensiero degli altri (passato) e col futuro (scoperta), e ha una funzione sociale. In funzione degli altri, con gli altri. È pensiero la formazione, anche solo trasmettere le conoscenze.
Heidegger lo trova comunque “impelagato nelle esigenze quotidiane”, del lavoratore, per uno stipendio, che deve costruire casa, e fare la spesa. Ma è di più.

Valori – Si meritano un aforisma secco di Heidegger, dopo le prolisse critiche – forse l’unico dei prolissi “quaderni neri” – in “Note I” 14: “Ciò che più di tutto è privo di valore sono proprio «i valori». Nessuno «vive» e «muore» per dei «valori»”. E invece sono dei fari, anche insidiosi. Del fare e dello stesso Essere – dello stesso Heidegger. Nella stessa Germania, negli stessi anni del quaderno: morivano in milioni per l’antisemitismo – o l’antisemitismo era solo una questione d’interesse, di appropriazione? E per l’odio degli slavi – come si fa per un altro motivo a pretendere di occupare un paese dieci o venti volte più grande della Germania?

Verità – Heidegger ne contesta il concetto nel “quaderno nero” “Note II” come “la strana opinione secondo cui l’obiettivo del pensiero sarebbe la verità”. E prosegue con questo argomento: “Questa strana opinione crede che il pensiero abbia qualcosa a che fare con la «logica», della cui essenza oggi non si sa ancora nulla”. Una condanna ennesima: la “logica” di Heidegger come è noto – qui ribadisce: “Come hanno mostrato una volta le mie lezioni” – è “la risoluta mancanza di meditazione riguardo al λογος” e una “mancanza di pensieri” se non su “ciò che è logico della logica”.
Ma in questi termini applicabile alla sua come a ogni altra riflessione. Attorno al’Essere piuttosto che attorno alla Verità – alla verità dell’essere. Magari partendo “dalle origini”, come lui di sé pretende, perché no. Ma, certo, filosofare è inutile – ineffettivo, inconcludente. È spizzicare la carne alo shawarma, o kebab – questa non gli sarebbe piaciuta?

Le lezioni cui Heidegger rimanda sono il corso del fatidico 1934, l’anno del Rettorato nazista, sulla “logica come meditazione sul linguaggio”. Non – non ancora – di radicale ripulsa.

zeulig@antiit.eu

Napoli dickensiana muta

Seppiato è il colore della memoria. E poiché la fortunata serie di Elena Ferrante si racconta attraverso la memoria, il colore dell’indistinto sembra scelta obbligata al cinema oltre che felice. Ma è un mondo a una dimensione che ne nasce, in due ore di filmato, malgrado l’espressività naturale delle due piccole protagoniste. Una Napoli dickensiana, cioè fuori registro.
Costanzo, che ha adottato la cifra sintetica di Rossellini, dell’ultimo Rossellini, di mostrare invece di dire – gridare, inveire – ha creato due icone nelle piccole Gaia Girace, la bruna Lila, il maschio in noi, inventivo, calcolatore, determinato, e Margherita Mazzucco, la chiara Lenù, la figlia tipo della famiglia borghese tipo, che la madre coarta e il padre protegge, destinata alla sofferenza senza altro motivo. Ma, troppo presenti, nella sceneggiatura e\o nel montaggio, la narrazione fanno infine sorda, appiattita sull’inevitabile.
La scelta del dialetto stretto, da far sentire via sottotitoli, aggrava la sensazione con la distanza. Di un mondo piatto e – perché - remoto.
Saverio Costanzo, L’amica geniale

martedì 27 novembre 2018

Problemi di base stellati - 459

spock


Niente reddito di cittadinanza, niente flat tax, niente quota cento, niente di niente?

O sì, col raddoppio di Imu, Tari e Tasi?

Si studia da parlamentare facendo il portiere negli stadi – non in porta, alle porte dell’immobile?

Appendino e Raggi hanno fatto l’esame da usciere, allo stadio?

Grillo è per questo che non fa il parlamentare, non ha fatto il portiere?

Castelli, per esempio, ci è o ci fa?

Berdini no, Montanari sì, stadio della Roma sì, Olimpiade no: chi consuma di più il paesaggio?

A che gioco giochiamo - perché è un gioco a porte chiuse?

spock@antiit.eu

Usa-Cina dalla coesistenza concertata al confronto


Come è cambiata in pochi anni la globalizzazione, la relazione Usa-Cina che ne è alla base: dalla concertazione al confronto. Ma Kissinger, che della coesistenza con la Cina, e quindi in nuce della globalizzazione, era stato l’artefice nei primi anni 1970, già ne dava conto nel suo voluminoso trattato “Sulla Cina”, nella postfazione alla riedizione nel 2102.
Il confronto non trova nessuna traccia ufficiale in Cina, avvertiva, “anzi si riafferma il contrario”. Ma “abbastanza materiali circolano in Cina”, rilevava, “nella stampa semi-ufficiale e nei centri di rierca pubblici per sostanziare la teoria che le relazioni cino-americane muovono verso lo scontro piuttosto che verso la cooperazione”. Mentre negli Stati Uniti rilevava un ritorno della “eccezionalità” americana nel senso della democrazia da “esportare”, perché solo la democrazia aiuta la pace. Lo rilevava “in una parte del mainstream”, dell’opinione pubblica dominante, “a destra e a sinistra”. Con la persistente obiezione che la Cina “prospera in un sistema internazionale mantenuto dall’America, mentre mantiene relazioni amichevoli o non impegnate con buon numero di avversari dell’America”. Trump non ha inventato nulla.
Kissinger cita anche studi e rapporti degli Stati maggiori americani preoccupati dal riarmo cinese. Non ne analizza la valenza, ma a, conftonto militare crede meno. Pilastro del suo trattato è che la Cina è ben Zonghuuo, che si traduce Regno di Mezzo ma nel senso di Regno Centrale. Quello della cui superiorità culturale ogni altro deve dare atto. Ma il predominio si vuole culturale, l’espansione si ferma “alla linea della costa”. La Cina non ha mai colonizzato niente, rileva - due sole invasioni ha tentato, entrambe contro il Giapone, ma a opera di imperatori mongoli, peraltro fallite contro i venti avversi, i kamikaze, “venti divini”.
Fino a ora, ormai da mezzo secolo, il rapporto fra Usa e Cina è quello avviato da Kissinger nel 1971, della “coesistenza concertata”. La politica che ha stabilizzato il Pacifico, dopo il Vietnam, facendone l’area di maggiore sviluppo al mondo e nella storia. Nixon e Mao la consacrarono nella stessa Pechino l’anno successivo. La “coesistenza concertata” si basava, e si basa, sull’accantonamento di tutto ciò che può creare frizioni, per dare libero corso invece alle opportunità di scambio e libera evoluzione delle reciproche sfere d’influenza.
Nei contatti segreti a Pechino nel 1971, e poi nell’incontro “storico” di Nixon con Mao, che pose le basi della “globalizzazione”, nientedimeno, la “coesistenza concertata” prevedeva anche, scrive Kissinger, un meccanismo di “valutazione delle vere intenzioni” dell’una e dell’altra parte in caso di crisi, sempre al fine di sciogliere attriti e questioni che ne fossero alla base, per consentire ai problemi di dissolversi, spiegarsi, rientrare.
Ben prima della “trappola di Tucidide” del professor Allison, il professor Kissinger sapeva nel 2011 (pubblicò il trattato per i quarant’anni della sua visita a Pechino) che in quindici casi studiati di confronto tra una potenza emergente e una potenza dominante, undici volte la cosa è finita in conflitto. Ma la pace, dice, non si fa con la guerra.
Henry Kissinger, Cina, Oscar, pp. 514 € 13

lunedì 26 novembre 2018

Mal d’Africa

Fra le ipotesi sul rapimento della giovane volontaria milanese a Mombasa c’è il ritiro appena effettuato di soldi al bancomat. Una ipotesi molto africana, doppiamente. Che bastino i pochi soldi del bancomat in Kenya, uno dei paesi africani più ricchi (meno poveri), per un rapimento di persona. E che la giovane non avese ritirato materialmente i soldi, ma li avesse “caricati” sul suo cellulare, facendo per questo imbufalire gli scippatori.
È un’ipotesi anch’essa molto africana. In Africa la polizia non fa 
ipotesi investigative, ammesso che ce ne sia una a Mombasa e dintorni – che ci sia una polizia. Ci sono invece molti capi della polizia, vice-capi, dichiaratori, insomma persone importanti, a volte per una semplice birra. Ma non è questo il punto.
Il punto è che un rapimento va organizzato, con mezzi di trasporto,
alloggi, alimentazione. In Africa come in Sardegna o in Calabria, e negli Stati Uniti. E che, nemmeno a Mombasa, in un villaggio semisterrato vicino Mombasa, si possono ritirare dei soldi al bancomat e “caricarli sul cellulare” – questo ancora non si può fare in Italia (si può solo, solo da qualche settimana, scaricare l’acquisto col celullare sulla carta di credito). L’Africa è povera, poverissima, sfruttata, dissanguata perfino, ma non è ingenua né infantile, come la pensano i volontari. Questo è un residuo del razzismo, il “mal d’Africa” dei vecchi coloni. L’Africa nera è complessa e sofisticata, come ogni altra parte del mondo. Accetta le elemosine, ma di cose utili, e anzi forse solo di cure e medicine, che purtroppo si pagano in soldi e sono care.
C’è, è inevitabile, un romanticismo dell’Africa. Dei grandi spazi, dei grandi animali. Ma bisogna viverlo come gli africani, con circospezione. Loro, se non altro per il bisogno, ne sanno quanto noi e forse di più – in una antropologia rovesciata, ci direbbero ingenui.

La Cina contro tutti

È tempo di vedere il bluff cinese? Non si apre con buoni ausici l’incontro Xi-Trump il prossimo week-end a Benos Aires a largine dell’assemblea del G 20. La Cina non ha risposto, e non intende rispondere, ai problemi sollevati da Washington sugli scambi commerciali e di tecnologia, e quindi il confronto dovrebbe finire in scontro: con dazi allargati sugli scambi commerciali. Uno scontro che, nei calcoli americani, dovrebbe colpire duramente la Cina, forse anche nella sua stabilità politica – attorno al partito Comunista al potere dal 1949 – “la Cina farà i settat’anni?” è la battuta di rito nella diplomazia americana.
Da parte americana il problema non è Trump. L’amministrazione  è con lui, con il concorso di banche e industrie: la Cina opera in dumping sociale, tecnologico (copia di tecnologia senza spese di ricerca) e finanziario (sottovalutazione dello yuan). È un rovesciamento nazionale della politica americana, non partitico o legato a Trump. La scelta della globalizzazione fu fatta a metà degli anni 1980 su base nazionale e non di parte – fu disposta da un presidente repubblicano, quindi anticomunista e pro guerra fredda, George Bush, che era stato anche ambasciatore a Pechino, oltre che capo della Cia, e rispondeva alle esigenze dell’apparato industriale
e finanziario americano.
Da parte cinese la presidenza Xi si caratterizza per n rovesciamento della posizione detta da Deng Hsiaoping nel 1986 in parallelo con l’apertura di Bush, “mai contro gli Stati Uniti”. Il presidente a vita Xi ha disposto l’occupazione militare del mare Cinese Meridionale e Orientale, tra Giappone, Corea, Malesia e Filippine, e intende proporsi a leader economico mondiale, quello cioè che detta le condizioni, sfruttando il suo enorme mercato interno. I programmi cosiddetti della via della Seta e dell’Eurasia, con l’Africa come appendice, mostrano un atteggiamento internazionale militante, seppure limitato agli investimenti.
Un cambiamento di linea di cui sono spia le ripetute “scuse” umilianti imposte a vari operatori occidentali che operano in Cina per i motivi più vaghi. Risentito peraltro subito dai vicini asiatici: la conferenza annuale l’altra settimana in Papua Nuova Guinea dei 21 paesi del Pacifico è stata una tre giorni di Cina contro tutti.

Tempo di falchi a Washington e Pechino


Non c’è solo Trump a militare contro la Cina: un non piccolo establishment militare e di intelligence spinge a Washington per una politica di confromto con Pechino – Trump forse è il meno belligerante del big government americano.
Trump ha aperto il confronto con la Cina sul piano commerciale e su di esso intende mantenerlo. Nelle agenzie di informazione e  
sicurezza, e nei comandi militari c’è invece preoccupazione per 
il nuovo attivismo di Pechino nel mare Cinese. Nei confronti di Formosa non solo, ma anche di tutti i paesi oltremare. A bassa intensità e senza grande spiegamento di forze, ma insidioso: occupa postazioni isolate negli arcipelaghi del mare cinese, con mezzi poco appariscenti, e poi vi installa basi militari. Di piccole dimensioni ma punti d’appoggio chiaramente scelti e montati secondo piani militari e suscettibili di assumere in breve rilevanza strategica.
Alcuni paesi del Pacifico se ne sono risentiti, e protestano
diplomaticamente, anche se non con i toni della crisi. Il Giappone, 
le Filippine e la Malesia. Washington non e ha appoggiato le rimostranze. Ma sta adottando spiani strategici anti-Cina.
In Cina l’espansionismo fa capo alla stessa presidenza. Il nuovo 
orientamento impresso dal presidente Xi è sotto discussione – come questo sito rilevava

La discussione è accademica e giornalistica. Con riferimenti, si 
presume, dentro il Partito. Ma Xi mostra di essere saldamente al 
comando.  

Alla corte di Kim Jong-un


Da “canaglia” a alleato? A Kim Jong-un, il principe ereditario del partito Comunista nord coreano, si guarda d’improvviso a Washington come a un possibile alleato.
Sarebbe, è, una revisione politica radicale. Solo pochi mesi fa il 
giovane leader della Corea del Nord era a Washington un capriccioso guerrafondaio, innamorato di missili e atomiche. Ma un partito tenace nell’establishment americano, legato ala Corea del Sud ma non solo, che ha sempre ritenuto Pyongyang non “perduta”, vede ora segni sostanziosi di un possibile recupero.
Kim sarebbe sensibile alla possibilità di unificare le due Coree. Gli scambi con Seul lo avrebbero galvanizzato in senso non più bellicistico ma di padre della patria. L’opinione è fermamente radicata a Seul. E a Washington non dispiacerebbe. L’ipotesi di una Corea unificata in funzione anti-cinese, come già col Vietnam.

Il luogo comune dei luoghi comuni

Le frasi fatte, talvolta senza senso, di uso quotidiano montate in serie: proverbi, locuzioni avverbiali, modi di dire, ripetitivi, familiari, duraturi, contingenti. Con effetti anche esilaranti, ma rari.
Un esercizio non nuovo. Il genere è prevalentemente centro italiano, da Longanesi e Fratini ai toscani, Papini, Prezzolini, Malaparte eccetera – etrusco? Vuole un certo spiritaccio alla base, alla Bartali. Di parte o di programma. Senza contare che la frase fatta o luogo comune, che tanto irritava Flaubert (ma era uno irritabile, di suo sprovvisto di senso del ridicolo), è anche colloquiale e idiomatica, e può avere usi e effetti creativi - su “il tempo dirà” e “io te l’avevo detto” Auden ha costruito una delle poesie più semplici e memorabili. 
Il napoletano De Silva ne fa un esercizio di bravura. Un repertorio, all’insegna della insoddisfazione e del risentimento, più che dello scherzo, che connotano questo primo millennio. La raccolta l’editore eleva a critica del linguaggio. Con richiami a Woody Allen e Groucho Marx. Ma niente al confronto,  niente di fulminante. Anche perché l’esercizio è qui estenuato, allungato col parlare corrente, di per sé anodino. E a casi incidentali – “il preservativo si trova sempre nel cassetto lontano”. Non siamo stupidi per questo, e nemmeno intelligenti. “Ormai di sinistra c’è rimasto papa Francesco” non fa ridere e non fa piangere, e non è banale, è un’invettiva stanca.

Il millennio si vive in superficie ma non per colpa del linguaggio, che ne è vittima anch’esso. Del mercato e della menzogna. Si ride per non piangere? Si dicono luoghi comuni per non dire le cose come stanno?
Diego De Silva, Superficie, Einaudi, pp.112 € 12

domenica 25 novembre 2018

Ombre - 441

Dunque, rivela “Der Spiegel” con i Football Leaks, i segreti del mondo dello sport, non smentiti nella fattispecie dalla Uefa, che il madridista Ramos, palesemente alterato a fine partita, la finale di Champions Juventus-Real Madrid del 2017, a Cardiff, 
protagonista di una simulazione colossale che giustificò la pronta espulsione del juventino Cuadrado da parte dell’arbitro tedesco Felix Brych, era drogato. La cosa è stata accertata, ma l’Uefa ha ritenuto di non intervenire. Né contro il calciatore né contro il club, e tanto meno sull’esito del match. La droga era stata somministrata al nervosissimo Ramos per errore dal medico che ne curava un’infezione.

Quella di Ramos sembra una barzelletta e lo è. Ma il presidente della Uefa, lo sloveno Ceferin, è a quel posto perché ce lo ha messo Florentino Perez, il potente patron del Real Madrid. Che ne ha per tutti, di disponibilità. Si dice che lo sport è business, ma è il business mafia – dobbiamo credere ai detrattori del mercato, anche ora che Marx è morto?

Ora Ceferin è sponsorizzato da Andrea Agnelli, il presidente della Juventus, ora che Perez non se la passa molto bene. Come dire che non c’è consolazione per i tifosi: li mettono sempre nel sacco. Dello sport resta un po’ di napoletana ammuìna, quanto basta per pagare il biglietto, e l’abbonamento tv, con abbondante e ricca pubblicità.

L’espulsione di Cuadrado a Cardiff non fu un errore. L’arbitro Brych vide benissimo la simulazione. Ma, arbitro tedesco di mezza classifica, era stato sbalzato da Collina e Ceferin ad arbitrare la finale: si pagano servitù per questo. La finale andava bene per il Real, ma non era ancora assicurata: Brych autorevolmente la assicurò.

“Emergenza rifiuti? È colpa della chiesa”: è la “satira preventiva” di Michele Serra oggi su “L’Espresso”. Ma non è una stramberia: “Secondo il noto antropologo Levi-Pumpkin, l’accumulo è frutto del culto delle reliquie” – c’è tutto il politicamente corretto, compreso il non detto.  

Il nuovo che avanza è in Rai il pensionato Freccero. A suo tempo berlusconiano, poi antiberlusconiano. Un po’ come il presidente Foa. Ora entrambi mezzo leghisti e mezzo 5 stelle.  Buono per tutte le stagioni è sempre la ricetta. Non solo nel raiume.

Trump manda a dire agli europei di diffidare dei colossi cinesi dell’ict, Huawei e Zte. Scandalo delle “potenze “ europee, da vergini offese. Dimenticando che i giganti cinesi sono di proprietà, dirette e indiretta, del governo cinese, del partito Comunista cinese. Dimenticando anche che l’allarme, prima del grasso odiato tycoon Trump, era stato dato dalla prima amministrazione Obama.

Campeggia in prima sul “Corriere della sera”, e poi in una pagina amorevolmente dedicata, con due giornalisti d’eccezione, fatti rientrare alla bisogna dai rispettivi uffici di corrispondenza, Mazza e Valentino, una intervista col ministro iraniano degli Esteri, di cui non mette conto riportare il nome perché non conta niente, per dire furbo che “l’America non conta nulla”. E magari il “Corriere della sera” non è stato pagato. Siamo già agli ayatollah? È questione di logge?

Il ministro degli Esteri degli ayatollah confida anche al “Corriere della sera” che negozierà con l’Europa ma non con gli Stati Uniti. Quel Trump, dice, “è inaffidabile”. Perbacco.

Viene l’Inghilterra al primo posto per i “crimini di odio” dettati dal pregiudizio razziale o religioso – in Inghilterra vale solo il primo. Il paese che per primo e più larghezza ha accolto africani e asiatici. Né si è impoverito – non più da alcuni decenni, dopo gli anni duri della guerra e postbellici. Il razzismo è una forma di odio ancestrale? Non politico, né culturale.

La ferita razziale

Un testo semplice e fondamentale – di cui questo sito ha dato conto sull’edizione americana
http://www.antiit.com/2018/11/a-sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-380.html
La Nobel afroamericana si chiede come si arriva alla differenza, noi e gli altri. Per razzismo? Non può essere, il razzismo non ha più seguito, anche l’uomo semplice va in chiesa: “La razza è la classificazione di una specie, e noi siamo la razza umana, punto”. Dopodiché resta da spiegare il bisogno, generale, inestinguibile, di creare il diverso: “Che cos’è quest’altra cosa – l’ostilità, il razzismo sociale, l’Altrismo (Othering, creazione dell’Altro)?” Un bisogno impellente, e gratificante. “Quale è la natura del conforto nell’Altrismo”, si chiede la scrittrice, “il fascino, il suo potere (sociale, psicologico o economico)?” La risposta è ovvia: “È il brivido dell’appartenenza – che implica essere parte di qualcosa di più grande che il proprio sé solitario, e quindi più forte?” Ma per un motivo non  scontato: “La mia prima risposta va verso un bisogno socio-psicologico di un “estraneo”, un Altro, al fine di definire l’io estraniato (l’uomo della folla è sempre l’uomo solo)”.
Un curioso ma importante meccanismo di identificazione. Più di quello biologico o razziale. Più di quello economico. Un italiano non si sorprenderebbe, è il meccanismo mentale del leghismo, ma non sta a spiegarselo: come un qualsiasi pirla della periferia milanese si ritenga superiore al dotto Prof. Avv. Ing. di Palermo o di Sassari.
L’edizione italiana si avvale di una prefazione di Saviano, che appunto non spiega nulla. La prefazione americana, di Ta-Nehisi Coates, il polemista blogger afroamericano, riconduce tutto alla solita solfa anti-Trump.
Il testo di Morrison, la raccolta rivista delle lezioni tenute due anni fa dall’allora ottantacinquenne scrittrice a Harvard, è una lettura più nuova e acuta. Il tema si sa: che cosa spinge gli esseri umani a costruirsi degli “Altri” da cui differenziarsi spregiativamente, per risorse, cultura, storia, colore. Di “Altri” di cui aver paura. Come un bisogno di avere paura. A volte irriflesso.
Morrison rilegge arguta scrittori sicuramente non razzisti, Faulkner, Hemingway, che non hanno altro aggettivo per definire un nero che il colore, mentre per un bianco ce ne sono tanti, alto, basso, magro, stupido – e  avrebbe potuto citare anche le scrittrici bianche del Sud, Carson McCullers, Flannery O’Connor. Commenta i diari del piantatore Thomas Thistlewood, piantatore di zucchero in Giamaica, “un giovane inglese altolocato”, che annota gli stupri delle schiave con la stessa freddezza emotiva con cui annotava le visite, la tosatura delle pecore, i lavori di manutenzione, le malattie, anche degli animali. Rivisita le verità a metà dell’eugenetica, da Samuel Cartwright, metà Ottocento, in giù. 
Il materiale non manca, è il bisogno che va analizzato. Lezioni e testo sono introdotte da una ouverture maestosa sulla nonna materna, attesa e riverita, che viene dal Michigan a trovare i parenti in Ohio, e alla vista di Toni bambina e sua sorella si adombra – si direbbe “si adultera”: “Questa bambine sono adulterate”, tuona contro la figlia che l’accoglienza trepida ha organizzato. Non sono abbastanza nere, intende, sono mescolate. Con disdoro di tutta la famiglia, padre, zie, zii, la stessa madre. E delusione infine, quando Toni riesce ad afferrare il senso della parola, della scrittrice: l’innecessaria, inevitabile, apertura della ferita.
Toni Morrison, L’origine degli Altri, Frassinelli, pp. XXXV + 121, ril. € 15,90