Non c’è l’antisemitismo. La
condanna è del cristianesimo, ossessiva, “giudeo-cristiano”, e della
cristianità. Della metafisica. Di Nietzsche – e non: c’è un Nietzsche buono,
quello di Heidegger. Della storia. Della filosofia – che non è pensare. Della
scienza. Del “letteratume” e dell’opinione pubblica. Della democrazia. Della
liberazione. Di Hitler anche, ripetuta. Ma con la strumentazione di Hitler,
antisemitismo escluso. L’orgoglio del Rettorato. Una serie di
autoannientamenti. L’orgoglio della solitudine – la grandezza. Anche rispetto
ai laudatori, Beaufret, Jünger, Sartre, allievi (“non ho allievi”). E l’indicibilità,
la volontà di ermetismo, in prosa e in versi, moltiplicata dall’Essere in
croce.
La vendetta
Non c’è lo scandalo, con cui
i quaderni sono stati annunciati. La questione ponendo dell’edizione di
Heidegger: di che stiamo parlando? Questi “quaderni neri” saranno materiali per
la biografia di Heidegger negli anni dell’isolamento, radiato dall’università.
Un Heidegger “messo a nudo”, non alla Baudelaire, non volontariamente. Ma forse si, questi quaderni non sono brutte copie, sono in ordine, e anche la pubblicazione sembra programmata. Di Heidegger nei
limiti del suo filosofare, a tratti sconveniente. O forse solo scortese,
irritante: il Filosofo Terzo, dopo Democrito e Eraclito. Del suo pensiero unico – solo Heidegger
“pensa” è il filo di settecento pagine. Senza ironia mai: piange la
“produttività della filosofia che fa naufragio”, 323, per i troppi filosofi che
scrivono e pubblicano - e lui con i 100 o 120 volumi? Del nazismo anche, senza
e contro “Hitler”: “La distruzione dell’Europa è, comunque essa possa
svolgersi, sia senza sia con la Russia, l’opera degli americani. «Hitler» è solo
il pretesto. Certamente però gli americani sono, se visti in relazione
all’insieme, europei. L’Europa distrugge se stessa”, 307. “Il socialismo è la totale mancanza di pace generate dalla
civilizzazione tecnica dell’umanità”, 318. “Democrazia è anarchia”, 612. Non si
scusa perché non ha sbagliato, 310: “Qualcuno ha mai visto delle aquile volare
in stormi?”
Orgoglioso sempre, per tutti
i quaderni, sprezzante. “Il successo quasi commosso riconosciuto alla ‘Lettera
sull’umanismo’ mi desta un sospetto: o non si è riflettuto sulla cosa, o la
cosa non è riuscita”. Il profeta nella tebaide, autoreferente, è in vari passi
anche esplicito nel primo quaderno, “Note I”. P.es. a p. 100, dove il “terrore
della violenza furiosa” viene ascritto, oltre che alla “rozza violenza” e alla
“pubblica devastazione”, con più perversione alle buone coscienze – e cioè,
siamo nel 1945 o 1946, dopo la sconfitta e sotto l’occupazione alleata, agli
alfieri della libertà: “Il terrore del possesso della verità però è abile e pone
ciò che passa inosservato e la preoccupazione per la salvezza del mondo al
servizio dei suoi stratagemmi”. Facendosi scudo, furbo, di una falsa libertà
per recidere la vera Libertà, del pensiero dell’Essere - o di Heidegger. Ancora
dopo, in “Note V”, 590, quindi attorno al 1948, dopo il ponte aereo per Berlino,
mentre si costituiva la Germania Federale: “Il popolo tedesco è politicamente,
militarmente, economicamente, anche nella sua migliore forza popolare,
rovinato, tanto per via della follia criminale di Hitler, quanto anche per la
volontà di annientamento dell’estero”. Anch’esso senza colpa: “Non si cerchi d’ingannarsi. Tanto è stolto
iniziare a calcolare la storia dal 1945, e lamentarsi dunque per l’oppressione
e l’ingiustizia, quanto è stolto iniziare invece dal 1933”. E un avvertimento
come invito alla riscossa: “Resta ancora il compito: sterminare i tedeschi spiritualmemte e storicamente. Si aprano gli
occhi. Un antico spirito di vendetta si aggira per la terra”.
Opus incertum
Ma in generale non si trova
nulla in questi “quaderni neri”, ormai siano a una decina tradotti, dello
scandalo che li ha preceduti, con le dimissioni di Peter Trawny dall’incarico
di curatore, e di Donatella Di Cesare dalla vice-presidenza della Fondazione
Heidegger. Non l’antisemitismo, non la difesa di Hitler – e la professione
nazionalistica stretta, e antidemocratica. Uno scandalo che, dopo la faticosa
lettura, sa solo di pubblicità. Riportando alla memoria un lontano saggio di
Thomas Sheehan (“Caveat Lector: the new Heidegger”, di fine 1980), sulle
bizzarrie dell’opera omnia del filosofo.
Che non è un’edizione critica, e viene affidata dagli eredi, e per essi a lungo
dal figlio-non-figlio Hermann, a curatori più o meno occasionali, Trawny è
l’ultimo di una lunga serie. Senza
colpa probabilmente del quasi centenario Hermann - “il colonnello Hermann
Heidegger” di un sobrio lusinghiero ritratto di Magris nel 1986 sul “Corriere
della sera” (ora in “L’infinito viaggiare”, 72): “È un uomo alto e gentile, con
uno sguardo pieno di bontà e una profonda dirittura segnata nel viso”. I tre volumi di lezioni su Nietzsche, si
ricorderà, collazionati in italiano da Franco Volpi, hanno avuto in quattro
anni tre curatori diversi.
I “quaderni neri” vengono
pubblicati senza nessun supporto, se non i riferimenti alla stessa opera omnia, nell’originale tedesco. “Note I” e “Note II non hanno
datazione, nemmeno approssimata del curatore, che vi accenna svogliato. “Note
III” è datato 1946-47, ma si apre con un riferimento al quaderno successivo,
“Note IV”. Più volte è questione della “Lettera sull’umanismo”, che però è del
1949 – è di prima, pubblicata da Beaufret in rivista nel 1946, e nel 1947 da
Grassi-Szilasi in volume, rivista dallo stesso Heidegger, ma per Heidegger la
sola è quella da lui stesso curata, in edizione a sé (Grassi-Szilasi la
recavano in appendice alla riedizione del suo saggio su Platone e la verità),
nel 1949.
L’autoassoluzione
Le polemiche hanno oscurato
la verità, è il caso di dire alla Heidegger. L’autoassoluzione sì, c’è, ma in
forma compensativa, nei giorni della denazificazione e dell’“annientamento”,
per dirla in termini heideggeriani: “Alle mie spalle, e pure al tempo stesso di
nuovo di fronte a me, si distende il lungo cammino dal chierichetto di
Messkirch all’esserci di adesso, defilato e sconosciuto”. La rivendicazione è
ripetuta per tutti i cinque quaderni, orgogliosa, anche dell’isolamento.
In una col nazionalismo
ristretto, delle “origini” gelose. E col
rifiuto ribadito della democrazia, senza giri di parole, tra le prime
riflessioni di “Note II”, qui a p. 195: “«Democrazia» come nome di copertura
per l’impostura planetaria. Questa parola è così mendace che non vale nemmeno
se con essa si intende il «dominio della plebe»”, eccetera, esito di
“incondizionata macchinazione”. Libertà non è tra le “parole chiave”,
tematiche, di cui Heidegger compila l’indice per ogni quaderno. Entrambi sono
ripresi a p. 102, il rifiuto dell’Occidente (della storia, della filosofia,
della metafisica, del “giudeo-cristianesimo”, della democrazia) e della
libertà. E, nella pagina seguente, di Goethe: del Goethe del “diffuso
«pensiero» dei ben collocati francofortesi” (l’unico accenno ai
“francofortesi”, n.d.r., cioè a Adorno & co., probabilmente nella
sterminata opera di Heidegger), che ne fanno una bandiera antinazionalistica,
mentre “il superamento del nazionalismo è già accaduto da tempo”, con
Hōlderlin, “nel tratto più proprio del destino dell’Occidente – non
«umanisticamente» e non «classicamente» e non «internazionalmente», bensì
uni-versalmente”. Universale volendo non l’“internazionalismo” di Goethe ma lo
strapaese imputato all’incolpevole Hōlderlin, delle origini e dei luoghi, come
antidoto al nazionalismo – della Svevia natia anzitutto: “Adesso ci sono”, con
Heidegger cioè, “un «umanismo della Svevia
superiore» e un «Occidente bavarese»”. Mentre i liberatori, “i democratici di
tutto il mondo”, si confermeranno poco dopo, a p. 123, “i funzionari della più
pura – cioè mascherata – volontà di Potenza”.
Senza costrutto
Ma il gergo è ovunque
prevalente – prova di iniziazione, sciamanesimo. In una scrittura pesante,
faticosa, insignificante, se non per allusioni. Più contorta che negli altri testi
noti. “Pensare è il dire della saga del colloquio della Άλήθεια del linguaggio
in quanto dimora dell’abitare nel componimento” – 107. In cui pensare, dire,
saga, linguaggio si vogliono indefinite, oltre alla “dimora dell’abitare”.
Sull’incomprensibilità, dichiarata, ricercata, Iadicicco, che questi quaderni
traduce, avverte che la “sperimentazione linguistica” è portata all’estremo, e
fa un lungo elenco delle asperità di costrutto, “il lunghissimo periodare”, “la
complessa architettura delle subordinate”, “i sottintesi”, le “frasi
ellittiche… densamente sintetiche”, che “implodono nell’abisso misterioso della
loro letteralità”.
Il problema si direbbe normale
per appunti sparsi. Che però non sono questi “quaderni neri”, al contrario
curati, ordinati per la pubblicazione, provvisti pure di indice tematico –
Peter Trawny, che la pubblicazione ha curato, prima di dissociarsene, attesta
nella postfazione: “I manoscritti sono elaborati a fondo. Presentano di rado delle
correzioni. Non sono affatto dei taccuini di appunti”. Sono la ripetizione,
ricalcata, di ciò che Heidegger è e vuole essere.
Con le note preclusioni.
Della metafisica e la filosofia – “la metafisica è l’essenza della «filosofia»,
entrambi i nomi dicono lo stesso”, 176, “la fine della filosofia è l’inizio del
pensiero”, 177. Contro il progresso, la verità, l’arte (applicazione, tecnica),
la storiografia. Col rifiuto – anche crociano… - della psicologia, contro l’ex
sodale Jaspers e non solo. Soprattutto, da uomo di fede (274-275, non tiepido),
del cristianesimo. Nel senso dell’“autoannientamento” e ancora di più. Nel
senso della demolizione, a opera sua, di Heidegger. Della “smitizzazione del cristiano”, 266,
rivendicando anzi polemico la primogenitura, rispetto a Bultmann, cui Jaspers
sembra farla risalire. E un continuo rifarsi a “Essere e tempo”, uno scudo, una
barricata.
Anti-cristiano
L’antisemitismo non c’è. Se
non come parte dell’antimetafisica anticristiana – la metafisica è
“giudeo-cristiana”, della “storia dell’Occidente”. Polemica, questa, ricorrente
in tutti i quaderni, a partire da “Note I”, dalle prime riflessioni. Delle
quali è sintesi, contorta, la notazione a p. 27: “L’anti-Cristo, come tutto ciò
che è «anti», deve derivare dallo stesso
fondamento essenziale di ciò contro cui si pone come «anti» - dunque «del
Cristo». Questo discende dall’ebraicità. Essa, nell’epoca dell’Occidente
cristiano, vale a dire della metafisica, è il principio della distruzione. È
l’elemento distruttivo nel rovesciamento del compimento della metafisica”.
Segue, p. 28, il capoverso incriminato, l’unico, che però è uno della serie
degli “autoannientamenti” profetizzati o denunziati, da un Heidegger
compunto-beffardo, nei primi due quaderni: “Non appena ciò che è essenzialmente
«ebreo» in senso metafisico lotta contro ciò che è ebreo, si raggiunge il
culmine dell’autoannientamento nella storia; ammesso che «l’ebreo» si sia
impadronito ovunque e completamente del potere, così che la lotta contro ciò
che è «ebreo» rientra anche e anzitutto nella sua sovranità”.
Ma la “colpa
metafisica” degli ebrei non è “l’odio metafisico” di Hitler per gli ebrei? Di
Heidegger nessuno ha studiato quando e come ha letto il “Mein Kampf” di Hitler,
o comunque lo “Hitler mi ha detto” di Rauschning, che fu letto moltittismo,
anche per l’affidabilità dell’autore, non un semplice giornalista, essendo stato
presidente del Senato della città libera di Danzica, 1933-1934.
Nel secondo quaderno, “Note
II”, ha a p. 212, dopo i ribaditi “autoannientamenti” della filosofia e del
cristianesimo, un’avventurosa messa in guardia contro l’antisemitismo: “La
«profezia” è una tecnica volta al rifiuto del destinale della Storia” – della
filosofia di Heidegger, qui incidentalmente ridotta alla sottomissione
rassegnata dell’islam: “È uno strumento della volontà di potenza. Che i grandi
profeti siano ebrei è un fatto sul cui mistero ancora non si è riflettuto.
(Nota per gli asini: questa osservazione non ha nulla a che fare con
l’“antisemitismo”. Quest’ultimo è tanto folle e riprovevole quanto lo furono le
azioni sanguinose e soprattutto quelle non sanguinose del cristianesimo contro
«i pagani». Che anche il cristianesimo stigmatizzi l’antisemitismo come «non
cristiano» rientra nell’elevato grado di formazione della raffinatezza della
sua tecnica di potere)”.
Uomo di fede
Un anticristianesimo
temperato dalla fede. Heidegger è uomo di fede, religiosa Alla quale in
questi quaderni dedica un paio di pagine pesate, 273-275 e passim – il papa
Francesco gliele invidierebbe. “La fede è, sì, un sapere, ma non è mai un
pensiero”. Non è heideggeriana (poche righe dopo dirà il contrario: “Il
cristianesimo è metafisica che spaccia la fede cristiana per un sapere” - 273,
ma non importa). Per centri concentrici però lo è: “Il pensiero”, Heidegger, “è,
per la fede, una follia”, 273, diventa due pagine dopo: “Il pensiero è, per la
fede, una follia, e la fede per il pensiero è l’impossibile. Ma entrambi sono
uniti nel fatto di riconoscersi: il riconoscimento consiste nella richiesta della
fede che il pensiero sia pensiero e nella richiesta del pensiero che la fede
sia una fede”.
Le percezioni di Heidegger
sono mistiche, disse Jaspers subito, dopo “Essere e tempo”, presentate
speculativamente in parabola, immagine e poesia. A Jaspers lui stesso ha spiegato
nel 1935 che la sua filosofia senza la teologia è incomprensibile. Ora la teologia
è aborrita, con tutta la chiesa cristiana, ma la fede è forte, seppure non in Dio,
che intende quello delle Scritture: Heidegger non abiura al suo personale “essere”.
Con
l’odore del vecchio confessore: chiamata dell’essere è la grazia, altrettanto
repentina, illuminata, ingiustificata, parola dell’essere è il verbo, la
clausura è dei santi. Prima e
dopo lui stesso maestro di tanti preti,
benedettini, gesuiti, perfino qualche francescano, dopo il rettorato
hitleriano. Proponendo, proponendosi, la questione centrale della fede, la
questione dell’essere, “l’antichissima questione propria del mondo medievale e
scolastico”, dirà il nipote don Heinrich parroco a Messkirch. Non ha mai smesso
di segnarsi, ginocchio a terra, nei suoi trekking, al passaggio davanti a una
chiesetta o cappella votiva. La pietà religiosa fa bene parte delle origini. Al
suo paese, a Messkirch, nella chiesa fanno – facevano - vedere le iniziali che,
da chierichetto, ha inciso in un banco, con mano sicura, rinforzandole con un
riquadro.
Insensato
Raramente umano, come si
presupporrebbe di appunti. Per esempio, anche questa notazione è iniziale, sulla
vecchiaia, contro il trucco di “fingere di onorare” i vecchi facendoli giovani
– ma resta il solo cenno di tutto il volume. Il risentimento è certo molto
umano, ma per settecento pagine crea risentimento e non complicità, non avvicina,
allontana.
Con qualche verità pratica,
soprattutto in tema di opinione pubblica, da cui guardarsi: “Il reportage non è
un descrizione di uno stato di cose, bensì l’allestimento dell’opinione
pubblica sul binario che si vuole”, 638. E con qualche aforisma, raro. “Il
semplice è ciò che è più incomprensibile”, 409. “L’oltreuomo è assolutamente
ancora uomo”, 5343. “La misura fruttuosa è sempre smisurata. La misura non sta
mai nel mezzo”, 517. “Il silenzio è l’aver cura del silenzio”, 604. “Il
surrealismo è solo, ancora una volta, il realismo del reale”, 633. Ma anche:
“L’arte del pensiero consiste nel pensare senza arte”, 298 – per caso?
Dopodiché, al centro di “Note III”, 299-307, la summa in dieci pagine
dell’“impensabile”, tra “pensiero dell’Essere” in croce e “saga”, da cui si
esce vaccinati – “pensare, una traccia senza tracce dell’Essere espropriato”.
Colpiscono d’acchito
riflessioni anche insensate: “La smisuratezza stessa è priva di misura” - 6.
Oppure: “I giorni di festa sono la veglia notturna per il destino” -7. Sarà. Ma
“destino è l’evento dell’intimità”, 8. Che non ha senso se non boccaccesco, per
la mania di Heidegger di farsi le allieve, anche non ebree. Poi c’è “il bisogno della mancanza di bisogno”,
quasi derridiano, ib.. E: “I pensatori essenziali e genuini” sono detti filosofi,
“amici di ciò che autenticamente va saputo” ib. – la scoperta dell’Africa. E
“le origini sono le vicinanze dell’inizio”, 9. Cose così. E: “L’enigma è il
vero della partenza dell’ultima della fuga”, 462. O: “La riscrittura è la saga del
silenzio nella fuga della partenza che parte
dalla Libera dell’enigma”, ib.. Dove si introduce, dopo la “saga”, la “Libera” - sic:
“il silenzio della Libera”, “la Libera dell’uso”, “la Libera della fuga”. Per
culminare nella fuga: “La fuga rifugge la fuga”, 465. O: “Gli uomini ingegnosi
non possono cercare” – devono aspettare che la meda cada dall’albero?
Hōlderlin
Molto è della filosofia come
poesia, nello Hōlderlin ricorrente che gli fa da specchio. E della politica –
si parla molto di politica, in “Note II” e “Note III”: “Verrà una volta il
tempo in cui la storia dei tedeschi del 1914 sarà vista, senza la facciata
della storiografia liberal-democratica, nelle sue forme autenticamente efficaci
come un’avanzata della volontà di Potenza nel senso di un processo mondiale”.
L’“errore del 1933” ritorna anch’esso più volte insopportabilmente astruso.
P.es. a p. 170: “Non «si» capirà tanto presto ciò che nel mio passo del 1933”,
il rettorato, il discorso del Rettorato, “era l’elemento autenticamente
determinante che tuttavia divenne un errore;
non in quanto appunto si era detto, bensì riguardo alla possibilità del nazionalsocialismo
e riguardo all’attimo e all’appropriazione di un pensante all’agire conforme
alla amministrazione in un istituto
di pubbliche lezioni – l’essenza del materialismo
imperialista”. Intendendo che lui nel 1933 condannava, all’università, l’Occidente
e il comunismo insieme, col linguaggio di Marx che gli conveniva citare ma non
conosce. Nello stesso quaderno, il “Note II”, ci ritorna alle pp. 246-249, per
farne assurda difesa contro il burocratismo, all’università, e contro le
“rappresentazioni partitiche” nel Senato accademico. Mentre lui si voleva solo
profetico. “Questo è stato detto nella «Autoaffermazione»” dell’università
tedesca, che essa “ha bisogno come minimo di tre secoli”. Senza senso del
ridicolo: “Ma non vi si prestò ascolto”. I professori non capirono: “Si era
troppo preoccupati della salvezza del prestigio professorale. Si credeva che le
chiacchiere eccitate degli avvenimenti di superficie fossero già una
riflessione sull’unica cosa necessaria”.
Con l’altrettanto assurda
difesa del “cattivo poeta”, 264 - “Si va ora raccontando che Heidegger sarebbe
un cattivo poeta, ma non un filosofo”. Il cattivo non gli va, il poeta sì. Nei
quaderni, anche in questi, non si risparmia le rimette - “E se il pensiero
opportuno, che cerca di pensare l’Essere, fosse un poetare?” Lo stesso curatore Trawny
inavvertitamente ripete la critica: “Non di rado la scrittura di Heidegger
trapassa in uno stile espressivo che imita l’eloquio e il tono di Hōlderlin”,
693.
L’errore del Rettorato
Nel quaderno successivo,
“Note III”, il Rettorato ritorna in altra specie “Il mio errore nel 1933 non fu
un errore politico. Mi sbagliai nella relazione essenziale tra le scienze e il
pensiero”. Ma questo, poco prima, pp. 344-5, aveva detto in sostanza errore
politico, di giudizio, di opportunità: “Forse un giorno qualcuno scoprirà che
nel discorso del Rettorato del 1933 era stato fatto un tentativo di pensare in
anticipo questo processo del compimento della scienza nel perire del pensiero,
di portare di nuovo il sapere, in quanto sapere dell’essenza, al pensiero, non
però di consegnarlo a Hitler – perché il partito fece combattere questo
discorso in tutti raduni di docenti?” E
di nuovo, di seguito: “Certo non perché esso”, il discorso, “come l’opinione
pubblica mondiale dà a intendere, ha tradito l’università per il
nazionalsocialismo. Forse un giorno qualcuno, che sia libero da malevolenza e aperto
al destino del mondo, scoprirà che in quell discorso era pensato un attimo del
destino della scienza occidentale.” Un “errore” tra virgolette seguito da finta
ammenda, sprezzante: “Tali osservazioni non vogliono giustificare il Rettorato.
La gestione fu sbagliata. Forse perfino il discorso fu un errore,
precisamente lo fu il fatto di averlo tenuto, perché non si deve parlare dei
colori ai ciechi”.
E che errore fu, il
Rettorato, si chiederà alla fine, a fronte di quelli di Churchill? Che ora
attacca Stalin ma “per anni” è stato con Stalin. Qualcosa qui, però, concedendo
alla storia. “Io non vorrei paragonarmi a Winston Churchill”, scrive a p. 613:
“Non mendico nemmeno indulgenza per la mia attività dei dieci mesi di rettorato
trascorsi tra il 1933 e il 1934. Vorrei solo che si considerasse una cosa:
dacché oggi continua a levarsi, con ingiurie e menzogne, un grido di vendetta,
l’attività politica non sarà forse un pretesto per screditare il mio pensiero?”
Dunque, ci fu un Heidegger in “attività politica”.
Polemista
Il perché è spiegato
anch’esso all’inizio, 10. È “il dissidio” col dopoguerra. Di questi quaderni si
dà la datazione 1942-1948, è necessario tornare sul tema cronologia, ma già le
prime pagine di “Note I” sono del dopoguerra, tra sconfitta, occupazione e
denazificazione (radiazione dall’insegnamento). In questa chiave si potrebbe
anche leggerlo, leggere questi quaderni. Di un polemista, certo serioso ma come
i peggiori (migliori) polemisti del deprecato “giornalismo”, alla Malaparte,
alla Pasolini. Che “si fa” l’avversario, si costruisce il pupazzo da attaccare –
la cosa contestata.
Da polemista, quindi terra
terra, queste “Note” sono una vindicatio.
Orgogliosa e sprezzante. Di “Essere e tempo”. Del “pensiero rammemorante”.
Nella reviviscenza della “dimensione estetica”.dell’“estasi dell’apertura”, che
si manifesta col “l’entrata nella terra natia” – proprio quella alemanna. Anche
in versi cantabili, 361: “Nella tua stanza lo hai inventato?\ Oppure in dono
dopo ore ti è arrivato,\ il cui corso ha deciso\ che cosa è canto, che cosa
grido,\ che cosa è saga che la differenza ha diviso?”
Bugiardo
Con poche curiosità. Una
mezza difesa del suo proprio volagisme,
gli incapricciamenti sessuali – parla di amore, ma in lui è solo sesso. Dei
silenzi, quando non erano bugie, di cui li ricopriva, a p. 250 – il silenzio
come bugia non detta: “Pochi uomini sanno o comprendono in che senso a un amore
appartenga il tacere”. La moglie gli rimprovera nelle lunghe corrispondenze le
bugie, lui opta, verso i sessanta, per il silenzio. .
Adolescenziale sempre: “Il
pensiero autentico è determinate da «coraggio» per ciò che è inutile”, 11. Noi
siamo, “siamo storici”, “in base
all’appartenenza all’essenza della storia”. E dove sembra logico non lo è: “Il
grado più alto della tecnica sarà raggiunto quando essa, in quanto consumo, non
avrà più nulla da consumare – se non se stessa” – l’umanità non è innovazione, non
si distingue per il fare?, non vive nell’inattività, nella sopravvivenza,
nell’isolamento.
Esoterico, ieratico, inziatico
Il restante esoterismo è
conseguente. Parole in libertà, ieratiche, iniziatiche, “La ex-istenza (lo
stare fuori) della quotidianeità”. Il “carico del mondo” (Occidente,
giudeo-cristianismo, storia). “Tacete nella parola. È così che fonda il
linguaggio” Con un ritorno di “Wiege” e “Wage”, culla e bilancia, che
articolarono una sua famosa poesia, una radice qui declinata in una mezza
dozzina di accezioni, 46: culla, bilancia, via, bilancio, pesare, cullare,
soppesare, osare.
Subito dopo si definisce “La
questione dell’essere e del nulla”. Senza riserve: “Nella mia tesi di
abilitazione apparsa nel 1916 c’è questa nota a pagina 237: «Riguardo a questo
problema (quello dell’‘oggetto’), l’attore spera di poter fornire prossimamente,
in una ricerca più approfondita su essere, valore e negazione, definizioni di
principio»”. Cioè: “Essere e tempo” era in
nuce nel 1916.
Ma il gergo resta prevalente,
al § successivo, “Pensiero”,
teorizzato, seppure interrogativamente: “Allora il pensiero sarebbe il mestiere del tacere?”. :
E subito dopo ancora, 112,
l’abominio dell’esclusione dall’insegnamento alla liberazione estendendo all’occupazione
accettata, quasi che la Germania non fosse stata occupata centimetro per
centimetro: un tradimento, e uno che “non si può spacciare per una conseguenza
del terrore ormai scomparso”. Una caduta nella volgarità tedesca, della Germania
che non può perdere una guerra, se non perché è tradita. Hitler è il “terrore”, ma incidentalmente, mai
una riga che lo prenda di petto, lo spieghi, lo condanni per motivi specifici.
Il tradimento è “ai danni del pensiero”,
ai danni di Heidegger. Per “l’autoannientamnto che ora, nel tradimento al
pensiero, minaccia l’esserci”.
Filippico
Come la Pizia di Plutarco, “filippizza”,
sprezzante: “A che punto si è arrivati con i tedeschi? Solo là dove essi erano già da sempre: al
fatto che adesso essi scioccamente e sempre più scioccamente rinnegano la
propria anima e, schernendo se stessi con lo scherno degli stranieri,
abbandonano, senza avere una vaga idea di essa, la loro essenza più nascosta.
Per quanto tremende da sopportare siano la distruzione e la devastazione che
adesso sopraggiungono sui tedeschi e la loro terra natia, tutto questo non
raggiungerà mai l’autoannientamento che ora” etc. A p. 517 dice i tedeschi “sconvolti,
spossati”, al punto da lasciarsi
“rieducare da New York e da Roma” – da Roma?
Radicale, extraparlamentare
si sarebbe detto un tempo: “L’università è uno strumento politico-ecclesiastico.
Essa serve”. Non alla “verità”, sempre tra virgolette, bensì alle scienze,
“mezzo della tecnica”, e quindi alla “formazione di una forza lavoro da esse
resa necessaria”. Ma più profetico e misterico. Contro la metafisica, fino a
Nietzsche compreso – difeso però contro “il cristianesimo e le alleanze internazionali”,
che gli passano “via accanto lasciandoselo alle spalle”, attenendosi “alla
facciata” del suo pensiero, alla “sua reazione contraria agli anni della fondazione
del XIX secolo che stava per concludersi”, “a ciò che da Nietzsche viene urlato
e a ciò che da lui viene insultato”, 668 – anche se “spesso si accontentò di
quanto era di seconda categoria”. Contro Burkhardt e contro Schopenhauer,
disprezzati. E contro la stessa filosofia.
Autoannientamenti
Con la fissa degli
“autoannientamenti”. Del pensiero, “organizzato ecclesiasticamente e
partiticamente, oppure invece alimentato per smarrimento e incapacità”.
Dell’“Occidente” con più insistenza – da non intendersi per Europa o Nord
America. Del cristianesimo con spietatezza: “Filosofia Cattolica”? Un bluff,
“non molto diverso dalla «scienza nazionalsocialista»: un cerchio quadrato, un
ferro di legno”, senza “anche solo una traccia del nocciolo di una reale
intuizione”, che si fa forza “andando a cercare in qualità di protettrice
cattolica delle verità eterne una postazione ausiliaria dalla parte del partito
comunista”. Del popolo tedesco in continuazione: “Dell’essenza
universale-destinale dei tedeschi in quanti popolo pensante-poetante, in quanto cuore dei popoli”, roba del genere,
vittime volenterose della “plausibile parvenza di rimuovere lo spaventoso
reggimento del «nazismo»”, etc. ). E dell’“ebraismo” inteso come “giudeo-cristianesimo”
– europeo, occidentale, tecnologico.
Ma con la facile
consolazione, ricorrendo alla “predisposizione all’Essere”. “L’amore senza nome
del pensiero inappariscente” ritrovando fin nei giochi di bambini, col fratellino
Fritz, “accanto alle «cataste» di legno di quercia tagliate di fresco”. Il
pensionamento imposto? Marameo, ha solo tolto “i blocchi frenanti” al “pensiero
audace”.
Impolitico
L’impolitico di Hannah
Arendt, un po’ fessacchiotto. Come molti altri tedeschi importanti. Ma lui sempre
nello stesso senso. Pregiatore - poco ma distinto - di Hitler, e perfino di
Marx. Spregiatore sempre della libertà e della democrazia. Il nazismo rimproverando
ai “partiti”, gli stessi che ora vede “nella smania di combattere il
«nazismo»”. Il rettorato nei confronti di Hitler? Una mezza pagina di
riconsiderazione, ma di un errore minimo: non mi ero sbagliato tanto su Hitler,
quanto perché “credetti fosse arrivato il tempo di diventare, non con Hitler ma
con un risveglio del popolo nel suo destino” finalmente intorno e interni
all’Essere, “iniziali, storici”. Non è la stessa cosa, Hitler evidentemente
essendo quello del “risveglio del popolo”?
Hitler non è ben considerato,
è “l’orrore”, a ogni evocazione. Ma c’è di peggio: l’opinione dominante non ha
“imparato niente; sembra che in quei dodici anni non sia accaduto niente da noi - i naufragati si riallacciano allo stato
delle cose nel 1932 con in più anche il consenso dell’estero. Si conosce solo
questo, oppure l’orrore del nazionalsocialismo. Ma questo aut-aut è l’autentico
errore”. Al punto che un rovesciamento non è più possible: Heidegger si
considera la Germania, vera, profonda, autentica, per l’attesa dell’Essere che
propone, e la Germania sbaglia a volersi come gli altri, democr atica, “internazionalista”,
occidentale, invece che attendere al “destino unico”.
Farneticazioni, contro il
“Grande «si»”, qui definito “Macchinazione”, l’impersonale che ci domina.
Eraclito
Molto Eraclito. Il tipo con
cui si sente in sintonia: “Con i pensatori che pensano in silenzio, che non
scrivono; è come un incontro nell’essenza di tutte le cose. Allora si risveglia il quieto sapere di ciò
che ancora è tenuto in serbo, inattinto”.
Mentre “laddove si agisce, tutto è perduto”. Ma scrivendo a sua volta molto e
moltissimo e tutto curando per la pubblicazione.
Di pochi interessi. “Di
Jean-Paul Sartre ho «letto» di recente solo poche pagine”, poiché era sui giornali
nel dopoguerra – altre volte nominato tra virgolette. Altrove lo condanna come
impostore. Sia lui che l’“esistenzialismo” – “l’«esistenzialismo» è «chiacchiera»”,
242, “la chiacchiera sull’esistenzialismo si smarrirà nella noia della sua
stessa superficialità”, 322.. Fa per questo i conti con Jaspers, non solo per
la Colpa, e con altri amici e allievi – a p. 635 contro il “«filosofare» di Jaspers”
e contro “la scrittura da quattro soldi di Sartre”. Perfino, al suo modo,
allusivo, con E. Jünger, che pure considera, suo coauore di “Oltre la linea”. Nonché
con Goethe – la Germania di Goethe è abominio per Heidegger, come per ogni
altro rivoluzionario conservatore. Su Husserl, suo maestro, poi trascurato, ha
un pagina eccezionalmente chiarificatrice, 587-8.
Solitario
Un percorso intimo di una
rigidezza sconcertante. Mai interrogative. Mai un dubbio – uno vero, non antifrastico.
“Allievi non ne ho avuti, perché nessuno è diventato per me stesso un
insegnante”, 480. E uno pensa ai suoi tanti allievi, professi e non. Ma poi,
635, li rivendica, sempre in chiave misantropica: “Sono stati furiosamente
bollati come eretici e stigmatizzati in quanto unilaterali non solo i miei
lavori, bensì anche certi buoni lavori dei miei allievi sulla filosofia greca,
su Plotino, Meister Eckhart, Leibniz, Kant, Hegel, Nietzsche. In seguito li si
è poi vigorosamente e da molte parti sfruttati, e infine sono stati taciuti”. Lui solitario nell’“aria densa delle altezze,
481. Dove “il giusto tacere tace anche se stesso”, 480. Quello di Heidegger è
un tacere ingiusto?
Uno scoppio prolungato di
amarezza, un uomo esacerbato, dalla sua stessa improntitudine, non si può
pensare un “uomo di pensiero” così astioso.
Martin Heidegger, Note I-V (Quaderni neri 1942-1948),
Bompiani, pp. 701 € 30