Per i novant’anni che Enzo
Tortora non ha potuto celebrare, il 30
novembre, stroncato dalla persecuzione di cui fu vittima, sui media e nei
tribunali, si è fatto molto il caso dell’“errore giudiziario”. Lo ha fatto
anche Sgarbi ieri intitolando a Tortora un cippo commemorativo a Sutri, dove è
sindaco. Ma non fu probabilmente un errore. Anzi certamente. Perché prima della incriminazione del Noto
Presentatore si sapeva che “qualcosa” sarebbe avvenuto, cioè si preparava.
Qualcosa di grave in ambito giudiziario, un processo eclatante.
Si sapeva in sala stampa a
Montecitorio, dove circolano, circolavano allora, i “documenti” più
ghiotti-sospetti: nastri di intercettazioni “rubate”, carte “segrete”, e molte
“voci autorevoli”. Che il cronista era tenuto a segnalare al giornale, e
qualche volta anche a seguire, per quanto controvoglia. Sapendo cioè di essere
strumento di manovre: il dossier,
dispositivo della Terza Repubblica francese a fini di diffamazione e
corruttela, è vangelo e legge in Ialia, cui il cronista non può sottrarsi (“se
non lo usi tu lo usano altri” è la pistola puntata).
Il dossier Tortora era annunciato. Non propriamente, nella forma
allusiva tipica di queste manovre. Il caso scoppiò poi in tv,
sulla Rai, con adeguato preavviso. Ma in precedenza in molti si sapeva che qualcosa “bolliva”, qualcosa di grosso. Si era pensato a un dossier contro
Cefis, allora discusso presidente della Montedison (che invece resterà il vilain solo di Pasolini, “Petrolio”, avendo
finito la carriera manageriale indenne), e quindi a un gesto della Procura di
Milano, che allora non era ancora famosa peri dossier. O all’ennesima inchiesta clamorosa contro gli enti di
Stato, l’Eni più probabilmente che non l’Iri, e quindi a Roma. Invece scoppiò a
Napoli.
L’attesa, e poi l’evento, sono
così narrati da Astolfo, “Vorrei andarmene ma non so dove”, in via di
pubblicazione:
“Un
dossier monta che potrebbe essere
opera del Prefetto, sotto l’imperturbabilità. A carico si diceva in prima
battuta del Dottore”, il Dottore essendo Cefis, “ora d’un celebre Presentatore ⁰o Calciatore. Un dossier napoletano, è Paolo che ne porta notizia, che a Napoli
sarebbe già la nuova Smorfia. Ricco d’intercettazioni al telefono di cui i
giornali sono ghiotti. Intercettazioni selezionate, in trascrizioni editate,
diffuse a giorni alterni. Dove si parla di sbattimenti, è ovvio, ma per il
resto il copione è diverso da quelli della Terza Repubblica francese madre del
genere: non ci sono mantenute, né tangenti in appalti, c’è invece fumo e
polvere, il modello dev’essere americano.
“Il
Celebre Personaggio è un falso scopo, l’infamia è mirata sui suoi interlocutori,
e attraverso i giudizi, le confidenze, i pettegolezzi incidentali nei colloqui,
su una serie di personaggi di contorno sui quali si accende un faro
ricattatorio. Il presidente d’una banca si duole di avere mancato una serata –
da ballo? di chemin-de-fer? di tiro
alla coca? Un ministro dell’Interno avrebbe agevolato il trasferimento di un
carabiniere, potrebbe. Due generali comandanti in successione dei carabinieri
litigano per questioni di corredo delle rispettive figlie. Non manca il Capo della
Polizia, per equanimità, con battute da rimminchionito. Molto si parla di fumo,
vizio del Celebre Personaggio, che dovrebbe essere, si fa arguire, di erba, a
volte di tiro. Direttori di giornali e dirigenti Rai entrano in gioco quali
possibili promotori o terminali di raccomandazioni, del Celebre Personaggio o
presso di lui. Con corteo di camorristi e mafiosi, di cui però non si dà
l’identità, non manca ai giudici il senso dell’opportunità.
“È
un invito alla sedizione? A Napoli tutto va di corsa, quindi anche la
giustizia. E non c’è tempo per riderne, ogni giorno scaccia il precedente,
Napoli è troppo furba, troppo corrotta, troppo intelligente. Il dossier, si fa sapere, è di 1.400
pagine, come se fossero tante, mentre corrispondono a ventotto ore di conversazione:
in un anno di registrazioni il margine di selezione è enorme. Ma l’autore del dossier è gargantuesco: col Celebre
Personaggio mette insieme un candidato presidente del consiglio e un cardinale,
facendoli incontrare nel santuario del popolo romano al Divino Amore,
reminiscenza della Dolce vita, la
miscela felliniana di sacro e profano, per una partita che si lascia presumere
empia, d’affari, bisboccia, sniffamenti, se non, opinano commentatori
scandalizzati, di usura, alludendo ma non dicendo, con spreco di riserve che
ampliano i sospetti. È la sagra del “sedicente”. La Rai lo consacra, il
sedicente spacciatore, il sedicente ricettatore, e non si sa se per sbaglio,
intendendo presunto, o per sfottò – la Rai ha superiore inattaccabile anima Dc.
“Il
gargantuismo è senza freni, faticoso, mostra di strapotere, nonché di spregio
dei lettori. Non a torto: il dossier
è un capolavoro di creazione del testo, si capisce che il Prefetto non ne
disdegni l’attribuzione, a un premio di stilistica sbaraglierebbe, di creazione
della realtà con meri artifici retorici. Il taglia e cuci è abile, tanto più se
le telefonate daĺ sbobinare hanno preso com’è probabile quattordicimila pagine,
o centoquarantamila, le battute si reggono l’un l’altra, impreziosite da
accorte modulazioni dialettali, tarate sull’origine tribale dei personaggi, e
pur trattando di cancri alla gola e raccomandazioni più che di pelo, si fanno
leggere. Molto mcluhaniano si ha voglia di dire, altro che se il mezzo non è
caldo, l’uso del telefono è diabolico se non divino, altrettanto creativo. Che
gli sbirri consacra migliori semiologi e scrittori dell’Italia contemporanea.
“La miscela di magistrati d’assalto
partenopei e industria ambrosiana dell’informazione è inebriante e soffocante.
I benemeriti pretori, che hanno assaltato le roccaforti del potere, si
soppiantano con gli arditi procuratori, il coltello fra i denti, veri fascisti
benché compagni. La sostituzione non ha un solo modello e forse è facile, senza
disconoscere a Milano la maestria: è facile appropriarsi i fondamentali del
movimento, non è difficile se sono l’invidia e l’odio. Appropriarsene, si dice,
per sterilizzarli, ma neanche questo è vero, si fanno al contrario fruttare,
bei soldi – il Sessantotto a piazza Affari, bel tema”.
Resta da spiegare cui prodest: perché polizia giudiziaria,
procure, tribunali marcino a una certo punto compatti contro un personaggio. La
ricerca di un marionettista non sempre è conclusiva, né prevalentemente. Nel
caso di Tortora si fece pesare il professato laicismo – sono massoni,
all’origine o di fatto, i fori di “giustizia giusta” che ne tengono viva la
memoria. Ma anche uno dei due persecutori napoletani lo era dichiaratamente. È
un modo di essere della società, l’invidia sociale, di cui i media sono il coagulante. Astolfo così
conclude:
“Né c’è solo Milano, con la
subordinata Napoli, affari e sregolatezza. Le indiscrezioni si connotano di
verità, in una certa accezione: il popolo che si diverte, i giornali che
divorano i verbali, e i commentatori prodigali che credono, per spasso e per
amore della verità, più a criminali recidivi, crudeli, che si portano
accusatori, che al Celebre Personaggio, al cardinale, al politico eminente. È
l’effetto bombe? Il bordello cioè”.